È la natura. Ma queste stellette che portiamo attestano la nostra lealtà alla natura? No, al Re. Sebbene sia l’oceano l’inviolata natura primigenia, l’elemento nel quale ci muoviamo e viviamo in quanto marinai, tuttavia, in quanto ufficiali del Re, il nostro dovere si attesta in una sfera altrettanto naturale? È così poco vero che, nel ricevere i gradi, noi non siamo più stati, per molti versi fondamentali, liberi agenti naturali. Quando si dichiara guerra, noi, delegati a combatterla, veniamo forse consultati prima? Combattiamo quando ce lo ordinano. Ed è una pura coincidenza se il nostro giudizio approva la guerra. Lo stesso vale in altri campi. Lo stesso vale adesso. Supponiamo che una condanna concluda il presente procedimento. Saremmo noi a condannare, oppure la legge marziale che opera per vostro tramite? Della legge e del suo rigore non siamo noi i responsabili. Il nostro giuramento di responsabilità è questo: per quanto la legge possa operare con inesorabilità in certi casi, noi l’osserviamo e l’applichiamo.

— Ma la natura eccezionale di questo caso vi stringe il cuore in petto. Anche il mio è così stretto. Ma non lasciamo che il cuore caldo tradisca la mente che deve restare fredda. A terra, in un processo penale, il giudice onesto si lascerà abbordare da una tenera parente dell’imputato, che cerchi di commuoverlo con suppliche lacrimevoli? Ebbene, il cuore, talvolta il lato femmineo dell’uomo, è qui come quella donna pietosa e, per quanto sia arduo, è necessario escluderlo.

Tacque studiandoli intensamente per un momento, quindi riprese.

— Ma qualcosa sul vostro volto sembra ribattere che non soltanto il cuore è turbato dentro di voi, ma anche la coscienza, la coscienza individuale di ciascuno. Ma ditemi se, nella nostra posizione, la coscienza individuale non debba cedere a quella imperiale formulata nel codice, in conformità al quale soltanto noi procediamo.

A questo punto i tre uomini si mossero sulla sedia, non tanto convinti quanto agitati dal filo di una argomentazione che accentuava lo spontaneo conflitto interiore.

Percependolo, l’oratore fece una breve pausa, quindi, mutando bruscamente di tono, proseguì.

— Per rimetterci un po’ in rotta, ricorriamo ai fatti. In tempo di guerra, allargo, un marinaio di una nave da guerra colpisce il suo superiore di grado, e il colpo lo uccide. A prescindere dalle conseguenze, il colpo è di per se stesso, in base agli Articoli di Guerra, un delitto che comporta la condanna capitale. Inoltre...

— Sì, signore, — proruppe turbato l’ufficiale della fanteria di marina, — in un certo senso lo è stato. Ma certamente Budd non si proponeva né l’ammutinamento né l’omi­cidio.

— No, di sicuro, mio buon amico. E davanti a una corte meno arbitraria e più misericordiosa di una corte marziale, tale attenuante avrebbe grande rilevanza. Alle Assise Supreme porterà all’assoluzione. Ma qui? Noi procediamo in base alla Legge sull’Ammutinamento. Nessun bambino assomiglia nei lineamenti al genitore più di quanto questa legge assomigli nello spirito a ciò che l’ha originata: la guerra. Al servizio di Sua Maestà – su questa stessa nave – ci sono inglesi costretti contro la loro volontà a combattere per il Re. Contro la loro coscienza, per quanto ne sappiamo. Se come esseri umani alcuni di noi forse rispettano il loro atteggiamento, tuttavia, come ufficiali di marina, la cosa ci riguarda? Ancora meno riguarda il nemico. Volentieri abbatterebbe con lo stesso colpo di falce gli arruolati coatti e quelli volontari. E lo stesso facciamo noi con i coscritti sulle navi nemiche, alcuni dei quali condividono il nostro orrore per il Direttorio francese regicida. La guerra guarda soltanto la facciata, l’apparenza. E la Legge sull’Ammutinamento, figlia della guerra, ha preso dalla madre. L’intenzione o la mancanza di intenzione di Budd è irrilevante.

— Ma mentre non faccio che ripetermi, spinto da queste vostre ansie che non posso non rispettare, mentre prolunghiamo in modo così inconsueto un procedimento che dovrebbe essere sommario, il nemico potrebbe essere avvistato e seguirne uno scontro.