La luna, che era nel suo primo quarto, era velata da una fitta nuvolaglia, e il mare ondeggiava tranquillamente sotto la ruota di prua della fregata.
In quel momento io ero a prua, appoggiato all'impavesata di dritta. Consiglio, che mi stava vicino, guardava dinanzi a sé; l'equipaggio, appollaiato sulle sartie, guardava l'orizzonte che andava oscurandosi a poco a poco. Gli ufficiali scandagliavano con i loro cannocchiali l'oscurità crescente. A volte, l'Oceano scintillava al raggio della luna, che trapelava fra le nuvole; poi ogni traccia luminosa svaniva nelle tenebre.
Osservando Consiglio, vidi che il bravo giovanotto si adattava anch'egli allo stato d'animo generale, o almeno così credetti. Forse, e per la prima volta, i suoi nervi vibravano sotto l'azione della curiosità.
— Andiamo, Consiglio, — dissi, — ecco un'ultima occasione d'intascare duemila dollari.
— Il signore mi permetta di dire che io non ho mai fatto assegnamento su questo premio, e che il Governo degli Stati Uniti poteva promettere centomila dollari, che non sarebbe divenuto per questo più povero.
— Hai ragione, Consiglio; dopo tutto, ci siamo messi troppo leggermente in una sciocca faccenda; quanto tempo perduto e quante emozioni inutili! Da sei mesi saremmo già in Francia!...
— Nell'appartamentino del signore, — aggiunse Consiglio, — nel museo del signore; e io avrei già classificato i fossili del signore! E il babirussa del signore, sarebbe nella sua gabbia del Giardino Zoologico e attirerebbe tutti i curiosi della capitale!
— È proprio così, Consiglio; senza contare che saremo beffati, m'immagino!
— Senza dubbio, — rispose tranquillamente il mio domestico — io credo che il signore sarà deriso. E... debbo dirlo?...
— Devi dirlo, Consiglio.
— Ebbene, il signore avrà quello che si merita!
— Davvero?!
— Quando si ha l'onore di essere uno scienziato come il signore, non bisogna esporsi...
Consiglio non poté finire il suo complimento, poiché tra il silenzio generale s'era udita una voce, la voce di Ned Land, che gridava:
— Ohe!... la cosa in questione, sottovento, in faccia a noi!
CAPITOLO VI
A TUTTO VAPORE
A quel grido, l'intero equipaggio sì precipitò incontro al fiociniere: comandante, ufficiali, mastri, marinai e mozzi, fino ai
meccanici che abbandonarono le macchine e i fuochisti le loro caldaie.
Era stato dato l'ordine di stoppare, e la fregata procedeva a velocità normale.
L'oscurità era profonda, e quantunque gli occhi del canadese fossero molto buoni, io mi chiedevo che cosa avesse visto, e che cosa avesse potuto vedere; il cuore mi batteva molto forte. Ma Ned Land non s'era ingannato, e tutti potemmo scorgere l'oggetto che egli indicava con la mano.
A circa due gomene a dritta dell’ Abraham Lincoln sembrava che il mare fosse illuminato dalla profondità. Non era certamente un semplice fenomeno di fosforescenza, e non ci si poteva ingannare. Il mostro, immerso parecchie tese sotto la superficie dell'acqua, mandava questo bagliore intenso e inesplicabile, ricordato nei rapporti di molti capitani. Quella magnifica irradiazione doveva essere prodotta da una sorgente di grande forza luminosa. La zona di luce disegnava sul mare un immenso ovale molto allungato, nel centro del quale si condensava un focolare ardente, dalla luce abbagliante, che andava lentamente scemando.
— Non è altro che un agglomerato di molecole fosforescenti — esclamò un ufficiale.
— No, signore, — ribattei convinto; — conchiglie o pesci non potrebbero mai produrre una luce così potente. Questo splendore è di natura essenzialmente elettrica... d'altronde, ecco! si scosta, si muove, avanti e indietro! si scaglia contro di noi.
Un grido generale si udì dalla fregata.
— Silenzio! — ordinò il comandante Farragut. — La barra a sopravvento, tutta! e macchina indietro!
I marinai si precipitarono alla barra, e i meccanici alle macchine. Il vapore fu immediatamente frenato, e l’ Abraham Lincoln, piegando a sinistra, descrisse un semicerchio.
— Timone a dritta, e macchina avanti! — gridò il comandante Farragut.
Gli ordini furono eseguiti, e la fregata si allontanò rapidamente dal punto luminoso.
O meglio: volle allontanarsi, ma il mostro sconosciuto si riaccostò con una velocità doppia della sua. Eravamo tutti presi dall'emozione; lo stupore, più che il timore, ci teneva muti e immobili. L'animale ci inseguì giocherellando intorno alla fregata che filava a quattordici nodi, e l'avvolse con la sua luce come con un pulviscolo luminoso; poi si allontanò due o tre miglia lasciandosi dietro una striscia fosforescente, paragonabile ai gettiti di vapore che lascia una locomotiva. D'un tratto, dagli oscuri confini dell'orizzonte, dove era andato a prendere lo slancio, il mostro mosse improvvisamente verso l’ Abraham Lincoln con una rapidità spaventosa; si fermò di colpo a venti piedi, e si sommerse, non però sprofondando adagio adagio, poiché la sua luce non diminuì gradatamente, ma di colpo, come se la fonte di quel flusso luminoso si fosse improvvisamente inaridita! Poi riapparve dall'opposto lato della nave, sia che le avesse girato attorno sia che fosse passato sotto la carena.
