Che l’amore per l’uomo senza una qualche segreta finalità che lo santifichi sia una sciocchezza e una bestialità “in più”, che l’inclinazione a questo amore umano debba ricevere soltanto da una inclinazione superiore la sua misura, la sua finezza, il suo granello di sale e il suo pulviscolo d’ambra - chiunque sia stato l’uomo che per la prima volta ha sentito e «ha vissuto» tutto questo, per quanto la sua lingua possa aver balbettato, allorché tentò di esprimere una tale delicatezza di sentimento, egli sarà per noi eternamente sacro e degno di venerazione, in quanto è l’uomo che ha volato più in alto fino a oggi e si è smarrito nel modo più bello!

61. Il filosofo come lo intendiamo “noi”, noi spiriti liberi -, come l’uomo che ha la responsabilità più vasta e per cui il completo sviluppo dell’umanità è un fatto di coscienza: questo filosofo si servirà delle religioni per la sua opera di plasmazione culturale ed educativa, allo stesso modo con cui utilizzerà le condizioni politiche ed economiche del momento.

L’influenza, operante nella scelta e nella formazione culturale, tanto distruttiva, cioè, quanto creatrice e plasmatrice, la quale può essere esercitata grazie alle religioni, è un’influenza molteplice e diversa secondo la varietà degli uomini che vengono posti sotto il loro potere e la loro custodia. Per i forti, gli indipendenti, coloro che sono preparati e predestinati al comando, nei quali si incarna la ragione e l’arte di una razza dominatrice, la religione è un mezzo di più per vincere le resistenze, per poter regnare: essendo essa un vincolo che unisce dominatori e sudditi e rivela ai primi, consegnandola nelle loro mani, la coscienza degli ultimi, la loro parte segreta e più intima che volentieri si sottrarrebbe all’obbedienza; e nel caso in cui determinati individui di tale nobile origine inclinassero, per la loro alta spiritualità, a una vita più ritirata e più contemplativa e si riservassero soltanto la specie più raffinata del comando (quello esercitato su discepoli o confratelli prescelti), la religione stessa potrebbe essere utilizzata come un mezzo per crearsi una quiete rispetto al rumore e alle difficoltà del governare “nel senso più grossolano del termine”, nonché una purezza di fronte alle “necessarie” sozzure di ogni politica attiva. Questo, per esempio, compresero i bramini: grazie a una organizzazione religiosa costoro si attribuirono il potere di dare al popolo i suoi re, mentre si tenevano e si sentivano in disparte e al di fuori, essendo essi gli uomini che avevano compiti più alti e superiori a quelli di un re. Frattanto la religione porge anche a una parte dei governati una guida e un’occasione per prepararsi a governare e a comandare un giorno, cioè, a quelle classi e a quei ceti in lenta ascesa nei quali, grazie a felici usanze matrimoniali, la forza e il piacere della volontà, la volontà di autodominio, va continuamente potenziandosi - e a costoro la religione offre sufficienti impulsi e allettamenti per incamminarsi sulle strade di una superiore spiritualità, per sperimentare i sentimenti del grande autosuperamento, del silenzio e della solitudine - ascetismo e castità sono infatti mezzi quasi indispensabili per educarsi e nobilitarsi, quando una razza vuol trionfare sulla sua origine plebea e si sforza per elevarsi al dominio che eserciterà un giorno. Agli uomini comuni, infine, ai più, i quali esistono per far da servi e per l’utile collettivo e soltanto per questo “hanno diritto” di esistere, la religione dà l’inestimabile dono di contentarsi del loro stato e del loro modo di essere, molteplice pace dell’anima, un nobilitarsi dell’obbedienza, una gioia e un dolore maggiormente condivisi con i loro simili e una specie di trasfigurazione e di adornamento, qualcosa come la giustificazione dell’intera loro vita quotidiana, dell’intera loro abiezione, di tutta quanta la miseria quasi bestiale della loro anima. La religione e il significato religioso della vita depongono su tali uomini martoriati un bagliore di sole e rendono loro sopportabile persino la loro stessa vista; come la filosofia epicurea soleva esercitare un’influenza sui sofferenti di rango superiore, così la religione ha un influsso benefico, che ingentilisce, che “sfrutta” per così dire la sofferenza, giungendo, infine, a santificarla e a giustificarla. Forse non c’è nulla di più venerando, nel cristianesimo e nel buddhismo, della loro arte di ammaestrare le creature più umili a collocarsi, attraverso la devozione, in un apparente ordine superiore di cose, e di tener stretto, in tal modo, a sé quel loro contentarsi dell’ordine reale, all’interno del quale esse vivono abbastanza duramente e proprio questa durezza è necessaria! -

62. Indubbiamente, per mostrare anche il bilancio negativo di tali religioni e mettere in luce la loro sinistra pericolosità, occorrerà infine dire che si paga sempre a caro prezzo e in maniera terribile il fatto che le religioni “non” siano nelle mani dei filosofi come strumenti di plasmazione culturale e di educazione, bensì governino a loro talento e in guisa “sovrana”, e vogliano essere per se stesse gli scopi ultimi e non mezzi accanto ad altri mezzi. V’è tra gli uomini, come in ogni altra specie animale, un residuo di tarati, di malati, di degenerati, di esseri difettosi, di necessari sofferenti; anche tra gli uomini i casi ben riusciti sono sempre l’eccezione, e persino se si tiene presente il fatto che l’uomo è “l’animale non ancora stabilmente determinato”, costituiscono una rara eccezione. Ma v’è di peggio ancora: quanto più elevato è il tipo che un certo uomo rappresenta, tanto più va aumentando l’improbabilità che costui

“riesca bene”: il casuale, la legge dell’assurdo nell’intera economia dell’umanità si rivelano, in maniera quanto mai tremenda, nei loro più distruttivi influssi sugli uomini superiori, le cui condizioni di vita sono delicate, multiformi e difficilmente calcolabili. Orbene, come si comportano le due cosiddette massime religioni di fronte a questa “eccedenza” di casi mal riusciti?

