Il fatto serio è ch'egli ha mosso nuovamente guerra contro Sesto Pompeo; ha preparato il testamento, e poi l'ha letto in pubblico: di me non ha parlato quasi affatto, e quando s'è trovato nel discorso a non potere proprio fare a meno di tributarmi almeno un qualche merito, l'ha fatto in modo freddo e distaccato, lesinandomi al massimo gli elogi; e ogni volta che n'ebbe l'occasione, o non la colse, oppure, se la colse, lo fece a denti stretti.
OTTAVIA - Mio buon signore, non credere a tutto, o, se proprio lo devi, fa' di non prendere ogni cosa a cruccio. Se, non sia mai, dovesse, fra voi due prodursi una rottura, non ci sarebbe proprio donna al mondo, più infelice di me, nel ritrovarmi nel mezzo a tutti e due, a pregare per una e l'altra parte. Rideranno di me gli dèi benigni nel sentirmi pregarli: "Oh, benedite l'uomo ch'è mio signore e mio marito!", ed annullare poi questa preghiera, gridando, con egual pietosa foga: "Oh, proteggete, numi, mio fratello!". Vinca il marito, no, vinca il fratello: lei prega, e una preghiera annulla l'altra, tra questi estremi non c'è via di mezzo.
ANTONIO - Ottavia mia gentile, che il tuo amore s'indirizzi più forte verso il punto che meglio cercherà di conservarlo: semmai dovessi perdere il mio onore, io perderei me stesso: meglio non esser tuo, che senza onore! Ma sarai tu, com'è tuo desiderio, a far da intermediaria fra noi due; intanto io, signora, allestirò una tal forza di guerra da eclissar tuo fratello. Perciò affrettati a far quello che dici, se vuoi che il desiderio tuo s'avveri.
OTTAVIA - Grazie, signore: Giove onnipotente faccia di me, che son fragile cosa, la vostra musa riconciliatrice. Se scoppiasse una guerra tra voi due, sarebbe come se si spalancasse nel mondo la voragine e a colmarla occorressero pile di cadaveri.
ANTONIO - Quando ti sarà chiaro chi n'è causa, indirizza su lui il tuo disdegno, perché mai si potranno equivalere le nostre colpe, sì che l'amor tuo possa ancora spartirsi fra noi due in eguale misura. Per adesso, preparati a partire; scegli tu il tuo seguito ed ordina ogni spesa che ti possa servire, a tuo piacere.
(Escono)
SCENA V - La stessa. Un'altra stanza
Entrano, da parti opposte, ENOBARBO ed EROS
ENOBARBO - Salute, amico Eros! Che notizie?
EROS - Notizie strane, in giro, amico.
ENOBARBO - Quali?
EROS - Cesare e Lepido contro Pompeo, in guerra.
ENOBARBO - È roba vecchia!... Ma con Lepido, poi, com'è finita?(85)
EROS - È finita che Cesare, dopo essersi servito ben di lui, per far guerra a Pompeo, gli ha negato il diritto di collega, non ha voluto farlo compartecipe della gloria acquistata nell'impresa; non contento di questo, ora l'accusa per alcune lettere che avrebbe scritte precedentemente allo stesso Pompeo; su questa accusa, lo fa arrestare, e così il poveretto terzo nel mondo è chiuso sottochiave, finché la morte venga a ridischiudergli un più largo orizzonte.
ENOBARBO - Allora ti rimangono ora, mondo, un paio di mandibole e non più. Buttaci tutto il cibo che possiedi: ci penseranno loro a macinarlo tra loro due... Dov'è ora Antonio?
EROS - È là in giardino che se la passeggia, ecco, così: a dar calci in qua e in là, a tutti i cespuglietti in cui s'imbatte, gridando, ad ogni po': "Lepido, idiota!" e minacciando di tagliar la gola al suo soldato che ha ucciso Pompeo.(86)
ENOBARBO - La nostra grande flotta è già allestita.
EROS - Per l'Italia e per Cesare!... Domizio, il mio signore ti vuole d'urgenza. Ora m'accorgo che queste notizie avrei potuto dartele anche dopo.
ENOBARBO - Sarà cosa da nulla... Lascia stare, e accompagnami tu da Antonio.
EROS - Vieni.
(Escono)
SCENA VI - Roma. In casa di Cesare
Entrano OTTAVIO CESARE, AGRIPPA e MECENATE
OTTAVIO - Ha fatto questo e altro, in Alessandria, in dispregio di Roma. Ed ecco come: nel Foro, lui e Cleopatra, avanti a tutti, su un palco d'argento, seduti su dei troni tutti d'oro; seduti ai loro piedi Cesarione, che dicono sia figlio di mio padre,(87) e tutta la progenie dei bastardi che la loro lussuria ha procreato da allora fino ad oggi. A lei ha dato il regno dell'Egitto, proclamandola inoltre imperatrice della Siria Inferiore, e Cipro, e Lidia.
MECENATE - In pubblico, così, davanti a tutti?
