Un grande esercito
al comando di Marcio e Aufidio uniti,
imperversa sui nostri territori,
travolgendo, incendiando, distruggendo
tutto quello che incontra avanti a sé.
Entra COMINIO
COMINIO - (Ai due tribuni)
Che bel capolavoro avete fatto!
MENENIO - Perché, che sai, che sai?
COMINIO - (Come sopra)
Non potevate meglio dare mano
a farvi violentar le vostre figlie,
a far piovere sulle vostre zucche
il piombo fuso dai tetti di Roma,
a vedervi stuprare sotto gli occhi
le vostre mogli...
MENENIO - Perché? Che succede?
COMINIO - ... a vedervi bruciare, incenerire
i vostri templi, e vedervi ridotte
sì sottili le vostre guarentigie
e poteri, cui tenevate tanto,
da entrar nel forellino d’un succhiello!
MENENIO - Insomma, che notizie sai? Ti prego!
(Ai due Tribuni)
Avete fatto, ho paura, voi due
un bel capolavoro...
(A Cominio)
Di’, ti prego.
Che nuove porti? Se davvero Marcio
s’è unito ai Volsci...
COMINIO - Se? È il loro dio!
Li guida come fosse un’entità
non generata da madre Natura,
da deità diversa, e più capace
della Natura stessa a fare un uomo;
e quelli là lo seguono
contro di noi, mocciosi bamboccioni,
con la stessa svagata sicurezza
di ragazzi che inseguono farfalle
sotto il sole d’estate, o di beccai
che si trovino a macellare mosche.
MENENIO - (Ai tribuni)
Che bel lavoro avete combinato,
voi ed i vostri grembiulati amici(174)!
Voi, che tanto eravate infatuati
del voto della vostra mestieranza
e del fiato dei mangiatori d’aglio!
COMINIO - Ve la farà crollare sulla testa,
la vostra Roma!
MENENIO - Come quando Ercole,
scrollò le mele mature dall’albero!(175).
Avete fatto proprio un bel lavoro!
BRUTO - Insomma, è proprio vero?
COMINIO - Tanto vero,
che prima di scoprire che non l’è,
dovrete divenir pallidi morti(176).
Tutte le genti gli aprono le porte
sorridendo, ed i pochi che resistono,
derisi per il lor vano eroismo,
periscono da stolidi lealisti.
Chi può muovergli biasimo, del resto?
Anche i nemici, i vostri come i suoi,
riconoscono che c’è in lui qualcosa.
MENENIO - Siete tutti spacciati,
se quel nobile non avrà pietà.
COMINIO - Pietà! Chi dovrà chiederla? I Tribuni?
Almeno per pudore, quelli no!
Il popolo? Ma il popolo da lui
merita tanta pietà quanto il lupo
dai pastori. Chi altro? I suoi seguaci?
Ma se costoro gli andassero a dire:
“Sii pietoso con Roma”,
la lor preghiera avrebbe l’accoglienza
di quella di chi merita il suo odio,
e cioè di chi fosse suo nemico.
MENENIO - È vero. S’anche m’appiccasse fuoco
alla casa e me l’incendiasse tutta,
io non avrei la faccia di gridargli:
“Fermati, ti scongiuro!”.
Avete fatto proprio un bel lavoro,
voi due, con tutto il vostro artigianume!
COMINIO - Per colpa vostra Roma sta tremando,
come non ha mai fatto nel passato.
I DUE TRIBUNI - Non direte che questo è colpa nostra.
MENENIO - Ah, no? Sarebbe dunque colpa nostra?
Marcio noi l’amavamo,
ma da nobili bestie, quanto vili,
abbiam ceduto alla vostra ciurmaglia
che urlando l’ha cacciato via da Roma.
COMINIO - Ho paura però che questa volta
dovranno urlando chiedergli pietà.
Tullo Aufidio, il cui nome di soldato
è secondo nel mondo, gli obbedisce
come un qualunque suo subordinato.
Ormai tutta la tattica di guerra
tutta la forza, tutte le difese
che Roma potrà opporre a questi due
sarà solo la sua disperazione.
Entra un gruppo di POPOLANI
MENENIO - Arriva il branco... E Aufidio è insieme a lui?
(Ai popolani)
Voi siete quelli che gli avete reso
irrespirabile l’aria di Roma,
quando gettaste in aria
quelle coppole vostre unte e fetenti
per acclamare la sua messa al bando!
