Verso mezzanotte, al chiarore sereno della luna, le dichiarai la mia devozione con un’emozione che non parve dispiacerle.

Ma il giorno seguente, nello stupore generale, si apprese che, non essendo sufficienti gli indizi raccolti contro di lui, Rozaine era libero.

Figlio d’un importante negoziante di Bordeaux, aveva esibito documenti perfettamente in regola. Inoltre, le sue braccia non presentavano la minima traccia di ferite.

«Documenti! Atti di nascita!», esclamarono i nemici di Rozaine, «ma Arsène Lupin ve ne fornirà quanti vorrete! Quanto alla ferita, non ne aveva... Oppure ne ha cancellato la traccia!».

Si obbiettava loro che all’ora del furto, Rozaine – era dimostrato – passeggiava sul ponte. Al che rispondevano:

«Un uomo della tempra di Arsène Lupin ha forse bisogno di assistere al furto che commette?».

E poi, al di là di ogni stravagante considerazione, c’era un punto su cui i più scettici non potevano ribattere. Chi, salvo Rozaine, viaggiava solo, era biondo, e portava un nome che iniziava per R? Chi indicava il telegramma, se non Rozaine?

E quando Rozaine, alcuni minuti prima del pranzo, si diresse audacemente verso il nostro gruppo, miss Nelly e lady Jerland si alzarono e andarono via.

Era paura vera e propria.

Un’ora più tardi, una circolare manoscritta passava di mano in mano fra gli impiegati di bordo, i marinai, i viaggiatori di tutte le classi: il signor Louis Rozaine prometteva una somma di mille franchi a chi avesse smascherato Arsène Lupin, o avesse trovato il possessore delle pietre rubate.

«E se nessuno mi viene in aiuto contro quel bandito», dichiarò Rozaine al comandante, «sarò io a dargli quello che si merita».

Rozaine contro Arsène Lupin, o piuttosto, secondo la parola che circolò, Arsène Lupin stesso contro Arsène Lupin, la lotta non mancava d’interesse!

Questa si prolungò per due giorni.

Si vide Rozaine vagare a destra e a manca, unirsi al personale, interrogare, curiosare. Si vide, di notte, la sua ombra vagabondare.

Da parte sua, il comandante dispiegò tutte le sue forze. Dall’alto in basso, in ogni angolo, la Provence fu ispezionata. Si perquisirono tutte le cabine, senza eccezione, col pretesto fondato che gli oggetti potessero essere nascosti in qualunque posto, salvo nella cabina del colpevole.

«Si finirà certo per scoprire qualcosa, non è vero?», mi chiedeva miss Nelly. «Per quanto possa essere un mago, non può fare diventare invisibili diamanti e perle».

«Ma certo», le risposi, «altrimenti bisognerebbe esplorare la fodera dei nostri cappelli, delle nostre giacche, e tutto ciò che indossiamo».

E mostrandole la mia Kodak, una 9x12 con cui non mi stancavo di fotografarla negli atteggiamenti più diversi:

«Anche solo in una macchina fotografica non più grande di questa, non pensa che ci sarebbe posto per tutte le pietre preziose di lady Jerland? Si finge di fare fotografie e il gioco è fatto».

«Ma tuttavia, io ho sentito dire che non esiste ladro che non lasci dietro di sé un qualche indizio».

«Ce n’è uno: Arsène Lupin».

«Perché?»

«Perché? Perché non pensa solo al furto che commette, ma a tutte le circostanze che potrebbero denunciarlo».

«All’inizio, lei era più fiducioso».

«Ma dopo, l’ho visto all’opera».

«E allora, secondo lei?»

«Secondo me, si perde tempo».

E in realtà, le investigazioni non davano alcun risultato, o almeno, quel che diedero non corrispondeva allo sforzo generale: al comandante fu rubato l’orologio.

Furioso, raddoppiò il suo ardore e sorvegliò più da vicino ancora Rozaine, con cui aveva avuto parecchi colloqui. Il giorno dopo, ironia affascinante, ritrovarono l’orologio fra i solini del comandante in seconda.

Tutto questo aveva del prodigioso, e denunciava bene la maniera umoristica di Arsène Lupin, ladro, e sia, ma anche per diletto. Lavorava per gusto e per vocazione, certo, ma anche per divertimento. Dava l’impressione del signore che si diverte nella commedia che fa rappresentare e che, dietro le quinte, ride a squarciagola delle sue battute, e delle situazioni che crea.

Decisamente, era un artista nel suo genere, e quando osservavo Rozaine, cupo e tenace, e pensavo al duplice ruolo che senza dubbio svolgeva questo curioso personaggio, non riuscivo a parlarne senza una certa ammirazione.

L’altra notte, l’ufficiale di guardia sentì dei gemiti nel luogo più buio del ponte. Si avvicinò. Un uomo era disteso, la testa avvolta in una sciarpa grigia molto spessa, i polsi legati con una sottile cordicella.

Lo liberarono dai legami. Lo sollevarono, gli furono prodigate delle cure.

L’uomo era Rozaine.

Era Rozaine, assalito nel corso di una sua spedizione, atterrato e spogliato. Un biglietto da visita fissato con una spilla al vestito portava queste parole:

 

Arsène Lupin accetta con riconoscenza i diecimila franchi del signor Rozaine.

 

In realtà, il portafoglio derubato conteneva venti biglietti da mille.

Naturalmente, si accusò lo sventurato di avere simulato quell’attacco contro se stesso. Ma, oltre al fatto che gli sarebbe stato impossibile legarsi in quel modo, fu chiarito che la scrittura del biglietto differiva assolutamente da quella di Rozaine, e assomigliava invece, in modo da trarre in inganno, a quella di Arsène Lupin, tale e quale la riproduceva un vecchio giornale trovato a bordo.

Così, dunque, Rozaine non era più Arsène Lupin. Rozaine era figlio d’un negoziante di Bordeaux! E la presenza di Arsène Lupin veniva assicurata una volta di più, e con quale atto temibile!

Fu il terrore. Non si ebbe più il coraggio di restare soli nella propria cabina, e, ancora di più, di avventurarsi soli nei luoghi troppo isolati. Con prudenza, si formavano gruppi di persone fidate. E ancora, una diffidenza istintiva divideva i più intimi. In quanto la minaccia non proveniva da un individuo isolato, e quindi meno pericoloso. Ora, Arsène Lupin era... Erano tutti. La nostra immaginazione sovreccitata gli attribuiva un potere miracoloso e illimitato. Lo supponevamo capace di assumere i travestimenti più inattesi, di essere di volta in volta il rispettabile maggiore Rawson o il nobile marchese de Raverdan, o persino, poiché non ci si fermava più all’iniziale accusatrice, anche a questa o quella persona conosciuta da tutti, con moglie, figli, domestici.

I primi dispacci senza filo non apportarono alcuna notizia. Almeno, il comandante non ce ne fece parte, e un tale silenzio non era per rassicurarci.

Perciò, l’ultimo giorno parve interminabile. Si viveva nell’ansiosa attesa di una sventura. Questa volta, non sarebbe stato più un furto, una semplice aggressione, sarebbe stato il crimine, l’omicidio. Non si ammetteva che Arsène Lupin si limitasse a questi due furtarelli insignificanti.