Grande biblioteca della letteratura italiana 21

ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli Torquato Tasso Aminta Atto primo Q

Aminta

Giusta cagione

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ho del mio disperar, che il saggio Mopso mi predisse la mia cruda ventura, Mopso ch’intende il parlar degli augelli e la virtù de l’erbe e de le fonti.

Tirsi

Di qual Mopso tu dici? di quel Mopso 225

c’ha ne la lingua melate parole, e ne le labra un amichevol ghigno, e la fraude nel seno, ed il rasoio tien sotto il manto? Or su, sta di bon core, che i sciaurati pronostichi infelici, 230

ch’ei vende a’ mal accorti con quel grave suo supercilio, non han mai effetto: e per prova so io ciò che ti dico; anzi da questo sol ch’ei t’ha predetto mi giova di sperar felice fine 235

a l’amor tuo.

Aminta

Se sai cosa per prova,

che conforti mia speme, non tacerla.

Tirsi

Dirolla volontieri. Allor che prima mia sorte mi condusse in queste selve, 240

costui conobbi, e lo stimava io tale qual tu lo stimi; in tanto un dì mi venne e bisogno e talento d’irne dove siede la gran cittade in ripa al fiume, ed a costui ne feci motto; ed egli 245

così mi disse: – Andrai ne la gran terra, ove gli astuti e scaltri cittadini e i cortigian malvagi molte volte prendonsi a gabbo, e fanno brutti scherni di noi rustici incauti; però, figlio, 250

va su l’avviso, e non t’appressar troppo ove sian drappi colorati e d’oro, e pennacchi e divise e foggie nove; ma sopra tutto guarda che mal fato o giovenil vaghezza non ti meni 255

al magazzino de le ciancie: ah fuggi, Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 22

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fuggi quell’incantato alloggiamento.

- Che luogo è questo? – io chiesi; ed ei soggiunse:

- Quivi abitan le maghe, che incantando fan traveder e traudir ciascuno.

260

Ciò che diamante sembra ed oro fino, è vetro e rame; e quelle arche d’argento, che stimeresti piene di tesoro, sporte son piene di vesciche bugge.

Quivi le mura son fatte con arte, 265

che parlano e rispondono ai parlanti; né già rispondon la parola mozza, com’Eco suole ne le nostre selve, ma la replican tutta intiera intiera: con giunta anco di quel ch’altri non disse.

270

I trespidi, le tavole e le panche, le scranne, le lettiere, le cortine, e gli arnesi di camera e di sala han tutti lingua e voce: e gridan sempre.

Quivi le ciancie in forma di bambine 275

vanno trescando, e se un muto v’entrasse, un muto ciancerebbe a suo dispetto.

Ma questo è ‘l minor mal che ti potesse incontrar: tu potresti indi restarne converso in selce, in fera, in acqua, o in foco: 280

acqua di pianto, e foco di sospiri. –

Così diss’egli; ed io n’andai con questo fallace antiveder ne la cittade; e, come volse il Ciel benigno, a caso passai per là dov’è ‘l felice albergo.

285

Quindi uscian fuor voci canore e dolci e di cigni e di ninfe e di sirene, di sirene celesti; e n’uscian suoni soavi e chiari; e tanto altro diletto, ch’attonito godendo ed ammirando, 290

mi fermai buona pezza. Era su l’uscio, quasi per guardia de le cose belle, uom d’aspetto magnanimo e robusto, di cui, per quanto intesi, in dubbio stassi Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 23

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s’egli sia miglior duce o cavaliero; 295

che, con fronte benigna insieme e grave, con regal cortesia invitò dentro, ei grande e ‘n pregio, me negletto e basso.

Oh che sentii? che vidi allora? I’ vidi celesti dee, ninfe leggiadre e belle, 300

novi Lini ed Orfei; ed oltre ancora, senza vel, senza nube, e quale e quanta a gl’immortali appar, vergine Aurora sparger d’argento e d’or rugiade e raggi; e fecondando illuminar d’intorno 305

vidi Febo, e le Muse, e fra le Muse Elpin seder accolto; ed in quel punto sentii me far di me stesso maggiore, pien di nova virtù, pieno di nova deitade, e cantai guerre ed eroi, 310

sdegnando pastoral ruvido carme.

E se ben poi (come altrui piacque) feci ritorno a queste selve, io pur ritenni parte di quello spirto; né già suona la mia sampogna umil come soleva, 315

ma di voce più altera e più sonora emula de le trombe, empie le selve.

Udimmi Mopso poscia, e con maligno guardo mirando, affascinommi; ond’io roco divenni, e poi gran tempo tacqui: 320

quando i pastor credean ch’io fossi stato visto dal lupo, e ‘l lupo era costui.

Questo t’ho detto, acciò che sappi quanto il parlar di costui di fede è degno; e déi bene sperar, sol perché ei vuole 325

che nulla speri.

Aminta

Piacemi d’udire quanto mi narri. A te dunque rimetto la cura di mia vita.

Tirsi

Io n’avrò cura.

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Tu fra mezz’ora qui trovar ti lassa.

Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 24

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Coro

O bella età de l’oro,

non già perché di latte

sen’ corse il fiume e stillò mele il bosco; non perché i frutti loro

335

dier da l’aratro intatte

le terre, e gli angui errâr senz’ira o tosco; non perché nuvol fosco

non spiegò allor suo velo, ma in primavera eterna,

340

ch’ora s’accende e verna, rise di luce e di sereno il cielo; né portò peregrino

o guerra o merce agli altrui lidi il pino; ma sol perché quel vano

345

nome senza soggetto,

quell’idolo d’errori, idol d’inganno, quel che dal volgo insano onor poscia fu detto,

che di nostra natura ‘l feo tiranno, 350

non mischiava il suo affanno fra le liete dolcezze

de l’amoroso gregge;

né fu sua dura legge

nota a quell’alme in libertate avvezze, 355

ma legge aurea e felice

che natura scolpì: S’ei piace, ei lice.