Adesso egli ritorna,
e non c’è pelo in testa a un suo soldato
che non si farà sferza per voi tutti:
farà cadere a terra tante zucche
quanti berretti voi gettaste in aria,
e vi salderà il conto
dei voti che gli avete ritrattato.
E se poi ci mandasse tutti a fuoco,
fino a ridurci un unico tizzone,
tanto peggio! L’avremo meritato!
I POPOLANI - Certo, udiamo terribili notizie.
PRIMO POPOLANO - Per parte mia, quando gridai: “Al bando!”
aggiunsi pure che mi dispiaceva...
SECONDO POPOL. - E così io.
TERZO POPOLANO - E io no?... In coscienza,
fece così la gran parte di noi.
Quel che abbiam fatto è stato a fin di bene;
e se pur assentimmo volentieri
a bandirlo, fu certo controvoglia.
COMINIO - Bravissimi, voi tutti e i vostri voti!
MENENIO - Avete combinato un bel lavoro,
voi e i vostri schiamazzi!
(A Cominio)
Che facciamo, saliamo al Campidoglio?
COMINIO - Mi pare non ci sia altro da fare.
(Escono Cominio e Menenio)
SICINIO - (Alla folla)
A casa, amici; ma non vi allarmate.
Quelli là(177) appartengono a una parte
cui farebbe davvero gran piacere
se dovesse avverarsi
quello che fanno finta di temere.
A casa, e che nessuno dia a vedere
d’aver paura.
PRIMO POPOLANO - Gli dèi ci proteggano!
Compagni, a casa!... Io l’ho sempre detto
che facevamo male ad esiliarlo.
SECONDO POPOL. - Tutti l’abbiamo detto, s’è per questo!
Andiamo, andiamo a casa!
(Escono i popolani)
BRUTO - Brutte notizie. Proprio non mi piacciono.
SICINIO - Nemmeno a me. Darei metà del mio,
se servisse a saper che sono false.
BRUTO - Saliamo al Campidoglio.
SICINIO - Prego, andiamo.
(Escono)
SCENA VII - Il campo dei Volsci presso Roma
Entrano AUFIDIO e il suo LUOGOTENENTE
AUFIDIO - Passano ancora molti col Romano(178)?
LUOGOTENENTE - Non so quale magia egli abbia addosso
ma i tuoi soldati l’hanno sempre in bocca
manco fosse il “Signore benedicite”
prima dei pasti, il lor discorso a tavola
e il lor ringraziamento a fine pasto(179);
e tu sei messo in ombra, generale,
anche dai tuoi, in questa spedizione.
AUFIDIO - Per il momento non ci posso nulla,
a men di far ricorso a tali mezzi
che finirebbero con l’azzoppare
i nostri stessi piani.
Anche con me si mostra assai più altero
di quanto avessi mai immaginato,
il giorno che lo accolsi a braccia aperte.
Ma è sua natura, in ciò non si smentisce
e io debbo per forza perdonare
ciò che non è possibile correggere.
LUOGOTENENTE - Avrei desiderato tuttavia
- nel tuo stesso interesse, intendo dire -
che non lo avessi associato al comando,
ma che avessi da solo preso in mano
la suprema condotta dell’impresa;
o l’avessi lasciata solo a lui.
AUFIDIO - Intendo quel che dici, ma sta’ certo,
quando verrà che dovrà render conto,
non sa quel che saprò tirare in ballo
contro di lui. Sebbene in apparenza,
come egli stesso crede - e come appare
non meno bene agli occhi della gente -
ei compia tutto in piena lealtà
e dimostri d’avere buona cura
degli interessi dello Stato volsco,
che si batta per esso come un drago
e che tutto riesca ad ottenere
col solo sguainar della sua spada,
c’è una cosa però che ha trascurato,
e sarà tale da spezzargli il collo,
o a mettere il mio a pari rischio,
quando verremo alla resa dei conti.
LUOGOTENENTE - Che pensi, generale,
sarà capace di prendere Roma?
AUFIDIO - Ogni località s’arrende a lui,
prima ch’egli s’appresti ad assediarla;
la nobiltà di Roma è tutta sua:
senatori, patrizi fanno a gara
a chi più l’ama. I tribuni del popolo
non son uomini d’arme, e il loro popolo
sarà altrettanto pronto a richiamarlo
quanto lo è stato a decretarne il bando.
