Si deve anzi credere che il loro cervellino non la sappia mai. L'allarme viene dalla vista o dall'udito, e nella fretta passa direttamente alle ali. Gran bella cosa un cervellino privo di paura in un organismo in fuga! Uno degli animalucci ha trasalito? Tutti fuggono, ma in modo che pare dicano: Ecco una buona occasione per aver paura. Non conoscono le esitazioni. Costa tanto poco fuggire quando si hanno le ali. E il volo loro è sicuro. Evitano gli ostacoli rasentandoli, ed attraversano il più fitto groviglio di rami d'alberi senza mai esserne arrestati o lesi. Pensano soltanto quando son lontani, e cercano allora d'intendere la ragione della fuga, studiando i luoghi e le cose. Inclinano con grazia la testina a destra e a sinistra, e aspettano con pazienza di poter tornare al luogo donde son fuggiti. Se ci fosse della paura ad ogni loro fuga, sarebbero morti tutti. E Mario sospettava che si procurassero ad arte tante agitazioni. Infatti potrebbero mangiare in piena calma il pane che viene loro donato, e invece essi chiudono gli occhietti maliziosi ed hanno la convinzione che ogni loro boccone è un furto. Proprio così condiscono il pane asciutto. Da veri ladri non mangiano mai sul posto ove il pane è stato gettato, e là non c'è mai lite fra di loro perchè sarebbe pericoloso. La contesa per le briciole scoppia al posto ove son giunti dopo la fuga.

Grazie a tanta scoperta, stese con facilità la favola: “Un uomo generoso, regolarmente, per lunghi anni, aveva regalato ogni giorno del pane agli uccelletti, e viveva sicuro che l'animo loro fosse pieno di riconoscenza per lui. Non sapeva guardare costui: altrimenti si sarebbe accorto che gli uccelletti lo consideravano un imbecille cui, per tanti anni, avevano saputo rubare il pane senza che a lui fosse riuscito di catturare neppur uno di loro”.

Pare impossibile che un uomo sempre lieto com'era Mario, abbia commesso un'azione simile scrivendo questa favola. Era dunque lieto solo a fior di pelle? Ficcare tanta malizia e tanta ingiustizia nell'espressione più lieta della natura! Equivaleva a distruggerla. Io credo anche che immaginare quell'orrenda sconoscenza dagli alati, fosse una grave offesa all'umanità, perchè se gli uccellini che non sanno parlare parlano così, come si esprimerebbero i beneficati dalla lingua lunga?

E intimamente tristi erano tutte le sue piccole mummie: durante la guerra diminuì sulle vie di Trieste il transito dei cavalli i quali poi erano nutriti di solo fieno. Mancavano perciò sulla via quei semi saporiti lasciati intatti dalla digestione. E Mario si figurava di domandare ai suoi piccoli amici: “Siete alla disperazione?”. E gli uccellini rispondevano: “No, ma siamo in meno”.

Voleva forse Mario abituarsi a considerare anche il proprio insuccesso nella vita come una conseguenza di circostanze che non dipendevano da lui, per sottomettersi senza dolore? La favola resta sorridente solo perchè chi legge ride. Ride di quella bestia d'uccellino che non ricorda la disperazione, vicino alla quale è vissuto alcuni certi giorni, perchè egli stesso non ne fu toccato. Ma dopo di aver riso si pensa all'impassibile aspetto della natura quando fa i suoi esperimenti, e si rabbrividisce.

Spesso la sua favola fu dedicata alla delusione che segue ad ogni opera umana. Pareva volesse consolarsi della propria assenza dalla vita dicendosi: Sto bene io che non faccio, perchè non fallo.

Un ricco signore amava tanto gli uccellini da dedicare loro una sua vasta tenuta ove era proibito d'insidiarli o anche solo di spaventarli. Costruì per essi dei buoni ricoveri caldi per il lungo inverno, riforniti abbondantemente di nutrimento. Dopo qualche tempo nella vasta tenuta s'annidarono una quantità di uccelli rapaci, di gatti e persino di grossi roditori che aggredirono gli uccellini. Il ricco signore pianse, ma non guarì della bontà ch'è una malattia inguaribile, e lui che voleva nutriti gli uccellini, non seppe interdire il cibo ai falchetti e agli altri animali tutti.

E questa derisione della bontà umana, secca secca, fu anch'essa pensata da quel Mario roseo e sorridente. Egli gridava che la bontà umana non riesce che ad aumentare la vita su un dato posto dove subito scorre abbondante il sangue, e ne sembrava felice.

I giorni di Mario dunque erano sempre lieti. Si poteva anche pensare che tutta la sua tristezza passasse nelle sue favole amare e che perciò non arrivasse ad oscurare la sua faccia.