E come potrebbe mai esistere addirittura un «bene comune»! La parola contraddice se stessa: quel che può essere comune, ha sempre ben poco valore.
Infine i fatti devono stare come stanno e sono sempre stati: le cose grandi sono riservate ai grandi, gli abissi ai profondi, le finezze e i brividi ai sottili, e per esprimerci sinteticamente con una sola parola, ai rari le cose rare.
44. C’è bisogno, dopo tutto questo, di dire ancora espressamente che anch’essi saranno liberi, “assai” liberi spiriti, questi filosofi dell’avvenire fermo restando che non saranno semplicemente dei liberi spiriti, ma qualche cosa di più, di più grande e di fondamentalmente diverso, che non vuol essere disconosciuto e confuso? Ma mentre vado dicendo ciò, sento verso di loro, quasi tanto quanto verso di noi, noi che siamo i loro araldi e precursori, noi spiriti liberi! il “dovere” di soffiar lontano da noi, solidalmente, un antico sciocco pregiudizio ed equivoco che troppo a lungo, come una nebbia, ha reso «opaca» la nozione di «spirito libero». In tutti i paesi d’Europa ed egualmente in America esiste oggidì qualcosa che perpetra un abuso riguardo a questo nome, una specie di spirito molto angusto, prigioniero, ridotto in catene, che vuole pressappoco il contrario di ciò che è nelle nostre intenzioni e istinti per non dire poi che riguardo a quei “nuovi” filosofi sopravvenienti, essi non possono essere niente più che finestre ben chiuse e porte sprangate. Costoro appartengono, per dirla chiaro e tondo, ai
“livellatori”, questi falsamente detti «spiriti liberi» - in quanto non sono che schiavi, loquaci e abili di penna, del gusto democratico e delle sue «idee moderne»; tutti quanti uomini senza solitudine, goffi giovanotti dabbene cui non si può negare il coraggio né costumi rispettabili, salvo il fatto che sono appunto non liberi e ridicolmente superficiali, soprattutto per la loro tendenza fondamentale a vedere nelle forme della vecchia società sino a oggi esistente la causa di “ogni” umana miseria e fallimento; per cui la verità si trova felicemente capovolta! Ciò a cui essi mirerebbero con tutte le loro forze è l’universale verde felicità da pascolo delle greggi, con sicurezza, assenza di pericoli, benessere, alleggerimento della vita per ognuno; i loro due ritornelli dottrinali più largamente canticchiati si chiamano
«parità di diritti» e «compassione per ogni sofferente» - e lo stesso dolore viene preso da essi come un qualcosa che deve essere
“eliminato”. Noi che siamo fatti a rovescio, noi che ci siamo creati uno sguardo e una coscienza aperta per il problema del dove e del come sia cresciuta fino a oggi più vigorosa in altezza la pianta «uomo» (14), riteniamo che ciò si sia sempre verificato sotto condizioni opposte e che per questo la pericolosità della sua situazione dovette aumentare in misura semplicemente enorme, la sua forza inventiva e dissimulatrice (il suo «spirito») svilupparsi, sotto una lunga oppressione e costrizione, in sottigliezza e temerarietà, e la sua volontà di vita potenziarsi fino all’assoluta volontà di potenza - pensiamo che durezza, prepotenza, schiavitù, pericoli per le strade e nel cuore, segretezza, stoicismo, arte tentatrice e demonismo d’ogni sorta, che tutto quanto v’è nell’uomo di malvagio, di tirannico, dell’animale rapace e del serpente, serva all’elevazione della specie «uomo» altrettanto come il suo opposto e non diciamo ancora abbastanza, se ci limitiamo a dire soltanto questo, giacché in ogni caso, con tutto il nostro parlare e il nostro tacere su questo punto, ci troviamo all’altro polo di ogni moderna ideologia e desiderabilità per il gregge: come i suoi antipodi forse? Quale meraviglia se noi «liberi spiriti» non siamo proprio gli spiriti più comunicativi? se non sentiamo il desiderio di rivelare, sotto ogni riguardo, da “che cosa” uno spirito può affrancarsi e “verso che cosa” quindi verrà forse spinto? E per quel che si riferisce alla pericolosa formola «al di là del bene e del male», con la quale per lo meno ci salvaguardiamo dall’essere scambiati con altri: noi “siamo” qualcosa di diverso dai «libres penseurs»,
