Ad onta di quanto gli era stato detto, Alfonso credette di veder brillare in quegli occhi irrequieti la gioia per i quindici giorni di libertà.
Miceni occupò la stanza di Sanneo per essere alla mano dei direttori.
Riceveva gli ordini direttamente dal signor Maller o dal signor Cellani e Alfonso gl’invidiava la disinvoltura con la quale trattava con tali alti personaggi.
Per Alfonso fu questo un intervallo di riposo a quel lavorio di copiatura a cui veniva costretto da Sanneo ed ebbe poscia spesso a rimpiangere questi quindici giorni. Non importava gran fatto a Miceni che venissero spedite molte offerte; per corrispondere all’impegno preso gli bastava che il lavoro d’obbligo venisse fatto intero e senza errori. Ebbe l’intelligenza di abbandonare subito il sistema seguito da Sanneo. Costui non dava da fare la posta corrente che a Miceni e a due altri impiegati; gli altri tutti facevano un lavoro Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 38
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basso di copiatura e di revisione di conteggi: “E’ preferibile un impiegato che comprenda a dieci imbecilli” soleva dire Sanneo. Miceni chiamò tutti ad aiutarlo e ad Alfonso toccò scrivere piccole lettere italiane di scritturazione, lavoro più variato e più piccolo di quello avuto sino ad allora.
Solo nella sua stanza, trovò il tempo di leggere dei libri che si portava di casa. Romanzi non leggeva avendo ancora sempre il disprezzo da ragazzo per la letteratura detta leggera. Amava i suoi libri scolastici che gli ricordavano l’epoca più felice della sua vita. Uno di questi leggeva e rileggeva instancabile, un trattatello di retorica contenente una piccola antologia ragionata di autori classici. Vi si parlava per lungo e per largo di stile fiorito o meno, lingua pura o impura, e Alfonso, avuta l’idea teorica che faceva sua, sognava di divenire il divino autore che avrebbe riunito in sé tutti quei pregi essendo immune da quei difetti.
Alla sera nella stanza di Alfonso, la quale era la più appartata, si riuniva-no parecchi corrispondenti a chiacchierare. Quando c’era il signor Sanneo vi si stava sempre all’erta perché capitava inatteso come una bomba, col suo passo sempre affrettato e a pena entrato, qualunque ora fosse, gridava: “Non perdano tempo, non perdano tempo!” Nessuno si arrischiava di rispondere e il gruppo si scioglieva come una mandra dispersa da un cane imbizzito.
Miceni invece, anche adesso, veniva qualche sera a passare la mezz’ora quieto in quella stanza. Stava zitto, sdraiato sul vecchio sofà, stanco ma lieto della giornata, agitato dall’importanza del suo lavoro.
Ballina lo trattava per derisione con rispetto affettato. Un giorno, nella foga del lavoro, Miceni gli aveva rimproverato lentezza ed egli non gliela perdonava. Miceni cercò di giustificare quella sgridata, ma Ballina gli rise in faccia.
– Come se gli affari della banca fossero i tuoi. Capisco quantunque molto difficilmente, che il signor Maller, che il signor Sanneo ci tratti con alterigia, ma non un capo corrispondente per quindici giorni.
Certamente Ballina doveva essere una persona felice; aveva la beatitudi-ne del suo molto lavoro meccanico tanto evidente, che persino Alfonso che volentieri non l’avrebbe ammessa, la comprese. Si diceva per vanteria capo dell’ufficio informazioni ma ne era l’unico componente. Lui domandava le informazioni e lui le copiava e le disponeva per ordine alfabetico in un grande armadio. Non teneva sospesi perché il suo lavoro non lo richiedeva e aveva l’abitudine di rimanere all’ufficio molte più ore di quanto fosse obbli-Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 39
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gato.
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