Una promessa così per ridere. Dirò che non l'ho avvertito. Gli domanderò se non è matto a pretendere ch'io ora mantenga sul serio. Si poteva esser certi che nulla di tutto questo era accaduto alla bella signora Anna Wheil, la cui piacenza sembrava a tutti così aliena e placida che nessuna bramosia carnale avrebbe osato sorgere davanti a lei. Io però avrei giurato che per quel rispetto che tutti le portavano lei avesse negli occhi un brillìo di riso ambiguo e pungente, non perché sentisse in segreto di non meritarselo, ma anzi al contrario perché nessuno mostrava di desiderarla come donna a causa di quel rispetto che pur le si doveva portare. Era forse invidia o gelosia, o forse sdegno o malinconica ironia; poteva anche essere tutte queste cose messe insieme. Me ne potei accorgere in un momento, dopo averla seguita a lungo con gli occhi nei balli e nei giuochi a cui anche lei aveva preso parte; in ultimo anche nelle corse pazze che, forse per offrirsi uno sfogo, aveva fatte sui prati coi bambini. La padrona di casa, con cui mi trovavo, mi volle presentare a lei mentre era ancor china a rassettare le testoline scapigliate e le vesti in disordine a quei bambini. Nel rizzarsi d'improvviso per rispondere alla presentazione, la signora Anna Wheil non pensò di rassettarsi anche lei sul petto l'ampia scollatura di quel suo abito d'organdis; sicché io non potei fare a meno d'intravedere del suo seno forse più di quanto onestamente avrei dovuto. Fu solo un attimo. Subito portò la mano per ripararselo. Ma dal modo con cui, in quell'atto che volle parer furtivo, mi guardò, compresi che della mia involontaria e quasi inevitabile indiscrezione non s'era per nulla dispiaciuta. Quel brio di luce che aveva negli occhi sfavillò anzi diversamente da prima, sfavillò d'un estro quasi folle di riconoscenza, perché nei miei occhi rideva senz'alcun rispetto una gratitudine così pura di quel che avevo intravisto che ogni senso di concupiscenza restava escluso e solo si appalesava lampante il pregio supremo che io attribuivo alla gioja che l'amore d'una donna come lei, bella tutta come lei, coi tesori d'una divina nudità con così pudica fretta ricoperta, poteva dare a un uomo che avesse saputo meritarselo. Questo le dissero chiaramente i miei occhi, splendenti ancora di quel baleno d'ammirazione; e questo fece subito che io diventassi per lei il solo Uomo, veramente uomo, tra tutti quelli che erano in quel giardino; nello stesso tempo che lei m'appariva tra tutte le altre la sola Donna, veramente donna. E non ci potemmo più separare per tutto il tempo che durò quella riunione. Ma oltre questa tacita intesa, durata un attimo, per sempre, non ci fu altro tra noi. Nessuno scambio di parole, fuori delle comuni e usuali, sulla bellezza di quel giardino, sulla giocondità di quella festa e la graziosa ospitalità dei nostri comuni amici. Ma, pur parlando così di cose aliene o casuali, le rimase negli occhi, felice, quel brillìo di riso che pareva rampollasse come un'acqua viva dal profondo segreto di quella nostra intesa e se ne beasse senza badare ai sassi e alle erbe tra cui ora scorreva. E un sasso fu anche il marito in cui c'imbattemmo poco dopo allo svoltare d'un viale. Me lo presentò. Alzai un istante gli occhi a guardarla negli occhi. Un battito appena di ciglia velò quel brio di luce, e solo con esso la bella signora mi confidò che lui, quel bravo uomo del marito, non s'era mai neppur sognato di comprendere ciò che avevo compreso io in un attimo solo; e che questo non era da ridere, no; era anzi la sua mortale afflizione, perché una donna come lei certo non sarebbe stata mai d'altro uomo. Ma non importava. Bastava che uno almeno lo avesse compreso. No, no, io non dovevo più, neppur senza volerlo, seguitando ora ad andare e a parlare noi due soli, non dovevo più posarle gli occhi sul seno e obbligar la sua mano ad accertarsi di furto ch'io non potessi più essere indiscreto; sarebbe stato ormai peccaminoso, per me insistere, e per lei tornare a compiacersene. C'eravamo già intesi. Doveva bastare. Non si trattava più di noi due; non era più da cercare né di sapere e neppur d'intravedere com'era lei, ch'era tutta bella, sì, come lei sola si conosceva; ci sarebbe stato allora da considerare tant'altre cose che riguardavano me: questa sopra tutto: che avrei dovuto avere per lei, a dir poco, vent'anni di meno: una gran malinconia di inutili rimpianti; no, no; una cosa bella, da riempirci della più pura gioja tra tanto splendore di sole e tanto riso di primavera, s'era rivelata a noi: questa cosa essenziale che è sulla terra, con tutto il nudo candore delle sue carni, in mezzo al verde d'un paradiso terrestre, il corpo della donna, concesso da Dio all'uomo come premio supremo di tutte le sue pene, di tutte le sue ansie, di tutte le sue fatiche. - Se dovessimo pensare a te e a me... Mi voltai.