Poiché aveva pensato fra sé: «Potrebbero anche non essere tanto buone».
La Pecora prese i soldi e li mise in una scatola, poi disse: «Non consegno mai le cose in mano alla gente - non sta bene - te lo devi prendere da sola». E così dicendo, se ne andò all’estremità opposta della bottega, e sistemò l’uovo appoggiandolo per dritto su uno scaffale.
«Chissà perché non sta bene?» si domandò Alice, mentre si muoveva a tentoni tra i tavoli e le sedie, perché la bottega era molto buia verso il fondo. «Più mi avvicino, e più mi sembra che l’uovo si allontani. Aspetta un po’, qui c’è una seggiola, mi pare. Ma ha i rami, giuro! È proprio buffo lasciar crescere gli alberi qui! Ed ecco un ruscelletto! Ah, questa è davvero la bottega più stramba che io abbia mai visto!»78
E s’inoltrava, sempre più piena di meraviglia, perché tutto si trasformava in albero appena lei si avvicinava e ormai si aspettava che la stessa sorte sarebbe toccata all’uovo.
CAPITOLO VI · HUMPTY DUMPTY
Tuttavia, l’uovo non fece che diventare sempre più grande e sempre più grosso e assumere un aspetto sempre più umano: era ormai giunta a pochi metri di distanza, quando Alice si accorse che aveva occhi, naso e bocca; e quando gli fu del tutto vicina, vide chiaramente che si trattava di HUMPTY DUMPTY in persona. «Non può essere altro che lui!» disse fra sé e sé. «Ne sono sicurissima, come se avesse il nome scritto tutt’intorno alla faccia!»
Ce l’avrebbero potuto scrivere facilmente almeno un centinaio di volte, su quell’enorme faccione. Humpty Dumpty se ne stava seduto, con le gambe incrociate come un Turco, sopra un muretto piuttosto alto - così stretto che Alice non capiva come facesse a stare in equilibrio - e poiché lui teneva lo sguardo fisso da un’altra parte e non la guardava per niente, pensò che, tutto sommato, forse non era altro che un fantoccio imbottito.
«È preciso identico a un uovo, per davvero!» disse a voce alta, mentre stava pronta con le mani per afferrarlo, poiché si aspettava da un momento all’altro di vederlo cadere.
«È una vera provocazione» disse Humpty Dumpty dopo un lungo silenzio e senza guardare in direzione di Alice, «sentirsi dare dell’uovo - veramente!»
«Ho detto che sembra un uovo, signore» spiegò Alice gentilmente. «E certe uova sono molto belle» aggiunse, sperando di riuscire a far passare la sua osservazione per un complimento.
«Certa gente» ribatté Humpty Dumpty, continuando a guardare dall’altra parte, «non ha più giudizio di un neonato!»
Alice non sapeva cosa replicare: non si trattava di un dialogo vero e proprio, pensò perché lui non parlava mai direttamente con lei; in effetti, quell’ultima osservazione sembrava che l’avesse fatta a un albero - allora se ne stette ferma e cominciò a recitare quietamente fra sé:
Humpty Dumpty sul muro era seduto;
Humpty Dumpty dal muro era caduto.
Con tutti tutti i suoi cavalli
E con tutti tutti i suoi fanti
Nemmeno il Re poté
Rimettere Humpty Dumpty su quel muro ove era seduto.
«L’ultimo verso è troppo lungo» aggiunse, quasi parlando a voce alta, dimenticandosi che Humpty Dumpty poteva sentirla.
«Non startene lì in piedi a parlare da sola» disse Humpty Dumpty guardandola per la prima volta, «ma dimmi piuttosto il tuo nome e cosa ci fai qui».
«Il mio nome è Alice, ma -».
«Che nome stupido!» la interruppe Humpty Dumpty spazientito. «Che cosa significa?»
«Un nome deve avere un significato?» chiese Alice, dubbiosa.
«Certamente» rispose Humpty Dumpty con una risatina; «il mio nome significa la forma che ho - una gran bella forma, tra l’altro. Con un nome come il tuo, potresti avere grosso modo qualsiasi forma».
«Perché se ne sta seduto qui fuori tutto solo?» domandò Alice, che non voleva mettersi a litigare.
