Ogni cuore ti vuol bene, in Roma e ti compiange. Sol l'adultero Antonio, nel corrivo suo abominio, ti caccia da sé e cede a una bagascia tutta la grande sua autorità; e questo lo conclama a noi nemico.
OTTAVIA - È davvero così?
OTTAVIO - Sicuramente. Sorella, benvenuta. Ora, ti prego, devi solo munirti di pazienza, e aspettare, sorella mia carissima.
(Escono)
SCENA VII - Il campo di Antonio presso Azio
Entrano CLEOPATRA ed ENOBARBO
CLEOPATRA - Con te faremo i conti, sta' tranquillo!
ENOBARBO - Perché, perché, che ho fatto?
CLEOPATRA - Ti sei opposto a ch'io partecipassi personalmente a questa spedizione, dicendo che non è roba per me.
ENOBARBO - Lo è forse, lo è?
CLEOPATRA - Quand'anche non sia stata dichiarata contro di me, la guerra,(89) perché non dovrei esserci in persona?
ENOBARBO - (Tra sé) Beh, le potrei rispondere: dovessimo impiegare nel servizio dei cavalli e delle giumente insieme, sarebbe una cavalleria perduta; le giumente si porterebbero via cavallo e cavaliere...
CLEOPATRA - Che farfugli?
ENOBARBO - Dicevo che la tua presenza, qui, deve per forza imbarazzare Antonio, distraendogli mente e cuore e tempo da ciò da cui non deve esser distratto. Già l'accusano a Roma d'eccessivo lassismo e leggerezza, e dicono che questa spedizione la conduce un eunuco, il tuo Fotino, insieme alle tue donne.
CLEOPATRA - Sprofondi Roma, e crepino le lingue di quanti sparlano lassù di noi! Un carico di questa guerra è mio, ed io, come sovrana del mio regno, mi ci voglio mostrare come un uomo. Ed è inutile che tu parli contro, non mi tirerò indietro.
ENOBARBO - Beh, per me basta. Arriva il generale.
Entrano ANTONIO e CANIDIO
ANTONIO - Non è strano, Canidio, ch'abbia potuto in così breve tempo tagliar lo Ionio da Taranto a Brindisi, e conquistare subito Torona?
(A Cleopatra) Hai sentito, mia cara?
CLEOPATRA - Nessuno sa ammirar più dell'ignavo l'altrui rapidità.
ANTONIO - Un bel rimbrotto, Cleopatra, prendersela con l'ignavia! Adatto anche al migliore soldato! Noi, Canidio, l'affronteremo in mare.
CLEOPATRA - In mare, e che cos'altro?
CANIDIO - Perché vuol fare questo il mio signore?
ANTONIO - Perché è lui stesso che ci sfida a farlo.
ENOBARBO - Ma anche tu l'hai sfidato, mio signore, a battersi con te da solo a solo.
CANIDIO - Già, e a darti battaglia sullo stesso terreno di Farsaglia sul quale Cesare affrontò Pompeo; ma offerte come queste in cui sa di trovarsi svantaggiato, lui le respinge risolutamente, e altrettanto dovresti fare tu.
ENOBARBO - Le nostre navi son male armate, gli equipaggi son tutti mulattieri mietitori, raffazzonati in fretta, con leva obbligatoria; nella flotta di Cesare son quelli che han combattuto già contro Pompeo; le lor navi sono agili, leggere, le tue sono pesanti appetto a quelle. Se ricusi di batterti per mare, non te ne può venire disonore, essendo tu preparato per terra.
ANTONIO - No, per mare, per mare!
ENOBARBO - Ma così, nobilissimo signore, tu getti via la superiorità assoluta, di cui godi per terra, frantumi le tue forze, consistenti per la lor maggior parte di fanterie fortemente agguerrite, rinunci a trar partito dalla tua nota scienza militare, abbandoni la via per il successo, e, scartando una solida certezza, ti affidi alla ventura e allo sbaraglio.
ANTONIO - Ho deciso: darò battaglia in mare.
CLEOPATRA - Io ho sessanta vele, e Cesare non ha nulla di meglio.
ANTONIO - Bruceremo le navi in sovrappiù, e con le rimanenti, tutte perfettamente equipaggiate, bloccheremo, dal promontorio d'Azio, l'avanzata di Cesare. Se poi dovessimo fallir sul mare, potremo sempre rifarci per terra.
Entra un MESSO
Che c'è?
MESSO - È notizia certa, generale: Cesare è in vista, ed ha preso Torona.
ANTONIO - Come può essere già lì?... Impossibile! È strano che vi sian già con l'esercito. Canidio, tu assumerai il comando delle nostre diciannove legioni e dei dodicimila cavalieri per terra. Noi staremo sulla nave al largo di Azio. Andiamo, su, mia Teti!(90)
Entra un SOLDATO
Che c'è, bravo soldato?
SOLDATO - Generale, evita di combattere per mare. Non affidarti a legni marcescenti: abbi fiducia di quel che ti dicono questa mia spada e queste mie ferite. Vadano loro, Egiziani e Fenici, a diguazzare in acqua come papere: noi abbiam sempre trionfato per terra, e combattendo piede contro piede.
ANTONIO - Bene, bene, su, andiamo!
(Escono Antonio, Cleopatra ed Enobarbo)
SOLDATO - Son sicuro, per Ercole, d'aver ragione io!
CANIDIO - Ed hai ragione, soldato; ma ormai tutto quel che fa non procede dalla sua volontà: sicché colui che dovrebbe guidarci, è guidato; e noi uomini qui, siamo in mano alle donne.
