Era necessario assistere quegli uomini che, con le mani, con le ginocchia, petto contro petto, affrontavano l’ombra e non conoscevano, non conoscevano più se non cose mobili, invisibili, dal caos delle quali bisognava uscire, a forza di braccia, come da un mare. Che terribili confessioni, talvolta: «Ho illuminato le mie mani per vederle…»!
Velluto di mani rivelato, solo, in quel bagno rosso di fotografo; quel che rimane del mondo che bisogna salvare.
Rivière spinse la porta dell’ufficio dello sfruttamento. Una sola lampadina accesa creava in un angolo una plaga di luce. Il crepitio d’una sola macchina da scrivere dava un senso a quel silenzio, senza colmarlo. A volte il campanello del telefono tremolava: allora il segretario di turno si alzava e s’avviava verso quel richiamo ripetuto, ostinato, triste. Il segretario di turno staccava il ricevitore e l’invisibile angoscia si placava: una conversazione assai dolce in un angolo d’ombra. Poi, impassibile, l’uomo tornava al suo scrittoio, col volto chiuso, dalla solitudine e dal sonno, su un indecifrabile segreto. Che minaccia può portare un richiamo che venga dalla notte esterna, quando due corrieri sono in volo? Rivière pensava ai telegrammi che toccano le famiglie sotto le lampade serali; poi alla disgrazia che, per qualche secondo quasi eterno, rimane un segreto nel volto del padre. Onda, all’inizio, senza forza, tanto lontana dal grido che l’ha provocata, tanto calma. E, ogni volta, egli ne sentiva la debole eco in quella soneria discreta.
E, ogni volta, i movimenti dell’uomo che tornava dall’ombra verso la lam-28
pada, come un nuotatore, dopo un tuffo, torna alla superficie, quei movimenti che la solitudine rendeva appunto lenti come quelli d’un nuotatore nell’acqua, gli parevano più pesanti e segreti. «Stia. Rispondo io.»
Rivière staccò il ricevitore, e udì il ronzio del mondo.
«Pronto. Rivière.»
Un debole tumulto, poi una voce:
«Le passo il posto radiotelegrafico.»
Un nuovo tumulto, quello prodotto dalle spine inserite nel quadro delle comunicazioni, poi un’altra voce:
«Parla il posto radiotelegrafico. Comunichiamo telegrammi.»
Rivière prendeva nota scuotendo il capo. «Bene… bene…»
Niente d’importante. Comunicazioni normali di servizio. Rio de Janeiro chiedeva un’informazione, Montevideo parlava del tempo e Mendoza di materiali. I rumori familiari della casa. «E i corrieri?»
«Il tempo è brutto. Non udiamo gli aeroplani.» «Bene.»
Rivière pensò che qui la notte era pura, le stelle splendevano, ma i radiotelegrafisti scoprivano in lei il soffio degli uragani lontani.
«A fra poco.»
Rivière s’alzava, il segretario gli si avvicinò. «Le note di servizio per la firma, signore…» «Bene.»
Rivière scopriva d’avere una grande amicizia per quell’uomo, che, anch’egli, aumentava il peso della notte. “Un compagno di lotta” pensava Rivière. “E non saprà mai quanto questa veglia comune ci unisca.
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IX
Mentre, con un fascio di carte in mano, tornava nel suo studio, Rivière avvertì quell’acuto dolore al fianco destro, che lo tormentava da qualche settimana.
“Non va…”
S’appoggiò per un secondo contro il muro.
“È ridicolo.” Poi raggiunse la sua poltrona.
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