Penso ch’ei sia per Roma e pei Romani
quel ch’è la procellaria per il pesce,
che lo divora per suprema legge
della natura. D’essi è stato prima
nobile servitore, ma incapace
in seguito di mantener le cariche
con tutto l’equilibrio necessario.
Sia stato orgoglio - che, con il successo,
sempre contagia l’uomo che lo coglie -
sia stata assenza di discernimento
nel lasciarsi sfuggire le occasioni
che pure aveva saldamente in pugno;
sia stata pure la sua stessa indole
che lo rende istintivamente inabile
a mostrarsi diverso da se stesso
quando passa dall’elmo del guerriero
al cuscino del seggio consolare,
e a concepire che non è possibile
governare la pace
col piglio e la durezza usati in guerra,
sta che uno solo di questi difetti
- ché in lui di tutti quanti c’è sentore,
seppur nessuno ne possieda al massimo,
ciò che finora me l’ha fatto assolvere -
l’ha reso un uomo da tutti temuto,
e così odiato, e così messo al bando.
Ha certamente un merito
che annulla ogni difetto al solo dirlo(180).
Ma le virtù degli uomini, si sa,
soggiacciono alla stima del momento;
e il potere, in se stesso pregiatissimo,
non ha tomba più certa che lo scanno
su cui siede a esaltare ciò che ha fatto.
Così il fuoco divora un altro fuoco,
e un chiodo scaccia l’altro; così cade
un diritto per forza d’un diritto,
la forza per la forza d’altra forza.
Ma muoviamoci adesso... Caio Marcio,
quando tua sarà Roma,
tu sarai il più povero di tutti,
ed allora sarai subito mio!
(Escono)
ATTO QUINTO
SCENA I - Roma, una piazza
Entrano MENENIO, COMINIO, SICINIO, BRUTO e altri
MENENIO - No, non ci vado. Avete tutti udito
come ha parlato a colui che fu un tempo
suo comandante e ch’era a lui legato
dal più tenero affetto.
Mi chiamava suo padre. E che con ciò?
Andate voi, che l’avete bandito,
e prima d’arrivare alla sua tenda(181),
un miglio prima cadete in ginocchio
e implorate la sua misericordia.
No, se s’è dimostrato indifferente
a sentire Cominio, io resto a casa.
COMINIO - Era come se non mi conoscesse...
MENENIO - Ecco, sentite?...
COMINIO - Eppure nel passato
mi chiamò sempre per nome: Cominio.
Gli ho richiamato la vecchia amicizia
ed il sangue che abbiam versato insieme;
ma a chiamarlo col nome “Coriolano”
non rispondeva, e lo stesso con gli altri;
come se fosse un nulla, un senza nome,
fin quando non si fosse da se stesso
forgiato un altro nome, un nome nuovo,
nel braciere di Roma messa a fuoco.
MENENIO - Addirittura!
(Ai Tribuni)
Ecco, ora vedete,
che bel lavoro avete combinato?
Una bella pariglia di tribuni
che han fatto il necessario perché a Roma
ci fosse del carbone a buon mercato.
Che nobile epitaffio(182)!
COMINIO - Non ho mancato poi di ricordargli
come regale sia il perdonare
specie se meno atteso. M’ha risposto.
ch’era quella richiesta senza senso
da parte di uno Stato a una persona
ch’esso stesso aveva castigato.
MENENIO - Benissimo! Poteva dir di meno?
COMINIO - Ho cercato di risvegliare in lui
l’attaccamento agli amici più cari:
m’ha risposto che non poteva certo
star lì a sceverarli uno per uno
in un mucchio di pula infetta e putrida;
e che sarebbe stato da imbecilli,
per salvar qualche chicco di frumento
in quel putrido ammasso,
astenersi dall’appiccarvi il fuoco
e seguitare ad annusarne il lezzo.
MENENIO - “Per qualche chicco di frumento”, ha detto?
Uno son io di quelli,
e sua madre, e sua moglie, e il suo figliolo,
ed anche questo valoroso amico,
(Indica Cominio)
siam tutti i granellini ch’egli dice...
(Ai Tribuni)
... ma voi siete la lolla imputridita,
che spande il suo fetore oltre la luna.
E noi, per causa vostra,
sarem forzati a farci abbrustolire!
SICINIO - Evvia, ti prego, non t’imbestialire!
Se ti rifiuti di prestarci aiuto,
ora ch’esso ci occorre come mai,
non rinfacciarci almeno la disgrazia!
