A un miglio e mezzo dalla fregata, un lungo corpo nerastro emergeva un buon metro dall'acqua.

La sua coda, agitata con violenza, produceva nelle acque uno sconvolgimento considerevole.

Il mare non fu mai battuto così forte da nessuna coda d'animale. Un solco immenso, bianchissimo, segnava il passaggio dell'animale, descrivendo una curva allungata.

La fregata si accostò al cetaceo, e io potei esaminarlo tranquillamente.

I rapporti dello Shannon e dell’ Helvetia avevano un po' esagerato sulle sue dimensioni, e io lo valutai lungo solamente duecentocinquanta piedi; quanto alla grossezza, era più difficile determinarla, ma, in complesso, l'animale mi parve molto proporzionato in tutte le sue dimensioni.

Mentre osservavo quell'essere fenomenale, due getti di vapore e d'acqua uscirono dai suoi sfiatatoi, e salirono a un'altezza di quaranta metri; cosa che non mi lasciò dubbi sul suo modo di respirare, facendomi concludere che il mostro apparteneva ai vertebrati, classe dei mammiferi, sottoclasse dei monodelfi, gruppo dei pesciformi, ordine dei cetacei, famiglia dei... Questo non lo potevo ancora determinare, perché l'ordine dei cetacei contiene la famiglia delle balene, i capidogli e i delfini, ed è in quest'ultima che sono posti i narvali.

Ciascuna di queste famiglie si divide in molti generi, i generi in specie e le specie in varietà. Varietà, specie, genere e famiglia mi mancavano ancora, ma con l'aiuto del cielo e del comandante Farragut, non dubitavo affatto di completare la mia classificazione.

L'equipaggio aspettava con impazienza gli ordini del suo capitano che, dopo avere osservato lungamente l'animale, fece chiamare il macchinista e gli disse:

— Siamo in pressione?

— Sì, signore.

— Ebbene, ravvivate i fuochi, e a tutto vapore!

Tre evviva accolsero quest'ordine. L'ora della lotta era suonata, e alcuni istanti dopo i due fumaioli della fregata vomitavano torrenti di fumonero, e il ponte scricchiolava sotto il fremito delle caldaie.

L’ Abraham Lincoln, spinto avanti dalla sua elica poderosa, navigava contro l'animale che lasciò indolentemente che la nave s'accostasse fino a circa sessanta braccia, poi, sdegnando di tuffarsi, fuggì tranquillamente accontentandosi di mantenere la distanza.

La caccia durò quasi tre quarti d'ora, senza che la fregata guadagnasse di due tese sul cetaceo. Era dunque evidente che di quel passo non lo avrebbe mai raggiunto.

Il comandante Farragut torceva rabbiosamente la fitta ciocca di peli che gli cresceva sotto il mento.

A un tratto si scosse e chiamò il nostro canadese, al quale domandò:

— Ebbene, mastro Land, mi consigliate ancora di mettere in mare le lance?

— No, signore, perché questo animale, se non gli garba, non si lascerà prendere.

— Allora, cosa dobbiamo fare?

— Forzare il vapore, se è possibile, signore; in quanto a me, col vostro permesso, s'intende, mi vado a mettere sulla briglia di bompresso, e se giungiamo a tiro di fiocina, farò il mio dovere.

— Andate pure, Ned, — rispose il comandante Farragut. — Macchinista, — gridò poi, — aumentate la pressione!

Ned Land andò al suo posto. I fuochi furono ravvivati ancora di più; tanto che l'elica fece quarantatre giri al minuto, e il vapore usci dalle valvole. Gettato il loch si poté accertare che l’ Abraham Lincoln navigava alla velocità di diciotto miglia e cinque decimi l'ora.

Ma anche quel maledetto animale filava con una velocità eguale.

La fregata mantenne questa andatura, ancora per un'ora, senza guadagnare nemmeno una tesa, — cosa davvero umiliante per uno dei bastimenti più veloci della marina americana!

Una sorda collera ferveva nell'equipaggio. I marinai ingiuriavano il mostro, che non si sognava neanche di rispondere; ed il comandante Farragut, non accontentandosi più di torcere la sua barbetta, se la mordeva.

Il macchinista fu chiamato un'altra volta.

— Avete dato la massima pressione? — gli domandò il comandante.

— Sì, signore.

— Le valvole sono cariche?...

— A sei atmosfere e mezzo.

— Caricate a dieci atmosfere.

Ecco un ordine veramente americano. Non si sarebbe fatto di meglio in una gara sul Mississippi per sorpassare i rivali.

— Consiglio, — dissi al mio bravo servitore che mi stava vicino, — sai che probabilmente salteremo in aria?

— Come piacerà al signore! — rispose l'interpellato. Ebbene, lo confesserò, non mi spiaceva di correre questo rischio.

Le valvole furono caricate, i fornelli riempiti di carbone, i ventilatori gettarono torrenti d'aria sui bracieri, e la rapidità dell’ Abraham Lincoln aumentò tanto, che gli alberi tremavano fino nella loro incassatura, ed i turbini di fumo potevano appena uscire dai fumaioli troppo stretti. Il loch fu gettato un'altra volta.

