Ma, mentre io fea rapina d’animali, fui non so come a me stesso rapito.
A poco a poco nacque nel mio petto, non so da qual radice,
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com’erba suol che per se stessa germini, un incognito affetto,
che mi fea desiare
d’esser sempre presente
a la mia bella Silvia;
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e bevea da’ suoi lumi
un’estranea dolcezza,
che lasciava nel fine
un non so che d’amaro;
sospirava sovente, e non sapeva 105
la cagion de’ sospiri.
Così fui prima amante ch’intendessi che cosa fosse Amore.
Ben me n’accorsi al fin: ed in qual modo, ora m’ascolta, e nota.
Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 18
ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli Torquato Tasso Aminta
Atto primo Q
Tirsi
E’ da notare.
Aminta
A l’ombra d’un bel faggio Silvia e Filli sedean un giorno, ed io con loro insieme, quando un’ape ingegnosa, che, cogliendo sen’ giva il mel per que’ prati fioriti, 115
a le guancie di Fillide volando, a le guancie vermiglie come rosa, le morse e le rimorse avidamente: ch’a la similitudine ingannata forse un fior le credette. Allora Filli 120
cominciò lamentarsi, impaziente de l’acuta puntura:
ma la mia bella Silvia disse: – Taci, taci, non ti lagnar, Filli, perch’io con parole d’incanti leverotti 125
il dolor de la picciola ferita.
A me insegnò già questo secreto la saggia Aresia, e n’ebbe per mercede quel mio corno d’avolio ornato d’oro. –
Così dicendo, avvicinò le labra 130
de la sua bella e dolcissima bocca a la guancia rimorsa, e con soave susurro mormorò non so che versi.
Oh mirabili effetti! Sentì tosto cessar la doglia, o fosse la virtute 135
di que’ magici detti, o, com’io credo, la virtù de la bocca,
che sana ciò che tocca.
Io, che sino a quel punto altro non volsi che ‘l soave splendor degli occhi belli, 140
e le dolci parole, assai più dolci che ‘l mormorar d’un lento fiumicello che rompa il corso fra minuti sassi, o che ‘l garrir de l’aura infra le frondi, allor sentii nel cor novo desire 145
d’appressare a la sua questa mia bocca; e fatto non so come astuto e scaltro Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 19
ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli Torquato Tasso Aminta
Atto primo Q
più de l’usato (guarda quanto Amore aguzza l’intelletto!) mi sovvenne d’un inganno gentile, co ‘l qual io 150
recar potessi a fine il mio talento: che, fingendo ch’un’ape avesse morso il mio labro di sotto, incominciai a lamentarmi di cotal maniera, che quella medicina, che la lingua 155
non richiedeva, il volto richiedeva.
La semplicetta Silvia,
pietosa del mio male,
s’offrì di dar aita
a la finta ferita, ahi lasso, e fece 160
più cupa e più mortale
la mia piaga verace,
quando le labra sue
giunse a le labra mie.
Né l’api d’alcun fiore
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còglion sì dolce il mel ch’allora io colsi da quelle fresche rose,
se ben gli ardenti baci,
che spingeva il desire a inumidirsi, raffrenò la temenza
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e la vergogna, o felli
più lenti e meno audaci.
Ma mentre al cor scendeva quella dolcezza mista
d’un secreto veleno,
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tal diletto n’avea
che, fingendo ch’ancor non mi passasse il dolor di quel morso,
fei sì ch’ella più volte
vi replicò l’incanto.
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Da indi in qua andò in guisa crescendo il desire e l’affanno impaziente che, non potendo più capir nel petto, fu forza che scoppiasse; ed una volta Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 20
ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli Torquato Tasso Aminta
Atto primo Q
che in cerchio sedevam ninfe e pastori, 185
e facevamo alcuni nostri giuochi, che ciascun ne l’orecchio del vicino mormorando diceva un suo secreto,
- Silvia, – le dissi – io per te ardo, e certo morrò, se non m’aiti. – A quel parlare 190
chinò ella il bel volto, e fuor le venne un improvviso, insolito rossore che diede segno di vergogna e d’ira; né ebbi altra risposta che un silenzio, un silenzio turbato e pien di dure 195
minaccie. Indi si tolse, e più non volle né vedermi né udirmi. E già tre volte ha il nudo mietitor tronche le spighe, ed altretante il verno ha scossi i boschi de le lor verdi chiome, ed ogni cosa 200
tentata ho per placarla, fuor che morte.
Mi resta sol che per placarla io mora; e morrò volontier, pur ch’io sia certo ch’ella o se ne compiaccia, o se ne doglia: né so di tai due cose qual più brami.
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Ben fora la pietà premio maggiore a la mia fede, e maggior ricompensa a la mia morte; ma bramar non deggio cosa che turbi il bel lume sereno agli occhi cari, e affanni quel bel petto.
Tirsi
E’ possibil però che, s’ella un giorno udisse tai parole, non t’amasse?
Aminta
Non so, né ‘l credo; ma fugge i miei detti come l’aspe l’incanto.
Tirsi
Or ti confida,
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ch’a me dà il cuor di far ch’ella t’ascolti.
Aminta
O nulla impetrerai, o, se tu impetri ch’io parli, io nulla impetrerò parlando.
Tirsi
Perché disperi sì?
Op.
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