«liberi pensatori» (15), «Freidenker» o comunque amino chiamarsi tutti questi bravi difensori delle «idee moderne». In molte contrade dello spirito noi siamo stati di casa, o per lo meno degli ospiti; sempre di bel nuovo siamo sgattaiolati dai gradevoli muffiti cantucci in cui parevano confinarci predilezioni e odii preconcetti, giovinezza, lignaggio, semplice caso di uomini e libri, o persino la stanchezza del vagabondaggio; pieni di stizza per gli allettamenti della dipendenza che sono celati negli onori o nel danaro o negli uffici o nelle esaltazioni dei sensi; riconoscenti perfino verso le penose necessità e la malattia ricca di mutamenti poiché essa ci affrancò sempre da qualsiasi regola e dal suo «pregiudizio», riconoscenti a Dio, al diavolo, alla pecora e al verme dentro di noi, curiosi fino al vizio, indagatori fino alla crudeltà, con mani senza scrupoli per l’inafferrabile, con denti e stomaco per quel che non può essere digerito, pronti a ogni mestiere che esiga perspicacia d’intelletto e di sensi, pronti a tutto osare grazie a una sovrabbondanza di «libero volere», con anime manifeste e occulte, di cui difficilmente si potrebbero scorgere le intenzioni ultime, con prosceni e quinte che nessun piede riuscirebbe a percorrere sino alla fine, nascosti sotto il mantello della luce, conquistatori anche se il nostro aspetto è simile a quello degli eredi e dei dissipatori, ordinatori e raccoglitori da mane a sera, avari della nostra ricchezza e dei nostri cassetti ricolmi, parsimoniosi nell’imparare e nel dimenticare, ingegnosi negli schemi, talvolta orgogliosi della nostra tavola di categorie, talvolta pedanti, talvolta gufi notturni del lavoro anche in pieno giorno; sì, quando ce n’è bisogno, persino spauracchi - e oggi ce n’è bisogno: giacché noi siamo dalla nascita degli amici giurati e gelosi della
“solitudine”, della nostra più profonda, più notturna e più meridiana solitudine - una tale specie di uomini siamo noi, spiriti liberi! e forse siete anche voi qualcosa di simile, voi venturi? voi “nuovi” filosofi?
CAPITOLO TERZO.
L’ESSERE RELIGIOSO.
45. L’anima umana e i suoi confini, l’estensione in generale fino a oggi raggiunta delle umane intime esperienze, le altitudini, le profondità e le distanze di queste esperienze, l’intera storia,
“sinora” vissuta, dell’anima e le sue non ancora fino in fondo esaurite possibilità: tutto ciò è la predestinata zona di caccia per uno psicologo nato e un amico della «caccia grossa». Tuttavia, quanto spesso deve rivolgere a se stesso le disperate parole: «Uno solo! ah, uno solo e basta! e questa gran selva, questa selva primordiale!» E così si augura qualche centinaio di aiutanti e di segugi finemente ammaestrati da poter lanciare avanti nella storia dell’anima umana, per fare in essa la “sua” battuta. Invano: sempre torna a sperimentare, profondamente e amaramente, quanto sono difficili a trovarsi aiutanti e cani per tutte quelle cose che eccitano appunto la sua curiosità. L’inconveniente cui si va incontro coll’inviare gli addottrinati in nuove e pericolose zone di caccia, in cui sono necessari coraggio, sagacia, scaltrezza in ogni senso, sta nel fatto che proprio là essi diventano ormai inservibili, allorché ha inizio la «caccia “grossa”», e con essa anche il grande pericolo - proprio laggiù essi perdono i loro occhi e il loro fiuto di segugi. Se si volesse, per esempio, decifrare e mettere in chiaro che genere di storia sino a oggi ha avuto il problema della “scienza” e della “coscienza” nell’anima degli “homines religiosi”, bisognerebbe forse essere noi stessi tanto profondi, piagati e immensi, come lo era la coscienza intellettuale di Pascal - e occorrerebbe sempre, allora, anche quell’aperto cielo di chiara, maliziosa spiritualità che riesce ad abbracciare dall’alto in basso, a ordinare, a costringere in formole questo brulichio di esperienze vive, pericolose e dolorose. - Ma chi potrebbe mai rendermi questo servigio! Chi avrebbe tempo di attendere simili servitori! - Evidentemente essi crescono troppo di rado, sono così inverosimili in ogni tempo!
Alla fine si deve fare ogni cosa da sé, per sapere da sé qualcosa: cioè si ha sempre “molto” da fare! - Ma una curiosità della mia specie resta pur sempre il più gradevole di tutti i vizi -
scusatemi! volevo dire: l’amore per la verità ha la sua ricompensa nel cielo e anche già sulla terra.
