Ma Noemi disse con voce amara, stringendo lentamente i pugni e stendendoli verso Efix:

“Dacché è venuto non ha fatto altro che mancarci di rispetto. Già, è venuto senza dir nulla... Appena arrivato ha fatto relazione con tutta la gente che ci disprezza. Poi s'è messo a far all'amore con la ragazza della peggior razza di Galte. Una che va scalza al fiume! Ed è stato ozioso, e vive nel vizio, tu stesso lo dici. Se questo non è mancare di rispetto a noi, alla casa nostra, che cos'è? Dillo tu, in tua coscienza...”.

“È vero”, ammise Efix. “Ma è un ragazzo, ripeto. Bisognerebbe aiutarlo, cercargli un'occupazione. Poi vorrei dire un'altra cosa...”

“E parla pure!”, disse Noemi, ma con tale disprezzo ch'egli si sentì gelare. Tuttavia osò:

“Io credo che gli gioverebbe aver famiglia propria. Se ama davvero quella ragazza... perché non lasciargliela sposare?...”.

Noemi balzò su, appoggiando le gambe tremanti al sedile.

“Ti ha pagato, per parlare così?”

Allora egli ebbe il coraggio di guardarla negli occhi, e una risposta sola: “io non sono avvezzo a esser pagato” gli riempì la bocca di saliva amara; ma ringhiottì parole e saliva perché vedeva donna Ester tirar la giacca di Noemi, e donna Ruth pallida guardarlo supplichevole, e capiva ch'esse tutte indovinavano la sua risposta, e sapevano che non era un servo da esser pagato lui; o meglio, sì, un servo, ma un servo che nessun compenso al mondo poteva retribuire.

“Donna Noemi! Lei dice cose che non pensa, donna Noemi! Suo nipote non ha denari, per potermi pagare, e quando anche ne avesse non gli basterebbero!”, disse tuttavia, vibrante di rancore, e Noemi tornò a sedersi, posando le mani sulle ginocchia quasi per nascondere il tremito.

“In quanto a denari ne ha! Non suoi, ma ne ha.”

“E chi glieli dà?”

Sei occhi lo fissarono meravigliati: Noemi tornò a sogghignare; ma donna Ester posò una mano sulla mano di lei e parlò con dolcezza.

“Egli prende i denari da Kallina. Noi credevamo che tu lo sapessi, Efix! Prende i denari da Kallina, a usura, e Predu gli ha firmato qualche cambiale perché spera di toglierci il poderetto. Comprendi!”

Egli comprendeva. A testa curva, a occhi chiusi, livido, apriva e chiudeva i pugni spaventato e non gli riusciva di rispondere.

“E loro credevano ch'io sapessi? E come?... e perché?...”, si domandava.

“Sì”, disse Noemi con crudeltà. “Noi credevamo che tu lo sapessi, non solo, ma che gli facessi garanzia presso la tua amica Kallina...”

“La mia amica?”, egli gridò allora aprendo gli occhi spauriti. E vide rosso. Gridò ancora qualche parola, ma senza sapere quel che diceva, e corse via agitando la berretta come andasse a spegnere un incendio.

Si trovò nel cortiletto dell'usuraia.

Tutto era pace là dentro come nell'arca di Noè. Le colombe bianche tubavano, con le zampe di corallo posate sull'architrave della porticina sotto un tralcio di vite che gettava una ghirlanda d'oro sulla sua ombra nera; e in questa cornice l'usuraia filava, coi piccoli piedi nudi entro le scarpette ricamate, il fazzoletto ripiegato sulla testa.

Lo spasimo di Efix turbò la pace del luogo.

“Dimmi subito come va l'affare di don Giacinto.”

L'usuraia sollevò le sopracciglia nude e lo guardò placida.

“Ti manda lui?”

“Mi manda il boia che ti impicchi! Parla, e subito, anche.”

Con un gesto minaccioso le fermò il fuso ed ella ebbe paura ma non lo dimostrò.

“Ti mandano le tue dame, allora? Ebbene, dirai loro che non si prendano pensiero. C'è tempo, a pagare, non ho fretta. In tutto ho dato quattrocento scudi, al ragazzo. Egli cominciò a chiedermi i quattrini quando eravamo alla festa. Voleva far bella figura. Diceva che aspettava denari dal Continente. Mi rilasciò una cambiale firmata da don Predu. Come potevo dire di no? Dopo, ritornò, qui. Mi disse che i denari del Continente li aveva giocati col Milese e li aveva perduti. Io gli dissi che portavo la cambiale da don Predu: allora si spaventò e me ne portò un'altra firmata da donna Ester. Allora gli diedi altri denari.