Di nuovo turbato da una richiesta che, implicando un desiderio di segretezza, gli sembrava inspiegabilmente strana, al subalterno non rimase che eseguire.
— Andate adesso, — disse capitan Vere con modi che erano quasi ritornati a essere quelli abituali. — Andate adesso. Convocherò subito una corte marziale. Informate gli ufficiali su quanto è accaduto, informate il signor Mordant, — (riferendosi al capitano della fanteria marina), — e raccomandate loro di tenere la cosa per sé.
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Pieno di inquietudine e di presentimenti, il chirurgo lasciò la cabina. Il capitano Vere era impazzito all’improvviso, oppure si trattava di una concitazione passeggera, provocata da una tragedia così strana e straordinaria? Quanto alla corte marziale, gli parve una decisione poco politica, se non peggio. A suo parere, la cosa da fare era tenere in isolamento Billy Budd, come imponevano le consuetudini, e in un caso tanto singolare differire ogni decisione a quando avrebbero raggiunto la flotta e quindi riferirne all’ammiraglio. Ricordò l’inconsueta agitazione di capitan Vere e le sue concitate esclamazioni, così in contrasto con i modi abituali. Era fuori di senno? Ma, anche ammettendo che lo fosse, non sarebbe stato, poi, tanto facile provarlo. Che cosa può allora fare un chirurgo? Non è concepibile situazione più ardua di quella di un ufficiale subordinato a un capitano che egli sospetta non già di essere pazzo, ma non proprio equilibrato mentalmente. Discutere l’ordine sarebbe insolenza. Opporvisi sarebbe ammutinamento.
Obbedendo al capitano Vere, comunicò agli ufficiali e al comandante della fanteria di marina quanto era accaduto, senza accennare allo stato del capitano. Tutti condivisero la sua sorpresa e ansia. Al pari di lui, ritenevano che una faccenda del genere dovesse essere sottoposta all’ammiraglio.
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Chi può tracciare nell’arcobaleno la linea dove finisce il viola e incomincia l’arancione? Noi vediamo distintamente la diversità cromatica, ma dove con precisione uno trascolora nell’altro? Così è per l’equilibrio e lo squilibrio mentale. Nei casi estremi non ci sono dubbi. Ma in alcuni casi presunti, in vari gradi dove la presunzione è meno pronunciata, di segnare una precisa linea di demarcazione pochi si assumerebbero l’onere, sebbene per una degna parcella lo facciano alcuni professionisti esperti. Non esiste cosa che per danaro alcuni uomini non farebbero o intraprenderebbero di fare.
Se il capitano Vere, come riteneva il chirurgo nella sua veste professionale e personale, fosse davvero la vittima di un’improvvisa aberrazione, ciascuno lo decida da sé, alla luce di quanto offerto da questa narrazione.
Che l’infelice avvenimento narrato non potesse accadere in circostanze peggiori è fin troppo vero. Si era verificato infatti all’indomani della repressione delle rivolte, un momento molto critico per l’autorità della marina, che esigeva da ogni comandante inglese due qualità non facilmente compatibili: prudenza e rigore. In questo caso, per di più, c’era qualcosa di cruciale.
Nella ridda delle circostanze antecedenti e successive all’avvenimento a bordo della Bellipotent, e alla luce di quel codice marziale in base al quale l’episodio doveva essere formalmente giudicato, l’innocenza e la colpa, personificate da Claggart e da Budd, in effetti si scambiavano le parti. Da un punto di vista legale, la vittima apparente della tragedia era colui che aveva cercato di colpire un uomo irreprensibile; da un punto di vista navale, l’inconfutabile gesto di quest’ultimo costituiva il più atroce dei crimini militari. E non basta. Quanto più erano chiari nella sostanza il tono e la ragione chiamati in causa nella vicenda, tanto più era grave la responsabilità di un leale comandante, non autorizzato a decidere in merito sulla base di questa distinzione elementare.
Non sorprende dunque che il capitano della Bellipotent sebbene fosse in generale uomo dalle decisioni rapide, ritenesse la circospezione non meno necessaria della prontezza. Finché non fu in grado di decidere in tutti i particolari una linea di azione, non solo, ma finché non fu il momento di dare esecuzione al verdetto finale, ritenne opportuno, alla luce di tutte le circostanze, guardarsi al massimo dalla pubblicità. Su questo forse aveva ragione, forse torto. Certo è, tuttavia, che successivamente nelle chiacchiere confidenziali in più di un quadrato e di una cabina non fu poco criticato da vari ufficiali, fatto questo attribuito dai suoi amici, e con grande calore da suo cugino Jack Denton, a una gelosia professionale nei confronti dello stellato Vere. C’era di che alimentare commenti invidiosi, dando la stura alla fantasia.
La segretezza intorno alla faccenda, il restringerne la conoscenza, per qualche tempo, al posto dove era avvenuto l’omicidio, cioè la cabina del cassero: in questi particolari era insita una certa somiglianza con la politica adottata nelle tragedie di palazzo verificatesi più di una volta nella capitale fondata dal barbarico Pietro.
Il caso invero era tale che volentieri il capitano della Bellipotent avrebbe rimandato ogni iniziativa che non fosse quella di tenere il gabbiere prigioniero in rigoroso isolamento, finché la nave non avesse raggiunto la flotta, per rimetterlo quindi al giudizio dell’ammiraglio.
Ma l’autentico ufficiale di marina è in un particolare simile all’autentico monaco. Con quell’abnegazione con cui quest’ultimo si attiene ai voti dell’obbedienza monastica, il primo osserva i voti della fedeltà al dovere militare.
Nel capitano Vere, consapevole che, se non si fosse agito con tempestività, il gesto del gabbiere, non appena fosse trapelato sui ponti di batteria, avrebbe potuto rinfocolare la fiamma del Nore che ancora covava fra la ciurma, un senso di urgenza travolse ogni altra considerazione. Ma, per quanto fosse un coscienzioso tutore della disciplina, non amava l’autorità per l’autorità. Lungi da lui il cogliere occasioni per monopolizzare nelle proprie mani i pericoli della responsabilità morale, almeno non quelli che a buon diritto poteva deferire a un ufficiale superiore o condividere con gli ufficiali di pari grado e finanche di grado inferiore. Così pensando, fu lieto di non contraddire la consuetudine rimettendo la questione a una corte sommaria formata dai suoi stessi ufficiali, riservando a sé, visto che su di sé ricadeva la responsabilità formale, il diritto di sovrintenderla e, all’occorrenza, di intervenire ufficialmente o non ufficialmente. Fu dunque convocata con procedura sommaria una corte marziale con membri eletti da lui stesso: il primo tenente, il capitano della fanteria di marina, l’ufficiale di rotta.
Nell’associare un capitano della fanteria di marina con il tenente di vascello e l’ufficiale di rotta nel caso relativo a un marinaio, forse il comandante si discostò dalla consuetudine.
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