Da un momento all'altro poteva avvenire un urto che ci sarebbe stato fatale.
Nel contempo, io mi meravigliavo delle manovre della fregata; fuggiva e non assaliva; era inseguita, mentre doveva inseguire, e lo feci osservare al comandante Farragut, che, generalmente impassibile, aveva dipinto sul volto uno stupore indefinibile.
— Signor Aronnax, — mi rispose, — non so con quale essere formidabile ho a che fare, e non voglio arrischiare imprudentemente la mia fregata in questa oscurità. D'altronde, come attaccare l'ignoto, e come difendersi? Aspettiamo il giorno, e le parti saranno invertite.
— Non vi rimane nessun dubbio, comandante, sulla natura dell'animale?
— No, signore, evidentemente è un liocorno gigantesco.
— E forse non è possibile accostargli, come non è possibile accostarsi a un gimnoto o ad una torpedine.
— Infatti, — rispose il comandante, — se ha un potere fulminante, è certamente il più terribile animale che sia uscito dalle mani del Creatore. È per questo che voglio stare in guardia.
Per tutta la notte gli uomini dell'equipaggio rimasero in piedi, e nessuno pensò a dormire.
L’ Abraham Lincoln non potendo gareggiare in velocità col suo competitore, manteneva una velocità ridotta; dal canto suo, il liocorno, imitando la fregata, si lasciava cullare dalle onde, e pareva deciso a non abbandonare il teatro della lotta.
Tuttavia, verso mezzanotte disparve, o per dire più propriamente, si spense come una lucciola enorme. Era fuggito? Bisognava temerlo, non certo sperarlo; ma alla una meno sette minuti del mattino si udì un fischio assordante, simile a quello che produce una colonna d'acqua spinta molto violentemente.
Il comandante, Ned Land e io eravamo allora sul cassero, e scandagliavamo le tenebre con gli occhi ben aperti.
— Ned Land, — chiese il comandante, — avete sentito molte altre volte il ruggito delle balene?
— Sì, signore, ma mai di balene simili, che a vederle mi abbiano fatto guadagnare duemila dollari.
— Infatti avete diritto al premio; ma ditemi, questo rumore non è forse come quello che fanno i cetacei quando cacciano l'acqua dagli sfiatatoi?
— Lo stesso rumore, signore, ma questo è, senza dubbio, molto più forte. Comunque, è proprio un cetaceo quello che infesta queste acque, e, col vostro permesso, gli diremo due parole domani, allo spuntare dell'alba.
— Se pure egli sarà disposto a sentirvi, mastro Land — risposi con accento poco convinto.
— Basta che mi possa accostare a quattro lunghezze di fiocina, — ripeté. — Bisognerà bene che mi risponda.
— Ma per avvicinarvi, — osservò il comandante, — dovrò mettere a vostra disposizione una baleniera?
— Certamente.
— Ma porrete in pericolo la vita dei miei uomini!
— E la mia! — rispose semplicemente il fiociniere.
Verso le due del mattino la sorgente luminosa apparve, non meno intensa, a cinque miglia dall’ Abraham Lincoln. Ma, nonostante la distanza e il rumore del vento e delle onde, si udivano distintamente i formidabili colpi dell'animale e persino la sua respirazione affannosa. Quando l'enorme liocorno respirava, sembrava che l'aria s'inabissasse nei suoi polmoni, come fa il vapore nei vasti cilindri d'una macchina di duemila cavalli.
«Hum!» pensai. «Una balena che abbia la forza d'un reggimento di cavalleria, sarebbe una bella balena!»
Fino al mattino restammo in osservazione, mentre si facevano i preparativi per il combattimento.
Gli strumenti da pesca furono disposti lungo i parapetti; il comandante in seconda fece caricare le balestre che lanciano una fiocina alla distanza d'un miglio e dei lunghi archibugi a palla esplosiva, che quando feriscono causano la morte anche negli animali più poderosi. Ned Land si era accontentato di aguzzare la sua fiocina, un'arma terribile, nelle sue mani.
Alle sei spuntò l'alba, e con la prima luce dell'aurora scomparve la luce elettrica del liocorno. Alle sette era giorno chiaro, ma una bruma molto fitta incupiva l'orizzonte, in modo che i migliori cannocchiali non potevano veder nulla, generando così un vivo malcontento.
Mi issai fino alle sbarre d'artimone; alcuni ufficiali si erano già arrampicati fin sulle punte degli alberi.
Alle otto la bruma innalzandosi a poco a poco, si disperse; l'orizzonte andava rischiarandosi sempre più.
D'un tratto, come il giorno prima, si sentì la voce di Ned Land:
— Il mostro a sinistra! — gridò il fiociniere, e gli occhi di tutti si diressero verso il punto indicato.
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