Certo, però, se tu fossi disposto
ad intercedere presso di lui
pel tuo paese, l’abile tua lingua
sarebbe ben capace di fermarlo
il nostro, come non potrebbe fare
qualunque esercito che gli opponessimo.
MENENIO - No, non voglio immischiarmi.
SICINIO - Ti prego, va’ da lui.
MENENIO - A far che cosa?
SICINIO - Soltanto un tentativo,
quale può fare a favore di Roma
il tuo legame d’affetto con Marcio.
MENENIO - Beh, mettiamo che mi rimandi indietro,
senza ascoltarmi, come pure ha fatto
con Cominio... Che cosa ne verrebbe?
Nient’altro che un amico disilluso,
ferito dalla sua indifferenza.
Non ti pare?
SICINIO - Quand’anche così fosse,
la tua prova di buona volontà
non potrà non ricevere da Roma
la gratitudine commisurata
alla buona intenzione dimostrata.
MENENIO - Bah, mi ci proverò.
Chissà che non si degni d’ascoltarmi;
sebbene quel suo mordersi le labbra,
quell’inarticolato bofonchiare
che ci ha detto Cominio, non son cose
che m’incoraggino un gran che a tentare...
Ma forse non fu colto il buon momento:
non aveva pranzato,
e il sangue è ancora freddo nelle vene
quando queste non son ben riempite,
al mattino, imbronciati come siamo,
siamo sempre, si sa, poco disposti
a dare o a perdonare; quando, invece,
abbiamo riempito in abbondanza
con vino e cibo queste condutture
in cui si canalizza il nostro sangue
abbiamo l’animo più disponibile
che non nei nostri digiuni da preti.
Perciò starò lì attento ad aspettare
che sia sazio e disposto ad ascoltarmi,
e allora cercherò di avvicinarlo.
BRUTO - Tu conosci qual è la strada giusta
per giungere alla sua arrendevolezza,
e non ti puoi smarrire.
MENENIO - Per mia buona coscienza, io ci provo;
poi vada come vuole.
Non ci sarà poi tanto da aspettare
per constatare se sarò riuscito.
(Esce)
COMINIO - Non sarà mai che voglia dargli ascolto.
SICINIO - No?
COMINIO - Ve l’ho detto: se ne sta seduto
in un seggio dorato(183), l’occhio rosso
quasi a volere, col solo suo sguardo,
incenerire Roma; e la sua offesa(184)
è il carceriere della sua pietà.
Gli son caduto davanti in ginocchio,
e lui m’ha detto appena, in un sussurro:
“Rialzati”, e d’un gesto della mano
in silenzio, così, m’ha congedato.
M’ha fatto poi sapere per iscritto
quel ch’è disposto a fare e quel che no:
impegnato com’è da un giuramento
ad osservare certe condizioni.
È così; non c’è nulla da sperare,
salvoché, come ho udito,
la sua nobile madre e la sua sposa
non vadano esse stesse
a implorargli mercé per la sua patria.
Perciò muoviamoci, andiamo a pregarle
di recarsi da lui quanto più presto.
(Escono)
SCENA II - Il campo volsco, davanti a Roma
Entra MENENIO, e avanza verso due SENTINELLE
1a SENTINELLA - Alto là! Dove vai?
2a SENTINELLA - Fermati! Indietro!
MENENIO - Voi fate buona guardia, e fate bene.
Ma, con vostra licenza, io sono qui
in veste di ufficiale dello Stato,
e vengo per parlare a Coriolano.
1a SENTINELLA - E da dove?
MENENIO - Da Roma.
1a SENTINELLA - Non si passa!
Devi tornare indietro: il generale
da lì non vuol ricevere nessuno.
2a SENTINELLA - Potrai vedere la tua Roma in fiamme
prima di colloquiar con Coriolano.
MENENIO - Miei buoni amici, se vi sia occorso
d’udir parlare il vostro generale
di Roma e degli amici ch’egli ha là,
c’è da scommetter mille contro uno
che il nome mio vi sia giunto all’orecchio:
è Menenio.
1a SENTINELLA - Può darsi, ma va’ indietro,
perché il tuo nome qua non conta niente.
MENENIO - Ti dico, amico, ascolta, ch’io son uno
al quale il generale tuo vuol bene,
uno che è stato, vedi, in qualche modo
il libro delle sue famose imprese,
e dove gli uomini han potuto leggere
le sue gesta. magari un po’ gonfiate,
per via che degli amici (e lui è il primo)
ho cercato di dire sempre bene
ed in tutta l’ampiezza consentita
da verità, senza toglierci un ette.
