Alcuni furono strappati, non senza fatica, dalle carene di vascelli che avevano passato da parte a parte.

«Il Museo della facoltà di medicina di Parigi possiede una di queste armi, lunga due metri e venticinque centimetri e larga quarantotto centimetri alla base!

«Supponete, dunque, l'arma dieci volte più forte, e l'animale dieci volte più poderoso, spingetelo con la velocità di venti miglia all'ora, moltiplicate il suo volume per la sua velocità, e avrete un urto capace di produrre la catastrofe richiesta.

«Finché non giungano informazioni più precise, io propenderò a credere all'esistenza di un liocorno marino di dimensioni colossali, armato non già di un'alabarda, ma d'un vero sperone, come le fregate corazzate ed i ram da guerra, di cui ha, in una volta, il volume e la forza motrice.

«In questo modo si spiegherebbe il fenomeno inspiegabile, se pure, nonostante quello che si è intravisto, visto, sentito e risentito, esiste veramente!»

Queste ultime parole, erano, da parte mia, un atto di codardia; ma volevo, fino ad un certo punto, mettere in salvo la mia dignità di professore e non dare facile motivo di scherno agli americani, che, quando ridono, ridono di gusto. Mi riservavo una scappatoia, ma, in fondo, ammettevo l'esistenza del mostro.

Il mio articolo, lungamente discusso, fece molto chiasso e raccolse un gran numero di partigiani. D'altronde, la soluzione che proponeva, lasciava libero il campo alle immaginazioni. Lo spirito umano si compiace di simili concezioni grandiose d'esseri naturali. Il mare è precisamente il loro miglior veicolo, il solo mezzo in cui questi giganti, - vicino ai quali gli animali terrestri, elefanti o rinoceronti, sono dei nani - possano riprodursi e svilupparsi. Le masse liquide trasportano le più grandi specie conosciute di mammiferi, e forse nascondono anche masse di crostacei, molto grossi, come gamberi di cento metri, o granchi del peso di duecento tonnellate! E perché no? Una volta, gli animali terrestri, contemporanei delle epoche geologiche, i quadrumani, i quadrupedi, i rettili, gli uccelli, erano costruiti secondo modelli giganteschi. Il Creatore aveva loro dato una forma colossale, che il tempo rimpicciolì poco alla volta. E perché il mare, nelle sue profondità sconosciute, non potrebbe conservare gli enormi esemplari della vita di un'altra età: il mare che non si cambia mai, mentre la scorza terrestre si cambia continuamente? Perché non potrebbe nascondere nel suo seno le ultime varietà di quelle specie titaniche, i cui anni sono secoli, e i secoli millenni?

Ma io mi lascio trasportare dalla fantasia! Bando alle chimere, che il tempo ha cambiato per me in terribili realtà! Lo ripeto: sulla natura del fenomeno, il pubblico ammise senz'altro l'esistenza d'un essere prodigioso, che non aveva nulla in comune con i favolosi serpenti marini.

Ma dove gli uni non videro se non un problema puramente scientifico da risolvere, altri, più positivi, soprattutto in America e in Inghilterra, furono dell'opinione di liberare l'Oceano dal terribile mostro e rendere sicure le comunicazioni transoceaniche.

Per raggiungere questo fine i giornali industriali e commerciali trattarono la questione; la «Shipping and Mercantile Gazette», il «Lloyd», il «Paquebot», la «Revue maritime et coloniale», tutti insomma i giornali fedeli alle Compagnie d'assicurazione, che minacciavano di elevare il tasso dei loro premi, furono d'accordo su questo punto.

Essendosi l'opinione pubblica espressa in questo modo, gli Stati Uniti furono i primi a dare l'esempio, e a New York vennero fatti i preparativi per una spedizione che doveva inseguire il narvalo. Una fregata di grande velocità, L’ Abraham Lincoln, si preparò per prendere il mare al più presto, e gli arsenali furono aperti al comandante Farragut, che affrettò l'armamento della sua nave.

Per l'appunto, e come avviene sempre, non appena si fu deciso d'inseguire il mostro, questo non ricomparve più. Per due mesi nessuno ne sentì più parlare, e non ci fu nessuna nave che lo incontrasse, come se il liocorno avesse saputo dei complotti che si tramavano nei suoi riguardi.

Se ne era parlato tanto, ed anche per telegrafo sottomarino! Perciò i motteggiatori asserivano che l'animale, furbo, avesse intercettato, nel passaggio, qualche telegramma!

Quando la fregata fu pronta per una lunga campagna e provvista di formidabili congegni da pesca, non si sapeva verso che porto dirigerla, e l'impazienza andava crescendo, quando il 2 luglio si seppe che un vapore della linea da San Francisco di California a Shanghai aveva riveduto tre settimane prima il liocorno, nei mari settentrionali del Pacifico.

