Certo, certo, CERTO!” A quanti vecchi conoscenti, vicini, ex insegnanti, commilitoni intravisti in un luogo inaspettato siamo sfuggiti tuffandoci in un vicolo, pur di non trovarci faccia a faccia con loro anche solo per un attimo? Tutto perché: (1) Non abbiamo voglia di vederli; (2) C’è troppo non detto che non ha bisogno di essere detto: una Grande Muraglia di parole che ci crollerebbe addosso provocando la nostra morte; (3) Sappiamo che gli altri provano gli stessi identici sentimenti verso di noi. Siamo, per la maggior parte, le ultime persone con cui uno sano di mente vorrebbe parlare in qualunque occasione, Natale compreso.

Mi lascio sprofondare nel sedile e alzo il vetro del finestrino, caso mai i Gluck mi vedano. Loro però non voltano neanche la testa per guardare la mia macchina, parcheggiata a cinquanta metri da dove un tempo sorgeva, solida e resistente, la loro casa. Continuano a scarpinare sulla spiaggia deserta come spettri, col cane alle ginocchia. Cosa dovrebbero fare, se non immergersi di nuovo nella nebbia?

E poi, all’improvviso, mi passa la voglia di stare qui: completamente. Tutte le difese con cui sono venuto dall’interno si sono logorate e mi hanno trasformato in un... bersaglio. Della perdita. Della tristezza. Proprio la cosa che non volevo essere, e la ragione più esplicita per cui non mi sono avventurato da queste parti nelle ultime settimane, e non avrei dovuto farlo adesso. Queste sensazioni mi colpiscono più di quanto sarei disposto a confessare, perché mi fanno sentire che qualcosa di brutto si sta facendo sotto da ogni lato: come l’avanzare di un’ombra sul pezzo di prato dove il caso ha voluto che mi trovassi. Quando l’ombra copre l’ultimo filo d’erba, l’aria diventa a un tratto fredda e immota, e per me tutto è finito. Che è, in conclusione, proprio quello che accadrà. Dunque, perché qualcuno dovrebbe rimproverarmi se lo sento adesso, e qui?

Ma sono pronto a correggermi. Essere qui mi fa sentire colpevole-fuori-contesto. Come essere presente quando una persona che conosci, ma non bene, tutt’a un tratto si lascia prendere dalla disperazione e comincia a piagnucolare, e tu non puoi far altro che augurarti con tutto il cuore che la smetta. Non mi sento minimamente in colpa per alcunché di ciò che è accaduto da queste parti, eppure in qualche modo mi sembra di essere coinvolto nella rovina e nel triste futuro di ogni cosa. È più di quanto avessi messo in conto – molto di più – eppure sembra davvero un nonnulla. Che stupido, stupido, stupido sono. Di nuovo.

Anche se... dovrei forse limitarmi a stare qui seduto, col motore che ronza, nella speranza che l’orlo del continente torni a segnare la mia posizione con una boa? Dovrei rimettere la Fanfara (Obama l’ha usata per il suo discorso al Lincoln Memorial, dove ha funzionato)? Dovrei scendere dall’auto in questo freddo nebbioso e fare un giro intorno alla mia vecchia casa, magari trovando qualcosa che vi ho lasciato dieci anni fa? Un cesto di plastica per la biancheria sporca? Una pompa da bicicletta col nome Bascombe scritto sopra con uno smalto per unghie rosso? Che cazzo dovrei fare? Chiunque altro se la squaglierebbe. Certo, mi preoccupa la possibilità di bucare i radiali col chiodo di un tetto.

Davanti al finestrino della macchina, Arnie Urquhart, o un uomo che mi sembra lui, parla con una voce soffocata dal vetro chiuso. (Dove ha nascosto la Lexus?) Oltre le dune e il rudere della mia vecchia casa – la sua vecchia casa – sta indicando una pila di stecchi piovuti dal cielo. Probabilmente ho avuto un’amnesia dovuta all’ossido di carbonio. È qui da molto? C’è già stato il nostro incontro? Gli ho detto le cose come stanno, come facevo una volta?

Mi sembra che Arnie stia parlando delle Torri Gemelle, che è forse la ragione per cui sta puntando il dito verso il Nord. Un tempo credevo di riuscire a vederle dal mio terrazzo, mentre erano solo le nuvole e la luce che mi facevano degli scherzi. “Dev’esserci voluto davvero qualche pazzo per fare una cosa simile,” sta dicendo Arnie quando abbasso il vetro. All’improvviso siamo vicinissimi. “Quell’enorme grattacielo che ti viene dritto addosso, a cinquecento chilometri l’ora, cazzo. Davvero affascinante.” Non posso aprire la portiera perché Arnie la blocca.