SOLDATO - Tu comandi per terra le legioni e tutta la cavalleria, è vero?
CANIDIO - Sì. Marco Ottavio con Marco Giuliano, con Publicola e Celio sono in mare; noi ci teniamo tutti qui, per terra. Però questa rapidità di Cesare è davvero al disopra del credibile.
SOLDATO - Mentr'era ancora a Roma, fece uscir le sue truppe dalle mura in sì piccoli gruppi distaccati, da ingannare le spie.
CANIDIO - E il suo luogotenente sai chi è?
SOLDATO - Dicono un certo Tauro.
CANIDIO - Lo conosco.
Entra un altro MESSO
MESSO - Il generale chiede di Canidio.
CANIDIO - È un'ora gravida di novità: ne partorisce una ogni minuto.
(Escono)
SCENA VIII - Una piana presso Azio
Entrano OTTAVIO CESARE e TAURO, con l'esercito in marcia
OTTAVIO - Tauro!
TAURO - Mio signore?
OTTAVIO - Mai colpire per terra, stare uniti, non provocar battaglia, finché non sia tutto concluso in mare. Tenersi alle istruzioni scritte qui. In questa scelta sta la nostra sorte.
(Escono)
SCENA IX - Un'altra parte della stessa piana
Entrano ANTONIO ed ENOBARBO
ANTONIO - Gli squadroni della cavalleria schierali là, sul fianco di quel colle, in vista dell'esercito di Cesare; da quel posto potremo anche scoprire il numero delle sue navi in mare, e regolarci noi di conseguenza.
(Escono)
SCENA X - Un'altra parte della stessa piana
Entrano, da un lato, CANIDIO, in marcia col suo esercito; dall'altro TAURO, il luogotenente di Cesare, con il suo - Dopo che sono usciti di scena, s'ode il fragore della battaglia navale
Squilli di tromba
Entra ENOBARBO
ENOBARBO - Tutto in sfacelo! Tutto, tutto, tutto! Non reggo più a guardare! L'ammiraglia egiziana, l'Antoniade, con tutti i sessanta navigli han virato di barra e fuggon via. Una vista che acceca!
Entra SCARO
SCARO - O dèi e dee, e tutto il loro sinodo!
ENOBARBO - Che hai da disperarti in questo modo?
SCARO - La più importante porzione del mondo è perduta, per mera balordaggine! Ci siam giocati a baci ed a carezze interi regni, ed intere province!
ENOBARBO - Come va la battaglia?
SCARO - Per noi, come l'arrivo del colera, con la morte sicura. Quella lasciva cavallaccia egizia - che la lebbra se la divori tutta! - proprio nel mezzo del combattimento, quando le sorti, come due gemelle, s'eguagliavano, da una parte all'altra, anzi, la nostra forse anche maggiore,(91) quasi morsa da chissà qual tafano, come una vacca in foja in pieno giugno, alza le vele e fila via!
ENOBARBO - L'ho visto: e mi si son voltati gli occhi nell'orbite, da non vedere più.
SCARO - E come ebbe virato ella di bordo, Marcantonio, la nobile rovina della malia di questa incantatrice, spiega al vento le sue ali marine, e come un'anitra selvaggia in foja la insegue, abbandonando la battaglia quando questa era proprio nel suo culmine. Non ho mai visto una vergogna simile: mai prima la virilità, l'onore, uniti all'esperienza militare si profanarono da loro stessi.
ENOBARBO - Ahimè, ahimè!...
CANIDIO - Le nostri sorti in mare son senza fiato e stanno andando a picco nella più lamentevole maniera; perché se il nostro comandante in capo fosse stato all'altezza di se stesso, sarebbe andata bene! In questo modo, ci ha insegnato lui l'esempio vergognoso della fuga.
ENOBARBO - Per Giove! Siamo a tanto? Allora, buona notte: per davvero!
CANIDIO - Puntano, in fuga, sul Peloponneso.
SCARO - È facile arrivarci; laggiù attenderò anch'io gli eventi.
CANIDIO - Io non farò che consegnare a Cesare le mie legioni e la cavalleria; sei re, col loro esempio,(92) m'additano la strada della resa.
ENOBARBO - Io voglio invece ancora esser compagno alle sorti di Antonio ormai ferite, nonostante mi sian contrari a tanto la ragione e il corso degli eventi.
(Escono)
SCENA XI - Alessandria. La reggia di Cleopatra
Entra ANTONIO, con seguito
ANTONIO - Ascoltate: la terra mi comanda di non stare più a lungo a calpestarla: ha vergogna di reggermi. Venite qua, compagni, avvicinatevi : io mi son tanto attardato nel mondo, da smarrire la strada. C'è una mia nave là carica d'oro: prendetelo e spartitelo fra voi. Fuggite e fate la pace con Cesare.
TUTTI - Fuggire, noi! No, Antonio!
ANTONIO - Io stesso son fuggito, ed ho insegnato ai vili come mostrare le spalle. Andate, amici: io mi son risolto a un passo che di voi non ha bisogno. Andate, il mio tesoro è giù nel porto: è vostro. Oh, arrossisco di vergogna a riguardare il corso che ho seguito; i miei stessi capelli si ribellano, e quelli bianchi rinfacciano ai bruni la loro sventatezza, e questi a quelli la pavidezza e la stupidità. Andate via, amici, affiderò a ciascuno una mia lettera per certi amici a Roma, che vi potranno spianare la strada.
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