Talvolta posso aver passato il segno,
come accade a una boccia,
tirata sopra un fondo diseguale;
e nel far le sue lodi m’è accaduto
quasi di fabbricar moneta falsa...
Pertanto, amico, credo d’aver titolo
e che tu debba lasciarmi passare.
1a SENTINELLA - Senti, amico, se pure avessi detto
in favore di lui tante bugie
per quante chiacchiere hai speso per te,
di qui non passi; manco se fregare(185)
fosse virtù come vivere casti.
Perciò indietro.
MENENIO - Ma per favore, amico,
ricordati che il mio nome è Menenio,
e sono sempre stato partigiano
del partito del vostro generale.
2a SENTINELLA - Tu potrai essere, come tu dici,
il suo bugiardo, quanto ti fa comodo,
io son uno che sta sotto di lui
e non dico bugie,
perciò ti debbo dire che non passi.
Avanti, sgombra!
MENENIO - Puoi dirmi soltanto
se ha già pranzato? Non vorrei parlargli
prima ch’abbia mangiato.
1a SENTINELLA - Sei romano?
MENENIO - Romano, come il vostro generale.
1a SENTINELLA - Allora tu dovresti odiare Roma
né più né meno quanto l’odia lui.
Come fate a pensare
che dopo aver cacciato dalle porte
colui che era il loro difensore
e dopo aver regalato al nemico
il vostro scudo, possiate sperare
ora di fronteggiar la sua vendetta
con i facili piagnistei di vecchie
o in virtù delle virginali palme
giunte in preghiera delle vostre figlie,
o per l’intercessione paralitica
d’un vecchio rimbambito come te?
Come puoi credere di poter spegnere
con un debole fiato come il tuo
le fiamme in cui fra poco dovrà ardere
la tua città? Ti fai illusioni, vecchio,
e perciò fila, tornatene a Roma,
e prepàrati per l’esecuzione.
Perché là siete tutti condannati;
il generale non v’accorderà,
l’ha giurato, né tregua né perdono.
MENENIO - Stammi a sentire, amico: se il tuo capo
fosse informato ch’io mi trovo qui,
mi tratterebbe con ogni riguardo.
1a SENTINELLA - Il mio capo? Nemmeno sa chi sei.
MENENIO - Volevo intendere il tuo generale.
1a SENTINELLA - Che vuoi che gliene importi, al generale,
di uno come te! Va’ indietro, via,
se non vuoi che ti faccia spillar fuori
quel bicchiere di sangue che ti resta.
Sloggiare, via, sloggiare! Via di qua!
MENENIO - Eh, ma... amico, un momento(186)!
Entra CORIOLANO con AUFIDIO
CORIOLANO - Che succede?
MENENIO - (Alla sentinella)
Oh, adesso, amico, te lo faccio io
un bel rapporto col tuo superiore(187)!
Così saprai se m’ha riguardo o no.
Vedrai se un bischero di sentinella
si può permettere di trattenermi
dall’incontrarmi col mio Coriolano.
Già dal modo con cui mi tratterà
potrai immaginare se per te
c’è già pronta la forca o altra sorta
di più lungo supplizio. Sta’ a guardare
e poi svieni, per quello che t’aspetta!
(A Coriolano)
Gli dèi gloriosi seggano in consesso
ora per ora a conservarti prospero
e non t’abbiano essi meno caro
del tuo vecchio Menenio. Figlio mio
tu ci stai preparando fuoco e fiamme.
Guarda: ecco qui l’acqua per estinguerle.
A stento hanno cercato di convincermi
a venir qui da te; ma quando io stesso
alla fine mi sono persuaso
che nessun altro all’infuori di me
potesse fare tanto da commuoverti,
coi lor sospiri sono stato spinto
fuor dalle porte della tua città
ad implorarti il perdono per Roma
e pei supplici tuoi compatrioti.
Gli dèi benigni plachino il tuo sdegno
e ne faccian cader l’ultima feccia
sulla testa di questo manigoldo
(Indica la 2a Sentinella)
che s’è impuntato, duro come un ciocco,
a sbarrarmi l’accesso a te...
CORIOLANO - Va’ via!
MENENIO - Come! Che dici?
CORIOLANO - Moglie, madre, figlio,
non li conosco.
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