— A lui l’umile fiamma:
— Ma questa notte tu non c’eri, o dio;
10
e un malatino vide la sua mamma
alla mia luce, fin che tu sei sorto.
Oh! grande sei, ma non ti vede: è morto! —
II
E poi, guizzando appena:
— Chiedeva te! che tosse!
15
voleva te! che pena!
Tu ricordavi al cuore
suo le farfalle rosse
su le ginestre in fiore!
Io stavo lì da parte…
20
gli rammentavo sere
lunghe di veglia e carte
piene di righe nere!
stavo velata e trista,
per fargli il ben non vista. —
Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 40
ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli
Giovanni Pascoli Canti di Castelvecchio
– Canti di Castelvecchio Q
Il ciocco
CANTO PRIMO
Il babbo mise un gran ciocco di quercia
su la brace; i bicchieri avvinò; sparse
il goccino avanzato; e mescé piano
piano, perché non croccolasse, il vino.
5
Ma, presa l’aria, egli mesceva andante.
E ciascuno ebbe in mano il suo bicchiere,
pieno, fuor che i ragazzi; essi, al bicchiere
materno, ognuno ne sentiva un dito.
Fecero muti i vegliatori il saggio,
10
lodando poi, parlando dei vizzati
buoni; ma poi passarono allo strino,
quindi all’annata trista e tribolata.
E le donne ripresero a filare,
con la rócca infilata nel pensiere:
15
tiravano prillavano accoccavano
sfacendo i gruppi a or a or coi denti.
Come quando nell’umida capanna
le magre manze mangiano, e via via,
soffiando nella bassa greppia vuota,
20
alzano il muso, e dalla rastrelliera
tirano fuori una boccata d’erba;
d’erba lupina co’ suoi fiori rossi,
nel maggio indafarito, ma nel verno,
d’arida paglia e tenero guaime;
25
così dalla mannella, ogni momento,
nuova tiglia guidata era nel fuso.
Io dissi: “Brucia la capanna a gente!”
E i vegliatori, col bicchiere in mano,
tutti volsero gli occhi alla finestra,
30
quasi a vedere il lustro della vampa,
ad ascoltare il martellare a fuoco,
ton ton ton, nella notte insonnolita.
Non c’era nella notte altro splendore
Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 41
ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli
Giovanni Pascoli Canti di Castelvecchio
– Canti di Castelvecchio Q
che di lontane costellazioni,
35
e non c’era altro suono di campana,
se non della campana delle nove,
che da Barga ripete al campagnolo:
— Dormi, che ti fa bono! bono! bono! —
Non capparone ardeva per le selve,
40
zeppo di fronde aspre dal tramontano;
non meta di vincigli di castagno,
fatti d’agosto per serbarli al verno;
non metato soletto in cui seccasse
a un fuoco dolce il dolce pan di legno:
45
sopra le cannaiole le castagne
cricchiano, e il rosso fuoco arde nel buio.
Al buio il rio mandava un gorgoglìo,
come s’uno ci fosse a succhiar l’acqua.
Tutto era pace: sotto ogni catasta
50
sornacchiava il suo ghiro rattrappito.
In cima al colle un nero metatello
fumava appena in mezzo alla Grand’Orsa.
Che bruciava?… La quercia, assai vissuta,
fu scalzata da molte opre, e fu svelta
55
e giacque morta. Ma la secca scorza,
all’acqua e al sole rifiorì di muschi;
e un’altra vita brulicò nel legno
che intarmoliva: un popolo infinito
che ben sapeva l’ordine e la legge,
60
v’impresse i solchi di città ben fatte.
E chi faceva nuove case ai nuovi,
e chi per tempo rimettea la roba,
e chi dentro allevava i dolci figli,
e chi portava i cari morti fuori.
65
Quando s’udì l’ingorda sega un giorno
rodere rauca torno torno il tronco;
e il secco colpo rimbombò del mazzo
calato da un ansante ululo d’uomo.
E il tronco sodo ora sputava fuori
Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 42
ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli
Giovanni Pascoli Canti di Castelvecchio
– Canti di Castelvecchio Q
70
la zeppola d’acciaio con uno sprillo,
or la pigliava, e si sentiva allora
crepare il legno frangolo, e stioccare
le stiglie, or dalla gran forza strappate,
ora recise dalla liscia accetta:
75
lucida accetta che alzata a due mani
spaccava i ciocchi e ne facea le schiampe.
Le schiampe alcuno accatastò; poi altri
se le portò nella legnaia opaca.
Del popolo infinito era una gente
80
rimasta in un dei ciocchi. Ebbe l’accetta
molte case distrutte, ebbe d’un colpo
il mazzo molte sue tribù schicciate.
Ma i sorvissuti non sapean già nulla:
ché volgendo i lor mille anni in un anno,
85
chi schivò l’ascia, chi campò dal mazzo,
l’ago sentì, che, dopo un po’ che cuce,
il Tempo, uggito, punta nel lavoro,
e se ne va. Nessuno ora sapeva
che il mondo loro fu congiunto al tutto
90
della gran quercia sotto un cielo azzurro.
Sapeva ognuno che non c’era altr’aria
che quell’odor di mucido, altro suono
che il grave gracilar delle galline
e il sottile stridìo dei pipistrelli:
95
dei pipistrelli che pendeano a pigne
dai cantoni, nel giorno, quando il sole
facea passare i fili suoi tra i licci
d’una tela che ordiva un vecchio ragno.
1 comment