D’Anna Thèsis Zanichelli Italo Svevo Una vita IV

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Alfonso credeva di avere dello spirito e ne aveva di fatto nei soliloqui.

Non gli era stato mai concesso di farne con persone ch’egli stimasse ne vales-sero la fatica, e, recandosi dai Maller, pensava che un suo sogno stava per realizzarsi. Aveva meditato molto sul modo di contenersi in società e s’era preparato alcune massime sicure sufficienti a tener luogo a qualunque altra lunga pratica. Bisognava parlare poco, concisamente e, se possibile, bene; bisognava lasciar parlare spesso gli altri, mai interrompere, infine essere disinvolto e senza che ne trapelasse sforzo. Voleva dimostrare che si può essere nato e vissuto in un villaggio e per naturale buon senso non aver bisogno di pratica per contenersi da cittadino e di spirito.

La casa del signor Maller era situata in via de Forni, una via della città nuova, composta di case mancanti d’eleganza all’esterno, grigie, di cinque piani con a pianterreno dei magazzini spaziosi. Non era molto illuminata e, di sera, cessato il movimento dei carri asportanti merci, poco frequentata.

Era piovuto nella giornata e Alfonso, per non infangarsi, camminava rasentando le mura delle case. Trovata la casa, egli rimase alquanto sorpreso nell’atrio. Era illuminato che pareva giorno. Largo, diviso in due parti sepa-rate da una scalinata, aveva l’aspetto di un anfiteatro in miniatura. Era completamente deserto e, salendo la scalinata, non udendo che il suono e l’eco dei propri passi, Alfonso credette di essere l’eroe di qualche racconto di fate.

Prima persona che gli si presentò sulle scale fu un vecchio rubizzo dalla barba bianca ben conservata, che scendeva canticchiando. – Chi cerca? – gli chiese, e il tono di quella voce bastò per far capire ad Alfonso che ad onta del suo vestito nero in quella casa si riconosceva in lui alla prima occhiata l’uo-mo povero.

– Abita qui il signor Maller? – chiese timidamente.

Il volto del vecchio divenne anche più serio; non era possibile che una persona pulita non sapesse dove abitava il signor Maller; cominciava già ad annusare l’accattone.

Si trovavano all’ultima scala per arrivare al primo piano; dal pianerottolo Santo sporse il suo capo ispido come un cardo:

– E’ un impiegato – gridò; – venga, venga, signor Nitti.

– Oh! Santo! – esclamò Alfonso lieto d’imbattersi in volto conosciuto, e salì le scale in premura.

Il portiere si lisciò la barba:

– Ah! così? – e senza salutare continuò a scendere, dopo pochi passi rimettendosi a canticchiare.

Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 22

ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli Italo Svevo Una vita IV

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Santo, appoggiato negligentemente alla balaustrata, attese Alfonso senza mutar positura e quando lo ebbe accanto gli disse:

– La introdurrò io – sempre ancora immobile; poi, riflettendo: – E’

stato invitato dal signor Maller? – domanda che fece credere ad Alfonso che ci fosse una stanza apposita destinata a ricevere gl’impiegati invitati dal signor Maller.

Improvvisamente Santo si mise a camminare celeremente verso una porta a destra.

– Scusi un istante, – gridò, e, lasciandolo sulla soglia, entrò nel corridoio con passo frettoloso, aperse la prima porta e la sbatacchiò dietro di sé. Rimasto solo, Alfonso si trovò in una semioscurità nel corridoio tappezzato a colori smorti con due porte per parte ed una in fondo, piccole, colorate in nero lucido. Udiva alla destra lo scoppio della voce di Santo a cui rispondevano la voce e le risate di una donna; le parole non arrivava a comprendere, risonavano confuse come in un vuoto.

Santo uscì ridendo sgangheratamente; aveva la bocca piena. Attraverso all’uscio socchiuso Alfonso scorse una cucina ricca di vasellame di rame lucente, un focolare e accanto una donna grassa e bionda, illuminata dalla luce rossastra del fornello; con un cucchiaio in mano minacciava Santo. Santo continuò per un pezzo a ridere sotto i baffi. Si diresse verso la porta di fondo.