Il colpo era parso così lieve che nessuno a bordo se ne sarebbe inquietato, se gli uomini della stiva non si fossero precipitati sul ponte, gridando:

— Affondiamo, affondiamo!

In un primo momento, i passeggeri si spaventarono, ma il capitano Anderson si affrettò a rassicurarli.

Infatti, il pericolo non poteva essere imminente, poiché lo Scotia, diviso in sette compartimenti stagni, poteva affrontare una falla senza troppe preoccupazioni.

Il capitano scese immediatamente nella stiva, dove scoprì che il quinto compartimento era stato invaso dall'acqua, e la rapidità dell'invasione provava l'ampiezza della falla. Per fortuna le caldaie non si trovavano in questo compartimento, poiché i fuochi si sarebbero subito spenti. Il capitano Anderson ordinò senz'altro di chiudere la falla, ed uno dei marinai si tuffò per esaminare l'entità dell'avaria. Poco dopo si constatò che nella carena del vapore c'era un buco largo due metri, che non si sarebbe potuto chiudere; e lo Scotia dovette continuare il suo viaggio con le ruote mezzo sprofondate nell'acqua. La nave si trovava allora a trecento miglia dal capo Clear, e dopo tre giorni di ritardo, che cagionarono una viva inquietudine a Liverpool, entrò nei bacini della Compagnia per le riparazioni necessarie.

Gli ingegneri procedettero allora alla visita dello Scotia, che fu messo in secco: ma non poterono credere ai loro occhi. A due metri e mezzo sotto la linea d'immersione si apriva un foro regolare a forma di triangolo isoscele; il taglio della lastra era tanto netto, che fatto da uno stampo non sarebbe riuscito meglio. Bisognava dunque che lo strumento perforante da cui era stato prodotto fosse d'una tempra poco comune e che, dopo esser stato lanciato con una forza prodigiosa ed aver forato così una lastra di quattro centimetri, si fosse ritirato da solo con un movimento retrogrado veramente inspiegabile.

Quest'ultimo fatto appassionò nuovamente l'opinione pubblica. Infatti, da quel momento, tutti i disastri marini che non avevano causa determinata, furono addossati al mostro. Il fantastico animale ebbe la responsabilità di tutti quei naufragi che disgraziatamente sono numerosi; poiché di tremila navi che si perdono ogni anno, secondo le statistiche date dal Registro Navale francese, il numero delle navi a vapore o a vela, che si suppongono perdute per mancanza di notizie, arriva a duecento!

Il mostro fu così, giustamente o ingiustamente, accusato della loro sparizione; e siccome per colpa sua le comunicazioni fra i diversi continenti divenivano sempre più pericolose, il pubblico domandò ripetutamente che i mari fossero sbarazzati una buona volta, e a ogni costo, da quel terribile cetaceo.

CAPITOLO II

IL PRO E IL CONTRO

Quando avvenivano questi fatti, io tornavo da una esplorazione scientifica intrapresa nelle terre del Nebraska, negli Stati Uniti. Nella mia qualità di professore supplente al Museo di Storia Naturale di Parigi, il Governo francese mi aveva chiamato a far parte di quella spedizione. Dopo sei mesi passati nel Nebraska, arrivai verso la fine di marzo a New York, carico di collezioni preziose. La mia partenza per la Francia era stabilita nei primi di maggio, però, durante l'attesa, ero occupato a classificare le mie ricchezze mineralogiche, botaniche, zoologiche, quando avvenne l'incidente dello Scotia.

Ero perfettamente al corrente della questione di cui si parlava tanto, avevo letto e riletto tutti i giornali americani ed europei senza però sapere particolari più precisi; e non potendo farmi un'opinione, non parteggiavo per nessuno. Ero certo che nel mistero ci fosse qualche cosa di soprannaturale, e gli increduli erano invitati a mettere il dito sulle piaghe dello Scotia.

Al mio arrivo a New York, la questione ferveva più che mai. L'ipotesi dell'isola galleggiante, dello scoglio inaccostabile, sostenuta da alcune menti di poca autorità, era abbandonata completamente. E, a dire il vero, se questo scoglio non aveva una macchina nel ventre, come poteva muoversi così velocemente?

Anche l'idea di un enorme relitto di vascello galleggiante era stata respinta, perché non avrebbe potuto muoversi tanto rapidamente.

Restavano dunque due soluzioni possibili che avevano due distinte schiere di partigiani; da una parte, quelli che affermavano l'esistenza d'un mostro d'una forza colossale; dall'altra, quelli che sostenevano fosse una nave sottomarina dotata d'una forza motrice molto potente.

Sennonché, l'ultima ipotesi, che pure era ammissibile, non poté sopravvivere alle inchieste che furono fatte nei due mondi. Non era probabile che un semplice privato avesse a sua disposizione un simile congegno metallico. Dove e quando l'avrebbe fatto costruire e come avrebbe potuto tenerne nascosta la costruzione?