Esse cercano di conservare, di mantenere in vita quel che in qualche modo può essere conservato, anzi, per principio, fanno propria la causa di questa gente, in quanto religioni “per sofferenti”, dànno ragione a tutti coloro che soffrono della vita come di una malattia, e vorrebbero fare in modo che ogni altro sentimento della vita sia considerato falso e diventi impossibile.

Sebbene si possa avere ancora una alta stima per questa delicata e sostentatrice sollecitudine, in quanto essa è ed è stata praticata, oltre che per tutti gli altri, anche per il più elevato tipo umano, fino a oggi quasi sempre anche il più sofferente: tuttavia in un calcolo globale le religioni esistite fino a oggi, vale a dire quelle “sovrane”, appartengono alle cause principali che mantennero il tipo «uomo» su un gradino più basso, e troppo esse conservarono di “quel che doveva perire”. Di qualcosa d’inestimabile si deve essere grati a esse; e chi è abbastanza ricco di riconoscenza, da non divenire povero dinanzi a tutto ciò che, per esempio, hanno fatto fino a oggi per l’Europa gli «uomini spirituali» del cristianesimo? Eppure, se davano conforto ai sofferenti, coraggio agli oppressi e ai disperati, un bastone e un appoggio ai bisognosi d’aiuto, se attiravano nei conventi e nei penitenziari dell’anima coloro che erano internamente distrutti e resi selvaggi dalla società: che cosa dovettero fare, oltre a ciò, per cospirare con tranquilla coscienza in modo talmente fondamentale alla conservazione di tutto quanto è malato e sofferente, cioè in realtà e in verità al “deterioramento della razza europea”? “Rovesciare” tutti gli apprezzamenti di valore -

“questo” dovettero fare! E infrangere i forti, infettare le grandi speranze, rendere sospetta la felicità nella bellezza, spezzare ogni forma di autodominio, di virilità, di spirito di conquista, di bramosia di potere, ogni istinto proprio del tipo «uomo» più elevato e meglio riuscito, per trasformare tutto ciò in insicurezza, in angustia di coscienza, in autodistruzione, capovolgere anzi l’intero amore per quanto è terrestre e per il dominio sovra la terra in odio contro la terra e il terrestre - è stato tutto “questo”, invece, che la Chiesa si pose e dovette porsi come compito, sintantoché, nel suo apprezzamento,

«smondanizzazione», «desensualizzarsi» e «uomo superiore» non finirono per fondersi insieme “in un unico” sentimento. Posto che si potesse percorrere con lo sguardo sarcastico e indifferente di un dio di Epicuro la commedia prodigiosamente dolorosa e tanto grossolana quanto sottile del cristianesimo europeo, io credo che non si finirebbe di stupirci e di ridere: non sembra infatti che per diciotto secoli abbia dominato in Europa la “sola” volontà di trasformare l’uomo in un “sublime aborto”? Ma chi con esigenze opposte, non più da epicureo, bensì con un qualche divino martello nel pugno si accostasse a questa quasi volontaria degenerazione e a questo intristimento dell’uomo, così come appaiono nell’europeo cristiano (in Pascal, per esempio), non dovrebbe gridare con rabbia, compassione e raccapriccio: «O voi balordi, presuntuosi compassionevoli balordi, che cosa mai avete fatto! Questo non era un lavoro per le vostre mani! Avete guastato e deturpato la mia pietra più bella! Che cosa non vi siete permessi voi!». - In altre parole, il cristianesimo è stato fino a oggi la specie più funesta di presunzione di sé. Uomini non abbastanza in alto né abbastanza duri per poter dare, come artisti, una forma “all’uomo”; uomini non abbastanza forti né lungimiranti per “imporre”, con una sublime vittoria sopra se stessi, la legge posta innanzi a tutte le altre, che prescrive i mille e mille modi di fallimento e di annientamento; uomini non abbastanza nobili per scorgere quale gerarchia abissalmente diversa e quale scissura di rango sussista tra uomo e uomo “tali” uomini, con la loro «uguaglianza dinanzi a Dio», hanno avuto nelle mani fino a oggi il destino d’Europa, fintantoché si è venuta formando una specie rimpicciolita, quasi ridicola, un animale da gregge, qualcosa di condiscendente, di malaticcio e di mediocre, l’europeo di oggi…

CAPITOLO QUARTO.

SENTENZE E INTERMEZZI.

63. Chi è fondamentalmente un maestro prende sul serio ogni cosa soltanto in relazione ai suoi scolari - perfino se stesso.

64. «La conoscenza per amore della conoscenza» - è questo l’ultimo tranello che ci tende la morale: è così che ancora una volta ci si coinvolge completamente in lei.

65. L’attrattiva della conoscenza sarebbe minima, se non ci fosse da superare tanto pudore sulla strada che porta a essa.

65 a. Verso il proprio dio si è quanto mai disonesti: egli non

“deve” peccare!

66. La tendenza a umiliarsi, a lasciarsi derubare, ingannare con menzogne e sfruttare potrebbe essere il pudore di un dio in mezzo agli uomini.

67. L’amore verso un “solo” essere è una barbarie: esso infatti si esercita a detrimento di tutti gli altri.