Poi quel ragazzo intona la canzone, e ciascuno di noi ripeterà con quanto fiato ha in gola il ritornello.(77)

(Musica - Enobarbo li fa prendere per mano)

CANZONE

"Vieni, signor del vino, "Bacco paffuto, e facci l'occhiolino! "S'affoghino gli affanni nei tuoi tini. "Deh, vieni, e i nostri crini "incorona di tralci, finché il mondo "seguiterà ad andare a tutto tondo".

OTTAVIO - Ma non vi basta ancora?... Buona notte, Pompeo.

(Ad Antonio) Caro fratello, permettimi di chiederti licenza: i nostri impegni aggrottano la fronte a queste frivolezze.

(A tutti gli altri) Miei signori, separiamoci, adesso. Lo vedete: le nostre guance son tutt'una vampa. Il robusto Enobarbo è già anche lui diventato più debole del vino, e la mia lingua farfuglia a parlare. Questa ebbrezza selvaggia ci ha resi tutti quasi dei pagliacci. Che c'è ancora da dire?... Buona notte, Antonio, qua la mano.

POMPEO - Vi rimetto alla prova appena a riva.

ANTONIO - Certo, Pompeo. Dammi la mano.

POMPEO - Oh, Antonio! Ti sei preso la casa di mio padre... Ma via, non siamo amici?... Su, caliamoci tutti nella barca.

ENOBARBO - E state attenti a non cadere in acqua!

(Escono tutti, meno Enobarbo e Menas)

Menas, a me non va di andare a terra.

MENAS - No, nella mia cabina. Tamburi, trombe, flauti, su, suonate! Oda Nettuno il fragoroso addio che diamo a questi grandi nostri amici! Su, suonate e impiccatevi! Suonate!

Trombe e tamburi

ENOBARBO - Olà, ehi, dico: guarda il mio berretto!

(Lo getta in aria)

MENAS - Nobile capitano, olà, su, vieni.

(Escono)

ATTO TERZO

SCENA I - Una piana in Siria

Entra VENTIDIO, come in trionfo, con SILIO e altri romani, ufficiali e soldati. In testa al corteo viene portata la salma di Pacoro

VENTIDIO - O saettante(78) Partia, ora sei vinta! Finalmente la sorte a me benigna mi fa vendicatore della morte del nostro Marco Crasso. Si porti il corpo del figlio del re in testa alla colonna. Questo, Orode, paga per vendicare Marco Crasso il tuo Pacoro.

SILIO - Nobile Ventidio, mentre del loro sangue è ancora calda la tua spada, incalza i Parti in fuga, dilaga in Media ed in Mesopotamia, dovunque volino a trovar rifugio le loro schiere in rotta. Così il tuo grande capitano Antonio ti porrà sul suo carro trionfale e cingerà il tuo capo di ghirlande.(79)

VENTIDIO - Oh, Silio, Silio! Ho fatto già abbastanza. Un subalterno, tienitelo a mente, è sempre esposto al rischio di strafare. Impara questo, Silio: è preferibile lasciare non compiuta qualche cosa, che ritrarne per sé troppo alta gloria, per averla compiuta quando è via colui al quale siam subordinati. Cesare come Antonio han sempre vinto più pel tramite dei loro ufficiali che di persona. Il suo luogotenente Sossio,(80) che tenne già il mio posto in Siria, perdette il suo favore per la fama che s'era procacciata ed accresciuta in pochissimo tempo. Chiunque in guerra fa di più di quello che sa fare il capo, diviene lui il capo del suo capo; e l'ambizione, virtù del soldato, preferirà piuttosto una sconfitta a una vittoria che la metta in ombra. Io potrei fare meglio e ancor di più per il bene di Antonio, ma questo gli potrebbe dar fastidio, e tutto il mio ben fatto andrebbe in fumo.

SILIO - Tu, Ventidio, possiedi tutto quello la cui mancanza fa distinguer male un soldato dalla sua propria spada. Scriverai ad Antonio?

VENTIDIO - Certamente; e gli riferirò quanto "in suo nome" - questa parola magica di guerra - umilmente abbiam fatto: come, cioè, sotto le sue bandiere e con le sue ben pagate milizie abbiamo sgominato in campo aperto l'imbattuta cavalleria dei Parti.

SILIO - Dov'è adesso?

VENTIDIO - Dirige sopra Atene, dove noi, con la fretta consentita dal bottino che ci portiamo dietro, andremo ad incontrarlo... Avanti, march!

(Escono)

SCENA II - Atrio nella casa di Cesare

Entrano, da parti opposte, AGRIPPA e ENOBARBO

AGRIPPA - Sicché i cognati adesso si separano?(81)

ENOBARBO - Con Pompeo hanno chiuso la partita, è stato fatto fuori.(82) Gli altri tre stan suggellando il patto d'alleanza. Ottavia piange perché lascia Roma; Cesare è triste per questa partenza, mentre Lepido, come dice Menas, dal giorno del banchetto di Pompeo, è afflitto dal mal verde.(83)

AGRIPPA - Ah, quel nobile Lepido!...

ENOBARBO - Un brav'uomo, un gran brav'uomo. E come adora Cesare!

AGRIPPA - Già, ma non dici come adora Antonio?

ENOBARBO - Cesare... Ma per lui è un Giove in terra!

AGRIPPA - E Antonio, allora? Antonio è il dio di Giove!

ENOBARBO - Di Cesare parlavi?... Impareggiabile!

AGRIPPA - E Marcantonio?... Un'araba fenice!

ENOBARBO - Tu vuoi lodare Cesare?... Ti basta dire "Cesare": non altro.

AGRIPPA - Veramente, lui li subissa entrambi di lodi strabilianti.

ENOBARBO - Però, è sempre Cesare, ch'egli ama più, seppure egli ami Antonio.