Padrone assoluto della nave, le autorità ridotte all’impotenza, non aveva che da volere, tutto gli era permesso, disponeva dei beni e delle esistenze.
Ore deliziose per me, lo confesso, poiché mi valsero la fiducia di miss Nelly. Impressionata da tanti avvenimenti, di natura già inquieta, cercò spontaneamente al mio fianco una protezione, una sicurezza che ero felice di offrirle.
In fondo, benedivo Arsène Lupin. Non era lui che ci faceva avvicinare? Non era grazie a lui che acquisivo il diritto di abbandonarmi ai sogni più belli? Sogni d’amore e sogni meno chimerici, perché non confessarlo? Gli Andrésy sono di buona stirpe del Poitou, ma il loro blasone è un pochino squattrinato, e non mi sembra indegno d’un gentiluomo pensare di rendere al proprio nome il lustro perduto.
E questi sogni, lo sentivo, non urtavano Nelly. I suoi occhi sorridenti mi autorizzavano a farli. La dolcezza della sua voce mi induceva a sperare.
E fino all’ultimo momento, appoggiati coi gomiti al parapetto, restammo l’uno accanto all’altra, mentre la linea delle coste americane ci veniva incontro.
Avevano interrotto le perquisizioni. Si attendeva. Dalle prime classi fino all’interponte, dove brulicavano gli emigranti, si aspettava il minuto supremo in cui si sarebbe spiegato infine l’insolubile enigma. Chi era Arsène Lupin? Sotto quale nome, sotto quale maschera si nascondeva il famoso Arsène Lupin?
E questo minuto supremo arrivò. Dovessi vivere cent’anni, non ne dimenticherò il minimo dettaglio.
«Come è pallida, miss Nelly», dissi alla mia compagna che, nella sua fragilità, si appoggiava al mio braccio.
«E lei!», mi rispose, «ah! È così cambiato!».
«Pensi, dunque! Questo minuto è così appassionante, e io sono felice di viverlo accanto a lei, miss Nelly. Mi sembra che il suo ricordo indugerà talvolta...».
Lei non ascoltava, ansimante e febbrile. Si gettò la passerella, ma prima che avessimo la libertà di attraversarla, delle persone salirono a bordo, doganieri, uomini in uniforme, postini.
Miss Nelly balbettò:
«Se si accorgessero che Arsène Lupin è fuggito durante la traversata non ne sarei sorpresa».
«Ha forse preferito la morte al disonore, e si è buttato nell’Atlantico piuttosto che farsi arrestare».
«Non rida», disse lei, infastidita.
A un tratto, sussultai, e, siccome mi poneva delle domande, le dissi:
«Vede quel vecchio omino in piedi all’estremità della passerella...».
«Con ombrello e redingote verde oliva?».
«È Ganimard».
«Ganimard?»
«Sì, il celebre poliziotto, quello che ha giurato che Arsène Lupin sarebbe stato arrestato per mano sua. Ah! Capisco che non abbiamo avuto informazioni da questa parte dell’oceano. Ganimard era lì. Preferisce che nessuno si occupi delle sue piccole vicende».
«Allora, Arsène Lupin è sicuro di essere sorpreso?»
«Chissà? Ganimard non l’ha mai visto, pare, che truccato e travestito. A meno che non conosca il suo nome fittizio».
«Ah!», disse lei, con la curiosità un po’ crudele delle donne, «se potessi assistere all’arresto!».
«Abbiate pazienza. Certamente Arsène Lupin ha già notato la presenza del suo nemico. Preferirà uscire fra gli ultimi, quando l’occhio del vecchio sarà stanco».
Lo sbarco iniziò. Appoggiato all’ombrello, l’aria indifferente, Ganimard non sembrava prestare attenzione alla folla che si accalcava tra le due balaustre. Notai che un ufficiale di bordo, posto dietro di lui, lo informava di tanto in tanto.
Il marchese de Raverdan, il maggiore Rawson, l’italiano Rivolta sfilarono, e altri, e molti altri... E scorsi Rozaine che si avvicinava.
«Povero Rozaine! Non sembra che si sia rimesso dalle sue disavventure!».
«Comunque, è forse lui», mi disse miss Nelly. «Che ne pensa?»
«Penso che sarebbe molto interessante avere su una stessa fotografia Ganimard e Rozaine. Prenda dunque la mia macchina fotografica, sono così sovraccarico».
Gliela diedi, ma troppo tardi perché lei potesse servirsene. Rozaine passava. L’ufficiale si chinò verso l’orecchio di Ganimard, questi alzò leggermente le spalle e Rozaine passò.
Ma, allora, Dio mio, chi era Arsène Lupin?
«Sì», disse lei ad alta voce, «chi è?».
Erano rimaste solo una ventina di persone. Lei le osservava volta a volta col timore confuso che non fosse, lui, nel numero di quelle venti persone.
Io le dissi:
«Non possiamo aspettare più a lungo».
Lei avanzò. Io la seguii. Ma avevamo fatto appena dieci passi che Ganimard ci sbarrò il passaggio.
«Ebbene, che cosa?», esclamai.
«Un istante, signore, chi le fa fretta?»
«Io accompagno la signorina».
«Un istante», ripeté con una voce più imperiosa.
Mi fissò profondamente, poi mi disse, i suoi occhi nei miei:
«Arsène Lupin, non è vero?».
Io mi misi a ridere.
«No, Bernard d’Andrésy, in tutta semplicità».
«Bernard d’Andrésy è morto tre anni fa in Macedonia».
«Se Bernard d’Andrésy fosse morto, io non sarei più di questo mondo. E non è il caso. Ecco i miei documenti».
«Sono i suoi. Il fatto che li abbia lei, è ciò che avrò il piacere di spiegarle».
«Ma lei è folle! Arsène Lupin si è imbarcato col nome di R.».
«Sì, ancora un suo trucco, una falsa pista lanciata, laggiù! Ah! Lei ha una bella forza, giovanotto.
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