«Si è punta il dito?»
«Non ancora» rispose la Regina, «ma me lo pungerò presto - ahi, ahi, ahi!»
«Quando si aspetta di pungerselo?» chiese Alice, mentre le scappava da ridere.
«Quando mi rimetterò a posto lo scialle» gemette la povera Regina, «la spilla si aprirà di colpo. Ahi, ahi!» Mentre diceva queste parole, la spilla si sganciò e la Regina l’afferrò con foga cercando di richiuderla.
«Stia attenta!» gridò Alice. «L’ha presa male!» E cercò di aiutarla, ma era ormai troppo tardi: la spilla era scivolata e la Regina si era punta il dito.
«Così si spiega il dito che sanguinava» disse ad Alice con un sorriso. «Ora sai come vanno le cose qui».
«Ma perché non grida adesso?» domandò Alice, pronta a coprirsi le orecchie con le mani.
«Be’, ho già esaurito tutti gli strilli» disse la Regina. «Che senso ha ricominciare tutto da capo?»
Intanto tornava a far chiaro. «La cornacchia deve essere volata via» disse Alice. «Come sono contenta che se ne sia andata. Avevo creduto che stesse per far notte».
«Vorrei tanto essere contenta anch’io!» disse la Regina. «Ci deve essere una regola per riuscirci, ma io non mi ricordo mai qual è. Come devi esser felice tu! Vivi nel bosco e sei contenta tutte le volte che vuoi!»
«Ma mi sento così sola qui!» disse Alice con voce malinconica; e al pensiero della propria solitudine due grossi lacrimoni le rotolarono giù per le guance.
«Via, non fare così!» esclamò la povera Regina, torcendosi le mani angosciata. «Pensa a come sei grande. Pensa a quanta strada hai fatto oggi. Pensa a che ore sono. Pensa a qualsiasi cosa, ma non ti mettere a piangere!»
Alice non poté fare a meno di scoppiare a ridere nel bel mezzo del pianto. «Si può smettere di piangere solo pensando a delle cose?» domandò.
«È così che si fa» rispose la Regina con grande decisione: «perché, vedi, non si possono fare due cose insieme. Pensiamo alla tua età, per cominciare - quanti anni hai?»
«Sette e mezzo, esatti esatti».
«Non occorre che tu me li dica tutti esatti» osservò la Regina. «Ti credo allo stesso. Adesso ti darò io qualcosa a cui credere. Io ho cento e un anni, cinque mesi e un giorno».
«Non ci posso credere!» esclamò Alice.
«No?» disse la Regina in tono di compassione. «Provaci ancora: fai un lungo respiro e chiudi gli occhi».
Alice scoppiò a ridere. «Non serve riprovarci» disse. «Non si può credere alle cose impossibili».
«Direi che sei giù d’esercizio» disse la Regina. «Quando avevo la tua età, io ci provavo sempre una mezz’oretta al giorno. A volte riuscivo a credere anche fino a sei cose impossibili prima di colazione, al mattino. Ecco il mio scialle che vola via di nuovo!»
Mentre parlava, le si era aperta la spilla, e un improvviso colpo di vento le aveva fatto volare lo scialle al di là del ruscelletto. La Regina tese le braccia in fuori un’altra volta e alzandosi in volo lo inseguì;71 questa volta riuscì a riprenderlo da sola. «L’ho preso!» gridò in tono trionfante. «Vedrai che me lo riappunto tutto da sola!»
«E il dito va meglio, ora?» chiese Alice premurosa, mentre saltava il ruscelletto, seguendo l’esempio della Regina.
«Ah, molto meglio!» gridò la Regina, con una voce che si andava facendo sempre più stridula. «Molto me-e-glio! Me-e-glio! Me-e-e-glio! Mee-eeh!» L’ultima parola si concluse in un lungo belato, tanto simile a quello di una pecora che Alice trasalì.
Guardò la Regina: era come se si fosse avvolta tutta dentro a della lana. Alice si sfregò gli occhi e guardò di nuovo.
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