A prescindere dai motivi, qualsiasi essi siano, che hanno ispirato il maestro d’armi, e senza prendere in considerazione la provocazione che ha fatto scattare il pugno, una corte marziale deve necessariamente, in questo caso, limitarsi alla conseguenza dell’aggressione, la quale conseguenza va giustamente ed esclusivamente considerata come l’atto dell’aggressore.

Queste parole, la cui portata molto probabilmente sfuggì a Billy, lo indussero tuttavia a volgere sull’oratore uno sguardo trepidante e interrogativo, uno sguardo simile, nella sua muta espressività, a quello che volge al padrone un cane di gran razza alla ricerca, in quel volto, della delucidazione di un precedente gesto ambiguo alla propria intelligenza canina. Le parole non furono prive di intenso effetto sui tre ufficiali, soprattutto sul soldato. Parve loro che, nascosto in quel discorso, ci fosse un significato inatteso, che implicava un pregiudizio in chi parlava. Contribuì ad accentuare un turbamento già abbastanza tangibile.

Il soldato riprese la parola con perplessità allusiva, rivolgendosi nello stesso tempo ai suoi colleghi e al capitano Vere:

— Non c’è nessuno, nessuno dell’equipaggio, voglio dire, in grado di gettare un po’ di luce, se possibile, sugli aspetti misteriosi di questa faccenda?

— È espresso in modo meditato, — disse il capitano Vere. — Vedo dove volete andare a parare. Sì, c’è un mistero, ma, per usare una frase della Scrittura, è il “mistero dell’iniquità”, un argomento da sottoporre ai teologi psicologi. Ma che c’entra una corte marziale? Senza aggiungere che nessuna indagine è possibile per il silenzio eterno di... quello... laggiù, — ed indicò di nuovo l’obitorio. — Il gesto del prigioniero... di questo soltanto dobbiamo occuparci.

A queste parole, soprattutto a quelle ribadite alla fine, il soldato, non sapendo rispon­dere in modo adeguato, si astenne tristemente dal dire altro. Il primo ufficiale, che all’inizio si era posto – cosa naturale – a presiedere il processo, ora istruito da un’occhia­ta del capitano Vere, un’occhiata irrefutabile e più efficace delle parole, riprese la sua funzione regolamentatrice. Rivolto al prigioniero, — Budd, — disse in tono incerto, — Budd, se hai altro da dire in tua difesa, parla ora.

A queste parole il marinaio gettò un’altra rapida occhiata al capitano Vere, quindi, quasi cogliesse un suggerimento sul suo volto, un suggerimento di conferma del proprio istinto che in quel momento il silenzio era la cosa migliore, rispose all’ufficiale:

— Ho detto tutto, signore.

Il soldato di marina – lo stesso rimasto di sentinella fuori della porta della cabina, quando vi era entrato il gabbiere seguito dal maestro d’armi – che durante il procedi­mento giudiziario era stato accanto al marinaio, ricevette ora l’ordine di riportarlo nella cabina di poppa, assegnata in origine al prigioniero e alla sua guardia. Come i due sparirono alla vista, i tre ufficiali, quasi si sentissero in parte liberati da un’intima costrizione legata alla semplice presenza di Billy, fremettero tutti insieme sulla sedia. Si scambiarono occhiate dubbiose e sconcertate, rendendosi conto che decidere dovevano e senza troppo indugio. Quanto al capitano Vere, rimase per qualche tempo – inconsapevolmente voltando loro la schiena, all’apparenza in uno dei suoi momenti di assorta lontananza – con lo sguardo fisso fuori del portello a ghigliottina a sopravvento, sulla distesa uniforme del mare al crepuscolo. Ma il prolungato silenzio della corte, rotto a momenti soltanto da brevi scambi a voce bassa e fervida, servì a scuoterlo e a rinvigorirlo. Volgendosi, prese a percorrere avanti e indietro, per traverso, la cabina e, al ritorno, saliva sopravvento il ponte, obliquo per il rollio della nave, simboleggiando così inconsapevolmente un animo risoluto a sormontare difficoltà anche contro i primitivi istinti forti come il vento e il mare. Ben presto si fermò davanti ai tre. Dopo aver scrutato i loro volti, rimase immobile simile non tanto a chi raccoglie i propri pensieri per dar loro voce, quanto a chi riflette su come presentarli a uomini bene intenzionati, ma non maturi intellettualmente, uomini ai quali era necessario dimostrare certi principi che per lui erano dogmi. Tale insofferenza a parlare è forse una delle ragioni che sgomentano certi animi dal rivolgersi a un’assemblea popolare.

Quando prese la parola, qualcosa, nella sostanza di quanto disse e nel modo in cui lo disse, rivelò l’influenza di studi solitari che avevano modificato e temprato la preparazione pratica di una carriera attiva. Questo, insieme alla sua fraseologia, qua e là lasciava trapelare su quali basi si fondasse l’accusa di pedanteria rivoltagli pubblicamente da certi uomini di mare di indole squisitamente pratica, capitani pronti tuttavia ad ammettere con franchezza che la marina di Sua Maestà non poteva contare su ufficiali di pari grado più efficienti dello stellato Vere.

Quello che disse suonava press’a poco così:

— Fino a questo momento sono stato un testimone, poco più; e non penserei ora di assumere un tono diverso, quello del vostro coadiutore per il momento, se non percepissi in voi – e per giunta nel punto critico – un’esitazione sgomenta che deriva, non ne dubito, dal conflitto fra il dovere militare e lo scrupolo morale, scrupolo ravvivato dalla pietà. Quanto alla pietà come non posso condividerla? Ma, memore dei doveri supremi, io lotto contro gli scrupoli che tendono a svigorire il verdetto. Non mi nascondo, signori, che si tratta di un caso eccezionale. Dal punto di vista speculativo meriterebbe di essere deferito a una giuria di casisti. Ma per noi che siamo qui non come casisti o moralisti, è un caso pratico che va trattato in modo pratico in conformità alla legge marziale.

— Ma i vostri scrupoli: brancolano quasi fossero immersi nell’ombra? Sfidateli. Fateli venire alla ribalta a mostrarsi. Su! Ecco forse il loro significato implicito: se, dimentichi delle circostanze attenuanti, noi siamo tenuti a considerare la morte del maestro d’armi come atto del prigioniero, allora tale atto costituisce un delitto capitale per il quale la condanna è la morte. Ma, in base alla giustizia naturale, non c’è altro da considerare se non l’atto esecutivo del prigioniero? Come possiamo condannare a una morte vergognosa e sommaria una creatura innocente davanti a Dio e che noi tale sentiamo? È esposto in modo corretto? Assentite con tristezza. Sì, anch’io lo sento, ne sento tutta la forza.