Solo un Governo poteva possedere una macchina distruttiva simile, e certamente nell'epoca disastrosa in cui l'uomo s'ingegna a moltiplicare la potenza delle armi da guerra, era possibile che uno Stato provasse, all'insaputa degli altri, il formidabile congegno. Dopo gli chassepots, le torpedini; poi gli arieti sottomarini, poi la reazione. Almeno, la pensavo così.

Ma anche l'ipotesi d'una macchina da guerra cadde, dopo le dichiarazioni dei Governi. E siccome si trattava di un interesse pubblico, poiché le comunicazioni transoceaniche ne erano danneggiate, la schiettezza dei Governi non poteva essere messa in dubbio. D'altra parte, come ammettere che la costruzione di quella nave sottomarina fosse sfuggita agli occhi del pubblico? Serbare il segreto in tali condizioni è molto difficile per un privato, e impossibile per uno Stato, dove tutte le azioni sono continuamente sorvegliate dalle potenze rivali.

E così, dopo le inchieste fatte in Inghilterra, in Francia, in Russia, in Prussia, in Spagna, in Italia, in America e perfino in Turchia, l'ipotesi d'un Monitor sottomarino fu definitivamente respinta.

Il mostro venne dunque a galla, a dispetto degli incessanti motteggi della piccola stampa, e così le menti furono in breve trasportate alle più assurde creazioni d'una ittiologia fantastica.

Al mio arrivo a New York, molte persone m'avevano fatto l'onore di chiedermi che cosa pensassi del fenomeno che interessava tutto il mondo. Io avevo pubblicato in Francia un'opera in due volumi, dal titolo: I misteri delle profondità sottomarine. Questo libro, apprezzato specialmente dagli scienziati, mi aveva fruttato la stima di uno specialista in questo oscuro settore della storia naturale. Fu chiesto il mio parere, e finché potei negare la realtà del fatto, insistetti, ma non passò molto tempo che, messo con le spalle al muro, dovetti spiegarmi chiaramente. Anzi, «all'onorevole Pietro Aronnax, professore al Museo di Parigi» fu dal «New York Herald» intimato di formulare un'opinione qualunque.

Obbedii a malincuore, e parlai perché non potevo proprio tacere. Discussi la questione sotto tutti gli aspetti, politicamente e scientificamente, e presento qui un estratto d'un articolo assai concettoso che pubblicai nel numero del 30 aprile.

«Così, — scrivevo — esaminate a una a una le differenti ipotesi, respinta ogni altra supposizione, bisogna necessariamente ammettere l'esistenza di uno straordinario mostro marino.

«Le grandi profondità dell'Oceano ci sono completamente sconosciute. Lo scandaglio non seppe raggiungerle, che cosa avviene in quegli insondabili abissi?

«Quali esseri abitano e possono abitare a dodici, o quindici miglia sotto la superficie delle acque? E quale è l'organismo di questi animali? È appena possibile immaginarlo.

«Tuttavia la soluzione del problema che mi è proposto, può prendere la forma di un dilemma: o ci sono note tutte le varietà d'esseri che popolano tutto il nostro pianeta, o non ci sono note.

«Se non le conosciamo tutte, e se la natura ha, in fatto d'ittiologia, ancora dei segreti per noi, non c'è nulla di più accettabile che ammettere l'esistenza di pesci o di cetacei, di specie e perfino di genere nuovo, dotati di un organismo essenzialmente distruttore, che abitino gli strati dove lo scandaglio non può giungere, e che un avvenimento qualunque, fantasia o capriccio, se così si vuole, conduce, a lunghi intervalli di tempo, alla superficie dell'Oceano.

«Se, al contrario, tutte le specie viventi ci sono note, bisogna necessariamente cercare l'animale di cui si tratta fra gli esseri marini già classificati, e in questo caso, sarei propenso ad ammettere l'esistenza d'un Narvalo gigantesco.

« Il narvalo volgare, o liocorno marino, ha spesso la lunghezza di sessanta piedi. Quintuplicate, decuplicate anche questa dimensione, date al cetaceo una forza proporzionata alle sue misure, aumentate il potere delle sue armi offensive, e avrete l'animale voluto, che avrà le proporzioni determinate dagli ufficiali dello Shannon, lo strumento adattato alla perforazione dello Scotia, e la potenza necessaria per attaccare la carena di un vapore.

«Infatti, il narvalo è armato d'una specie di spada d'avorio, di un'alabarda, secondo l'espressione di certi naturalisti. È un dente principale che ha la durezza dell'acciaio. Alcuni di questi denti furono trovati conficcati nel corpo delle balene che il narvalo affronta sempre con buon esito.