46. La fede, come la esige e non di rado l’ha ottenuta il primo cristianesimo, in mezzo a un mondo scettico e incredulo alla maniera meridionale, il quale aveva dietro e dentro di sé una lotta secolare di scuole filosofiche, compresa l’educazione alla tolleranza impartita dall‘“imperium Romanum” - questa fede “non”
era quella fede, rozza e arcigna, da gente sottomessa, con cui, per esempio, un Lutero o un Cromwell o qualsiasi altro nordico barbaro dello spirito stanno attaccati a Dio e al cristianesimo; era piuttosto già quella fede di Pascal che assomiglia tremendamente a un continuo suicidio della ragione - di una ragione tenace, longeva, vermiforme, che non si lascia uccidere in una volta sola e con un sol colpo. La fede cristiana è fin da principio sacrificio: sacrificio di ogni libertà, di ogni orgoglio, di ogni autocoscienza dello spirito, e al tempo stesso asservimento e dileggio di se stessi, automutilazione. C’è della crudeltà e un atteggiamento religioso fenicio in questa fede che è richiesta da una coscienza infrollita, multiforme e dai molti vizi: il suo presupposto è che la sottomissione “provoca un dolore” indescrivibile, che l’intero passato e tutte quante le consuetudini di un tale spirito recalcitrano a questo
“absurdissimum”, sotto la forma del quale la «fede» gli si approssima. Gli uomini moderni, con la loro ottusità per ogni nomenclatura cristiana, non sono più allo stesso modo sensibili all’aspetto tremendamente eccelso, che per un gusto antico risiedeva nella paradossalità della formola «Dio in croce». Non era ancora mai e in nessun luogo esistito un simile ardire nel rovesciamento, nulla di così terribile, di così interrogativo e problematico come questa formola: essa prometteva una valutazione rovesciata di tutti gli antichi valori. - E’ l’Oriente, il profondo Oriente, è lo schiavo orientale che in questo modo si vendica di Roma e della sua nobile e frivola tolleranza, del
«cattolicismo» romano della fede - e fu sempre non già la fede, ma la libertà della fede, quella semistoica e sorridente noncuranza per la serietà della fede a suscitare negli schiavi lo sdegno verso i loro padroni, la rivolta contro i loro padroni.
L’«illuminismo» suscita la rivolta: lo schiavo, infatti, vuole l’incondizionato, comprende solo il tirannico, anche nella morale, ama, così come odia, senza sfumature, sino all’imo, sino al dolore, sino alla malattia; - la sua molta sofferenza nascosta si leva contro il nobile gusto, che sembra “negare” la sofferenza. Lo scetticismo di fronte al dolore, che in fondo non è se non un atteggiamento della morale aristocratica, ha contribuito non poco alla nascita dell’ultima grande rivolta degli schiavi, il cui inizio risale alla rivoluzione francese.
47. Ovunque fino a oggi si è presentata sulla terra la nevrosi religiosa, la troviamo collegata a tre pericolose prescrizioni dietetiche: solitudine, digiuno e astinenza sessuale - senza tuttavia che si possa stabilire qui, con sicurezza, quale sia la sua causa, quale l’effetto e “se” qui risulti in generale un rapporto di causa ed effetto. Giustifica quest’ultimo dubbio il fatto che tra i sintomi più normali della nevrosi, sia tra i popoli selvaggi che tra quelli civili, è compresa anche la più repentina e sfrenata lascivia, la quale poi, altrettanto all’improvviso, si capovolge in uno spasimo d’espiazione e in un annientamento del mondo e della volontà: sono forse queste due cose spiegabili come epilessia mascherata? Ma in nessun altro caso più che in questo occorrerebbe liberarsi dalle spiegazioni: attorno a nessun altro fenomeno tipico è proliferata una tale congerie di assurdità e di superstizioni, nessun altro fino ad oggi sembra aver interessato di più gli uomini e persino i filosofi - sarebbe quindi il momento di acquistare, appunto a questo proposito, un po’ di freddezza, di imparare la cautela, meglio ancora: di guardare altrove, di “andarsene altrove”. -
Anche sullo sfondo della filosofia più recente, quella schopenhaueriana, sta, quasi come il problema in sé, questo lugubre interrogativo della crisi e del risveglio religioso. Come è “possibile” una negazione della volontà? come è possibile il santo? - In realtà sembra essere stato questo il problema con cui Schopenhauer divenne filosofo e prese le mosse.
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