OTTAVIO - Appunto, là, sulla pubblica piazza, dove fan le parate militari. Là stesso ha proclamato re dei re i suoi figli, assegnando ad Alessandro la Grande Media, la Partia e l'Armenia; a Tolomeo la Siria e la Cilicia, ed anche la Fenicia. Ella comparve quel giorno abbigliata nei paramenti d'Iside, la dea, come pare che s'abbigliasse spesso anche in passato, quando dava udienza.
MECENATE - Lo sappia Roma...
AGRIPPA - Sì, affinché i Romani, già disgustati dalla sua indolenza, gli ritirino tutto il loro credito.
OTTAVIO - Il popolo è informato, ché adesso ha ricevuto le sue accuse.
AGRIPPA - Quali accuse? Chi accusa?
OTTAVIO - Accusa Cesare, per il fatto che, dopo aver spogliato Sesto Pompeo del dominio in Sicilia, noi non gli avremmo dato la sua parte del governo dell'isola; sostiene poi d'avermi dato in prestito delle navi che non gli ho più ridato; infine è sulle furie perché Lepido è stato esautorato da triumviro, e perché noi, dopo averlo deposto, abbiamo incamerato le sue rendite.
MECENATE - A queste accuse si dovrà rispondere.
OTTAVIO - Già fatto: il messaggero è già partito. Lepido - gli ho risposto - s'era fatto crudele e disumano, e abusava del suo alto potere, e quindi ha meritato quell'esonero. Son disposto a concedergli una parte di quanto ho conquistato io da solo, ma pretendo che lui faccia altrettanto con l'Armenia e con tutti gli altri regni conquistati da lui.
MECENATE - A questo non acconsentirà mai.
OTTAVIO - E noi diremo "no" alle sue pretese!
Entra OTTAVIA, con seguito
OTTAVIA - Salute, Cesare! Salve, signori! Ottavio mio carissimo!
OTTAVIO - Dovevo proprio giungere sul punto di chiamarti una donna ripudiata!
OTTAVIA - Non l'hai fatto, né hai ragione a farlo.
OTTAVIO - Perché ci arrivi così di soppiatto, non come Ottavia, sorella di Cesare? La consorte di Antonio dovrebbe avere come battistrada un esercito intero, ed il suo arrivo dovrebbero annunciar gli alti nitriti dei cavalli, ben prima ch'essa appaia; e gli alberi, per tutto il suo percorso, dovrebbero esser carichi di folla plaudente e svigorita nell'attesa; e nugoli di polvere, sollevati dalla tua numerosa truppa al seguito, dovrebbero innalzarsi fino al cielo... Tu invece giungi a Roma come una forosetta di mercato, e c'impedisci di mostrare al mondo quell'affetto che, se non ostentato, può rischiar di restar non corrisposto.(88) Ti saremmo venuti incontro tutti, e sul mare e per terra, ad ogni tappa offrendoti più grande il nostro omaggio.
OTTAVIA - Fratello mio diletto, a venire così non fui costretta: l'ho fatto di mia piena volontà. Udendo il mio signore Marcantonio, che tu ti preparavi ad una guerra, ne informò il mio orecchio desolato, e gli implorai licenza di tornare.
OTTAVIO - Ch'egli immediatamente t'ha accordato, la tua presenza essendogli d'ostacolo tra lui e la sua sete di lascivia.
OTTAVIA - Non dir così.
OTTAVIO - Gli tengo gli occhi addosso, e le sue cose me le porta il vento. Dov'è adesso?
OTTAVIA - In Atene, mio signore.
OTTAVIO - No, mia fin troppo oltraggiata sorella: Cleopatra con un cenno l'ha chiamato. Ha ceduto il suo regno a una baldracca, ed ora arruolano i re della terra per farci guerra: Bocco, re di Libia, Archelao, principe di Cappadocia; e Filadelfo, re di Paflagonia; e il tracio Adalla, e Marco re d'Arabia; il re del Ponto; Erode di Giudea; e Mitridate, e Polemo ed Aminta di Vomagena, Media e Licaonia, e tutta un'altra lista d'altri scettri.
OTTAVIA - Oh, me, disgraziatissima, col mio cuore diviso fra due cari che si fan guerra e male l'uno all'altro!
OTTAVIO - Sii qui la benvenuta. Le tue lettere han ritardato la nostra rottura finché non fu chiaro di quanto fossi stata maltrattata e in quale rischio mi trovavo io stesso per la colpevole mia tolleranza. Fa' cuore, non lasciarti frastornare dagli eventi che sulla tua lietezza adducono sì amare traversie, ma lascia, senza piangere, che le cose decise dal destino abbiano a seguitare il loro corso. Intanto sii la benvenuta a Roma, ché nulla potrebbe essermi più caro. Sei stata oltre ogni limite oltraggiata, e gli dèi sommi, a renderti giustizia, fanno di me e di quanti t'hanno cara i lor ministri. Resta di buon animo, e sii sempre tra noi la benvenuta.
AGRIPPA - Sì, benvenuta, Ottavia!
MECENATE - Benvenuta.
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