L'ossessione di questa serietà è così su tutti incombente e soffocante, che nessuno riesce a supporre che quei tre ne possano esser fuori, lontani, e possano avere in sé invece una innocente e magari sciocca ragione di ridere così di nulla; la ragazza, per esempio, solo perché ha sedici anni e perché è abituata a vivere come una puledra in mezzo a un prato fiorito, una puledra che imbizzarrisca a ogni alito d'aria e salti e corra felice, non sa lei stessa di che: si può giurare che non s'accorge di nulla, che non ha il minimo sospetto dello scandalo che sta sollevando insieme col padre e col fratello così anch'essi festanti, alieni e lontani d'ogni sospetto. Sicché quando, riuniti alla fine tutt'e tre su di un divano della sala di là, il padre in mezzo tra il figlio e la figlia, contenti e spossati, con un gran desiderio di abbracciarsi per il divertimento che si son presi, sgorgato dalla loro stessa gioja in tutte quelle belle risate come in un fragorìo d'effimere spume, si vedono venire incontro dalle tre grandi porte vetrate, come una nera marea sotto un cielo d'improvviso incavernato, tutta la folla degli invitati, lentamente, lentamente, con melodrammatico passo di tenebrosa congiura, dapprima non capiscono nulla, non credono che quella buffa manovra possa esser fatta per loro e si scambiano un'occhiata, ancora un po' sorridenti; il sorriso però va man mano smorendo in un crescente sbalordimento, finché, non potendo né fuggire e nemmeno indietreggiare, addossati come sono alla spalliera del divano, non più sbalorditi ma atterriti ora, levano istintivamente le mani come a parar la folla che, seguitando a procedere, s'è fatta loro sopra, terribile. I tre maggiorenti, quelli che, proprio per loro e non per altro, s'erano riuniti a consulto in una sala segreta, proprio per la voce che serpeggiava del loro riso inammissibile a cui han deliberato di dare una punizione solenne e memorabile, ecco, sono entrati dalla porta di mezzo e sono avanti a tutti, coi cappucci del domino abbassati fin sul mento e burlescamente ammanettati con tre tovaglioli, come rei da punire che vengano a implorare da loro pietà. Appena sono davanti al divano, una enorme sardonica risata di tutta la folla degli invitanti scoppia fracassante e rimbomba orribile più volte nella sala. Quel povero padre, sconvolto, annaspa tutto tremante, riesce a prendersi sotto braccio i due figli e, tutto ristretto in sé, coi brividi che gli spaccano le reni, senza poter nulla capire, se ne scappa, inseguito dal terrore che tutti gli abitanti della città siano improvvisamente impazziti.

VISITA

Cento volte gli avrò detto di non introdurmi gente in casa senza preavviso. Una signora, bella scusa: - T'ha detto Wheil? - Vàil, sissignore, così. - La signora Wheil è morta jeri a Firenze. - Dice che ha da ricordarle una cosa.

(Ora non so più se io abbia sognato o se sia davvero avvenuto questo scambio di parole tra me e il mio cameriere. Gente in casa senza preavviso me n'ha introdotta tanta; ma che ora m'abbia fatto entrare anche una morta non mi par credibile. Tanto più che in sogno io poi l'ho vista, la signora Wheil, ancora così giovane e bella. Dopo aver letto nel giornale, appena svegliato, la notizia della sua morte a Firenze, ricordo infatti d'aver ripreso a dormire, e l'ho vista in sogno tutta confusa e sorridente per la disperazione di non saper più come fare a ripararsi, avvolta com'era in una nuvola bianca di primavera che s'andava a mano a mano diradando fino a lasciar trasparire la rosea nudità di tutto il corpo di lei, e proprio là dove più il pudore voleva ch'esso rimanesse nascosto; tirava con la mano; ma come si fa a tirare un vano lembo di nuvola?)

Il mio studio è tra i giardini. Cinque grandi finestre, tre da una parte e due dall'altra; quelle, più larghe, ad arco; queste, a usciale, sul lago di sole d'un magnifico terrazzo a mezzogiorno; e a tutt'e cinque, un palpito continuo di tende azzurre di seta. Ma l'aria dentro è verde per il riflesso degli alberi che vi sorgono davanti. Con la spalliera volta contro la finestra che sta nel mezzo è un gran divano di stoffa anch'essa verde ma chiara, marina; e tra tanto verde e tanto azzurro e tanta aria e tanta luce, abbandonarvisi, stavo per dire immergervisi, è veramente una delizia. Ho ancora in mano, entrando, il giornale che reca la notizia della morte della signora Wheil, jeri, a Firenze. Non posso avere il minimo dubbio d'averla letta: è qua stampata; ma è anche qua seduta sul divano ad aspettarmi la bella signora Anna Wheil, proprio lei. Può darsi che non sia vera, questo sì. Non me ne stupirei affatto, avvezzo come sono da tempo a simili apparizioni. O se no, c'è poco da scegliere, sta tra due, non sarà vera la notizia della sua morte stampata in questo giornale. E' qua vestita come tre anni fa d'un bianco abito estivo d'organdis, semplice e quasi infantile, sebbene ampiamente aperto sul petto. (Ecco la nuvola del sogno, ho capito). In capo, un gran cappello di paglia annodato da larghi nastri di seta nera. E tiene gli occhi un po' socchiusi a difesa dalla luce abbagliante dei due finestroni dirimpetto; ma poi, è strano, espone invece a questa luce, reclinando il capo indietro con intenzione, la meravigliosa dolcezza della gola, come le sorge dal caldo trasognato candore del petto e sù dall'attaccatura del collo fino al purissimo arco del mento. Quest'atteggiamento senza dubbio voluto m'apre tutt'a un tratto la mente: ciò che la bella signora Anna Wheil ha da ricordarmi è tutto lì, nella dolcezza di quella gola, nel candore di quel petto; e tutto in un attimo solo, ma quando un attimo si fa eterno e abolisce ogni cosa, anche la morte, come la vita, in una sospensione d'ebbrezza divina, in cui dal mistero balzano d'improvviso illuminate e precise le cose essenziali, una volta per sempre.

La conosco appena (morta, dovrei dire: "la conoscevo appena", ma lei è qua ora come nell'assoluto d'un eterno presente, e posso dir dunque: la conosco appena), l'ho veduta una volta sola in una riunione festiva nel giardino d'una villa di comuni amici, a cui lei è venuta con quest'abito bianco d'organdis. In quel giardino, quella mattina, le donne più giovani e più belle avevano quell'ardore sfavillante che nasce in ogni donna dalla gioja di sentirsi desiderata. S'eran lasciate prendere nel ballo e, sorridendo, ad accendere di più quel desiderio, avevan guardato sulle labbra così d'accosto l'uomo da sfidarlo irresistibilmente al bacio. Ma di primavera, momenti di rapimento, col tepore del primo sole che inebria, quando nell'aria molle è pure un vago fermento di sottili profumi e lo splendore del verde nuovo, che dilaga nei prati, brilla con vivacità così eccitante in tutti gli alberi intorno; strani fili di suono luminosi avviluppano; improvvisi scoppi di luce stordiscono; lampi di fughe, felici invasioni di vertigini; e la dolcezza della vita non par più vera, tanto è fatta di tutto e di niente; né vero più, né da tenerne più conto, ricordando poi nell'ombra, quando quel sole è spento, tutto ciò che s'è fatto e s'è detto. Sì, m'ha baciata. Sì, gliel'ho promesso. Ma un bacio appena sui capelli, ballando.