L'impressione provocata da questa notizia al comandante Farragut fu grandissima. Non furono accordate nemmeno ventiquattr'ore di dilazione. I viveri erano già imbarcati, i magazzini rigurgitavano di carbone; gli uomini dell'equipaggio c'erano tutti; non rimaneva dunque altro che accendere i fuochi, riscaldare le caldaie e partire. Non sarebbe certo stata perdonata una mezza giornata di ritardo, e, dal canto suo, il comandante Farragut non domandava che di partire.

Tre ore prima che l’ Abraham Lincoln lasciasse il pier di Brooklyn, ricevetti una lettera così concepita:

Signor Aronnax

professore al Museo di Parigi

Albergo della Quinta Strada

New York

Signore,

se volete unirvi alla spedizione dell’ Abraham Lincoln, il Governo dell'Unione vedrà con piacere che la Francia sia rappresentata da Voi in questa impresa. Il comandante Farragut ha una cabina a Vostra disposizione. Molto cordialmente il Vostro

J. B. HOBSON Segretario della marina.

CAPITOLO III

«COME PIACERÀ AL SIGNORE»

TRE secondi prima che mi giungesse la lettera di J. B. Hobson, io pensavo ad inseguire il liocorno, come a tentare il passaggio del nord-ovest, e tre secondi dopo aver letto la lettera dell'onorevole segretario della marina, comprendevo invece, finalmente, che la mia vera vocazione, l'unico scopo della mia vita era di dare la caccia a questo mostro inquietante per liberarne il mondo.

Eppure, ritornavo da un viaggio difficoltoso, affaticato e desideroso di riposo, non aspirando ad altro che di rivedere il mio Paese, i miei amici, la mia abitazione del Giardino Zoologico, le mie care e preziose collezioni. Ma nulla poté trattenermi; dimenticai ogni cosa, amici, casa e collezioni, e accettai, senza riflettere oltre, l'offerta del Governo americano.

«E poi», pensai «tutte le strade conducono in Europa, e il liocorno sarà così gentile da condurmi verso la Francia! Questo degno animale si lascerà cogliere nei mari d'Europa, solo per farmi piacere, e io giuro di portarmi almeno mezzo metro della sua alabarda d'avorio al Museo di storia naturale.»

Ma, intanto, dovevo cercare il narvalo nel nord dell'Oceano Pacifico; vale a dire che, per ritornare in Francia, pigliavo la via degli Antipodi.

— Consiglio! — chiamai spazientito.

Consiglio era il mio servitore, un giovanotto affezionato che mi accompagnava in tutti i viaggi, un bravo fiammingo che mi voleva bene, e a cui ero affezionato; un essere flemmatico per natura, ordinato per principio, zelante per abitudine, difficile a meravigliarsi degli incidenti della vita, abilissimo e adatto a ogni servizio, e, a dispetto del suo nome, non prodigo di consigli, nemmeno quando gli venivano chiesti.

Siccome aveva avuto a che fare con gli scienziati del nostro piccolo mondo del Giardino Zoologico, Consiglio era riuscito a imparare qualche cosa. Avevo in lui uno specialista molto versato nella classificazione di storia naturale, che percorreva con l'agilità di un acrobata tutta la scala dei rami, dei gruppi, delle classi, delle sottoclassi, degli ordini, delle famiglie, dei generi e sottogeneri, delle specie e delle varietà. Ma tutta la sua scienza finiva lì. La sua vita consisteva nel classificare e non sapeva far altro. Approfondito nella teorica della classificazione, poco nella pratica, credo che non avrebbe distinto un capodoglio da una balena. Ciò nonostante, era un gran bravo ragazzo.

Consiglio, da dieci anni mi seguiva dappertutto dove la scienza mi portava, senza lamentarsi mai della lunghezza o della fatica di un viaggio. Faceva le valigie per un Paese qualunque, Cina o Congo, per quanto lontano fosse, senza dire una parola. Andava dove lo si conduceva e non domandava nulla.

Inoltre aveva una salute di ferro, muscoli solidissimi, e non era affatto nervoso.

Questo giovanotto aveva trent'anni, dieci meno del suo padrone.

Ma Consiglio aveva un difetto. Ostinato formalista, non mi parlava mai che in terza persona, al punto di diventare seccante.

— Consiglio! — richiamai facendo febbrilmente i preparativi per la partenza.

Potevo fare sicuro affidamento su quel giovane affezionato. E, di solito, non gli domandavo mai se gli fosse piaciuto seguirmi nei miei viaggi o no; ma questa volta si trattava di una spedizione che poteva prolungarsi troppo, di un'impresa arrischiata, di inseguire un animale capace di affondare una fregata come un guscio di noce. C'era da impressionare l'uomo più impassibile del mondo!

— Consiglio! — gridai una terza volta, e Consiglio apparve.

— Il signore mi chiama? — disse entrando.

— Sì, mio caro.