Ancora una volta, si sentiva legato come un vecchio leone, e una grande tristezza l’invase.

“Tanto lavoro per arrivare a questo! Ho cinquant’anni; durante questi cinquant’anni ho colmato la mia vita, mi son formato, ho lottato, ho cam-biato il corso degli avvenimenti, ed ecco che cosa mi occupa e mi riempie oggi, ed appare ai miei occhi più importante del mondo… È ridicolo.”

Attese, terse un po’ di sudore, e, quando fu liberato, si rimise al lavoro.

Egli compulsava lentamente le note.

«Abbiamo constatato a Buenos Aires mentre veniva smontato il motore 301… infliggeremo una grave ammenda al responsabile.»

Firmò.

«Poiché lo scalo di Florianopolis non ha osservato le istruzioni…» Firmò

«Per misura disciplinare trasferiremo il capo d’aeroporto Richard, il quale…» Firmò.

Poi, come il dolore al fianco, intorpidito, ma presente in lui e nuovo come un nuovo senso della vita, l’obbligava a pensare a se stesso, fu quasi amaro.

“Sono giusto o ingiusto, io? Non lo so. Se punisco, le panne diminuiscono. Il responsabile non è l’uomo, è una specie di forza oscura che non si riesce a colpire, se non si colpisce tutti. Se fossi giusto, il volo notturno sarebbe ogni volta una probabilità di morte.”

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E una certa stanchezza lo prese d’aver tracciato la sua via così duramente. Pensò che la pietà è buona. Sfogliava sempre le note, assorto nel suo sogno.

«… quanto a Roblet, a partire da oggi, non fa più parte del nostro personale.»

Rivide il vecchio brav’uomo e ripensò la conversazione della sera:

“Un esempio, cosa debbo dirvi, è un esempio.”

“Ma Signore… Signore… Una volta, una volta sola, pensi! E ho lavorato tutta la vita.”

“Ci vuole un esempio.”

“Ma Signore!… Guardi, Signore!”

Ecco il portafoglio consumato e la vecchia pagina di giornale con la fotografia nella quale Roblet giovane posa presso un aeroplano. E Rivière vedeva le vecchie mani tremare su quella semplice gloria.

“È del 1910, Signore…. Sono io che no fatto eseguire il montaggio del primo aeroplano, qui, in Argentina! L’aviazione dal 1910.. Signore, sono vent’anni! E allora, come può dire… Pensi come rideranno i giovani, in of-ficina… Ah! rideranno di me!

“Non me ne importa.”

“E i miei bambini, Signore? Io ho dei bambini.

“Ve l’ho detto: vi offro un posto di manovratore.

“La mia dignità, Signore, la mia dignità! Vediamo, Signore, vent’anni d’aviazione, un vecchio operaio come me…”

“Un posto di manovratore.”

“Rifiuto, Signore, rifiuto!”

E le vecchie mani tremavano, e Rivière distoglieva gli occhi da quella pelle rugosa, grossolana e bella.

“Un posto di manovratore.”

“No, Signore, no… Voglio dirle ancora…”

“Potete andare.”

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Rivière pensò: “Non lui ho congedato così brutalmente, ma il male di cui egli non era responsabile, forse, ma che passava in lui”.

“Perché si può comandare agli avvenimenti” pensava Rivière “ed essi obbediscono; e si crea. E anche gli uomini poveri sono delle cose; e si cre-ano anch’essi. Oppure si metton da parte quando il male passa attraverso a loro.”

“Voglio dirle ancora…” Cosa voleva dire quel povero vecchio? Che gli venivan tolte le sue vecchie gioie? Che egli amava il suono degli arnesi sull’acciaio degli aeroplani, che la sua vita sarebbe rimasta deserta d’una grande poesia, e poi… che bisogna vivere?

“Sono molto stanco” pensò Rivière. La febbre saliva in lui, carezzevole.

Egli picchiava le dita sul foglio e pensava: “Come lo amavo il volto di quel vecchio camerata…”. E rivedeva le sue mani. Pensava a quel debole movimento ch’esse avevano abbozzato per giungersi. Sarebbe bastato dire: “Va bene, va bene. Rimanete”. Rivière immaginava il flutto di gioia che sarebbe disceso sino a quelle vecchie mani.