«Be’, ma perché qui non c’è nessuno!» esclamò Humpty Dumpty. «Credevi che non sapessi rispondere a una domanda come questa? Provane un’altra».
«Non crede che sarebbe più sicuro per terra?» continuò Alice, non certo con l’intenzione di proporre un indovinello, ma solo perché era sinceramente in ansia per quella strana creatura. «Quel muro è tanto stretto!»
«Che indovinelli tremendamente facili fai tu!» brontolò Humpty Dumpty. «Non credo proprio che sarei più sicuro per terra! Ah, se dovesse mai capitarmi di cadere - il che è assolutamente improbabile - ma se dovesse capitarmi -» E qui si corrucciò increspando le labbra con un’espressione così solenne e grave che Alice si trattenne a fatica dal ridere. «Se mi capitasse di cadere» soggiunse, «il Re mi ha promesso - ah, puoi impallidire finché ti pare! Non te l’aspettavi, eh? Il Re mi ha promesso - lui in persona - di - di -».
«Di mandare tutti i suoi cavalli e tutti i suoi fanti» lo interruppe Alice, piuttosto avventatamente.
«Questo è troppo, vivaddio!» esclamò Humpty Dumpty in un improvviso scoppio di collera. «Hai origliato alle porte - dietro gli alberi - dentro i camini - altrimenti non lo avresti mai saputo!»
«Non è vero, glielo assicuro!» rispose Alice molto garbatamente. «L’ho trovato su un libro».
«Ah, be’! Sui libri scrivono di queste cose» disse Humpty Dumpty con un tono più pacato. «La chiamate Storia d’Inghilterra, già. Allora, guardami bene! Io sono uno che ha parlato con un Re; un altro come me magari non l’incontri più; e per dimostrarti che non pecco d’orgoglio, ti concedo di stringermi la mano!» E fece un largo sorriso, che gli andava da un orecchio all’altro, mentre si chinava in avanti (stava quasi per cadere) e porgeva la mano ad Alice. Lei lo guardò piuttosto preoccupata, mentre contraccambiava. «Gli basterebbe fare un sorriso un tantino più largo e gli angoli della bocca finirebbero per incontrarsi dietro la testa» pensò «ma a quel punto non saprei che cosa ne sarebbe della sua testa! Ho paura che finirebbe per perderla!»
«Sì, tutti i suoi cavalli e tutti i suoi fanti» aggiunse Humpty Dumpty. «Mi rimetterebbero in piedi in un attimo, certo! Comunque, questa conversazione sta andando a un ritmo troppo veloce: torniamo indietro alla penultima osservazione».
«Purtroppo non me la ricordo più» rispose Alice con molto garbo.
«In tal caso, ricominciamo da capo» disse Humpty Dumpty. «Adesso tocca a me introdurre un argomento -» («Ne parla come se fosse un gioco!» pensò Alice). «Eccoti pronta una domanda. Quanti anni hai detto che avevi?»
Alice fece un rapido calcolo e disse: «Sette anni e sei mesi».
«Sbagliato!» gridò Humpty Dumpty, trionfante. «Non me l’avevi mai detto!»
«Credevo che lei intendesse «Quanti anni hai?”» spiegò Alice.
«Se avessi inteso dire quello, avrei detto quello» disse Humpty Dumpty.
Alice non aveva voglia di cominciare un altro litigio, e non disse niente.
«Sette anni e sei mesi!» ripeté Humpty Dumpty, cogitabondo. «Un’età molto scomoda. Guarda, se tu ti fossi rivolta a me per un consiglio, ti avrei detto «A sette, lascia perdere» - ma ormai è troppo tardi».
«Non chiedo mai consigli su come si fa a crescere» rispose Alice, indignata.
«Troppo orgogliosa?» volle sapere l’altro.
A questa insinuazione, Alice si indignò ancora di più. «Intendo dire» spiegò «che non si può fare a meno di crescere».
«Da soli forse non si può» disse Humpty Dumpty; «ma in due, sì. Se qualcuno ti dava una mano, avresti potuto smettere a sette anni».
«Che bella cintura avete!» osservò improvvisamente Alice.
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