— Ebbene, timoniere? — chiese il comandante.

— Diciannove miglia e tre decimi, signore.

— Forzate i fuochi.

Il macchinista obbedì. Il manometro segnò dieci atmosfere; ma certamente anche il cetaceo ravvivò i suoi fuochi, perché, senza scomporsi, filò anche lui all'identica velocità.

Che caccia! Non posso descrivere l'emozione che mi faceva fremere tutto. Ned Land era al suo posto con la fiocina in mano. Più volte l'animale si lasciò avvicinare.

— Lo pigliamo, lo pigliamo! — esclamava il canadese, ma nel momento in cui si disponeva a colpirlo, il cetaceo si allontanava con una rapidità che non credo inferiore a trenta miglia l'ora. Anzi, durante il massimo della nostra velocità si permise di beffarsi della fregata girandole attorno.

Un grido di furore proruppe allora da ogni petto. A mezzogiorno, eravamo alla stessa distanza del mattino. Allora il comandante Farragut si decise ad adoperare i mezzi diretti.

— Ah! questo animale fila più dell’ Abraham Lincoln; ebbene, staremo a vedere se correrà più dei suoi proiettili. Nostromo, degli uomini al cannone di prua!

Il cannone del castello fu immediatamente caricato e puntato; il colpo partì, ma la palla passò alcuni piedi sopra il cetaceo che si teneva alla distanza di mezzo miglio.

— A un altro più abile! — gridò il comandante. — E cinquecento dollari a chi ferirà questa bestia infernale.

Un vecchio cannoniere dalla barba grigia, con l'occhio sereno e l'aria austera, s'accostò al pezzo, lo mise in posizione e mirò a lungo. Si udì una detonazione fortissima subito seguita dagli evviva dell'equipaggio. La palla raggiunse la sua mira, colpì l'animale, ma non verticalmente, e strisciando sulla superficie arrotondata, ricadde in mare due miglia più lontano.

— Ah, perdinci! — esclamò il vecchio cannoniere rabbiosamente, — questo miserabile è corazzato con lastre di sei pollici!

— Maledizione! — esclamò il comandante Farragut.

La caccia ricominciò, e il capitano chinandosi verso di me, disse:

— Inseguirò l'animale, finché non scoppia la fregata!

— E farete bene! — risposi.

Si poteva sperare che l'animale esaurisse le forze, e non si dovesse mostrare indifferente alla fatica come una macchina a vapore. Ma non fu così, poiché passarono le ore senza che il mostro desse alcun segno di stanchezza.

Bisogna dire, a lode dell’ Abraham Lincoln, che la nave si mostrò infaticabilmente tenace nella lotta. In quella disgraziata giornata del 6 novembre, non credo che avesse percorso meno di cinquecento chilometri! Ma scese la notte avvolgendo con le sue ombre tutto l'Oceano.

Allora credetti che la nostra spedizione fosse terminata, e che non avremmo più riveduto il fantastico animale, ma m'ingannavo.

Alle dieci e cinquanta minuti, la luce elettrica riapparve a circa tre miglia sottovento della fregata, pura e intensa come nell'ultima notte.

Il liocorno pareva immobile. Forse, affaticato, dormiva abbandonandosi alle onde? Era una speranza, e il comandante Farragut volle approfittarne.

Secondo i suoi ordini, l’ Abraham Lincoln si tenne a piccolo vapore, accostandosi prudentemente per non risvegliare l'avversario.

Non è raro incontrare in pieno oceano delle balene profondamente addormentate che si possono assalire con successo e Ned Land ne aveva uccise così più di una.

Il canadese riprese il suo posto sulla briglia di bompresso e la fregata si accostò senza far rumore. A bordo non si respirava più e sul ponte regnava un silenzio profondo. Non eravamo a cento piedi dal focolare ardente che splendeva fino ad abbagliarci la vista.

In quel momento dalla maestra del castello vedevo sotto di me Ned Land che si teneva con una mano al buttafuori e con l'altra brandiva la sua terribile fiocina. Venti piedi appena lo separavano dall'animale immobile.

D'un tratto egli stese il braccio con violenza e gettò la fiocina. Udii l'urto sonoro dell'arma che pareva avesse incontrato un corpo duro.

La luce elettrica si spense improvvisamente e due enormi trombe d'acqua si rovesciarono sul ponte della fregata, correndo come un torrente da prua a poppa, rovesciando gli uomini e spezzando le briglie di bompresso.

Ne seguì un urto terribile, per cui, balzato al di sopra della maestra, senza aver il tempo di trattenermi, fui scaraventato in mare.

CAPITOLO VII

UNA BALENA DI SPECIE IGNOTA

Benché l'inaspettata caduta mi avesse spaventato, tuttavia conservavo una chiara impressione delle mie sensazioni.

Dapprima fui trascinato a una profondità di venti piedi circa, ma sono un buon nuotatore, senza pretendere d'eguagliare Byron ed Edgar Poe, che furono maestri, e quel tuffo non mi fece perdere la testa.