Nel suo possente braccio sta di stanza
il tenebroso spirito, la Morte.
Esso avanza con lui, con lui colpisce,
e gli uomini periscono(86).
Fanfara. Entrano, in pompa, COMINIO e TITO LARZIO, in mezzo a loro CORIOLANO cinto il capo di foglie di quercia, indi ufficiali, soldati e un ARALDO
ARALDO - Sappia Roma che Marcio ha combattuto,
lui solo, tra le mura di Corioli,
dove s’è guadagnato, con la gloria,
un nome: Coriolano, che va aggiunto,
quale segno d’onore, d’ora in poi,
a quello suo. Sii benvenuto a Roma,
illustre Caio Marcio Coriolano!
TUTTI - Benvenuto, illustre Coriolano!
CORIOLANO - Basta! M’offende l’anima. Vi prego!
COMINIO - Guarda, Marcio, tua madre.
CORIOLANO - Oh, tu, lo so,
hai pregato gli dèi pel mio successo.
(S’inginocchia)
VOLUMNIA - No, mio bravo soldato, alzati, su!
Marcio mio nobile, mio degno Caio...
ora che t’hanno dato un soprannome
in onore delle tue grandi gesta,
come debbo chiamarti... Coriolano?
Mah, oh!, ecco tua moglie!
CORIOLANO - (A Virginia)
Mio grazioso silenzio(87), ti saluto!
Piangi a vedermi tornar vittorioso,
perché? Avresti atteso, per sorridere,
ch’io ti fossi tornato in una bara?
Occhi, mia cara, come questi tuoi
hanno a Corioli le madri e le vedove
rimaste senza i lor figli e mariti.
MENENIO - E ora t’incoronino gli dèi!
CORIOLANO - Anche tu qui, Menenio(88)?
(A Valeria)
Oh, mia gentile signora, perdonami(89).
VOLUMNIA - Non so dove voltarmi...
(A Cominio)
Generale,
ben tornato anche a te... ed a voi tutti!
MENENIO - Bentornati, sì, centomila volte!
Mi vien da piangere, mi vien da ridere,
son triste e allegro insieme.
(A Coriolano)
Bentornato!
Un cancro(90) morda il cuore alla radice
a chi non è contento di vederti!
Siete tre uomini che tutta Roma
dovrebbe amare; e invece, guarda un po’(91),
abbiamo in casa dei meli selvatici
che non si vogliono far innestare
al vostro gusto. Ma, a loro dispetto,
bentornati guerrieri! Noi l’ortica
chiamiamo ortica, e chiamiamo sciocchezza
l’errore degli sciocchi.
COMINIO - Sempre giusto, Menenio.
CORIOLANO - Sempre, sempre.
ARALDO - (Alla folla)
Largo, largo!
CORIOLANO - (A Volumnia e Virginia, prendendole per mano)
La tua mano, e la tua.
Prima di ritirarmi in casa nostra(92),
debbo rendere omaggio ai senatori(93)
dai quali insieme col loro saluto
ho ricevuto anche nuovi onori.
VOLUMNIA - Sarò vissuta fino a veder oggi
realizzati i desideri miei
ed avverate le mie fantasie.
Manca solo una cosa,
ma non dubito che la nostra Roma
te la concederà.
CORIOLANO - Ricordati, però, mia buona madre,
che tuo figlio preferirà comunque
d’essere loro servo a modo suo,
piuttosto che padrone a modo loro.
COMINIO - Avanti, al Campidoglio!
(Trombe. Escono tutti in corteo, meno BRUTO e SICINIO)
BRUTO - Tutte le lingue parlano di lui,
ed anche quelli che han la vista debole
si procurano occhiali per vederlo(94).
La balia, per pettegolar di lui,
lascia il proprio marmocchio a urlare e piangere
fino a venirgli il convulso; la sguattera
s’appunta attorno al suo bisunto collo
la stola più vistosa(95) e per vederlo
s’arrampica sul muro per guardarlo;
gremiti stalli, banchine, finestre;
su i tetti, a cavalcioni sui comignoli
gente d’ogni colore e d’ogni risma,
tutti presi dall’ansia di vederlo.
Persino i flàmini(96) (che raramente
è dato di vedere per la via)
si pigiano affannati tra la calca
per conquistarsi un posto in mezzo a loro.
Le matrone le delicate guance
solitamente protette da un velo,
sulle quali con sfida civettuola
lottano il bianco e il rosa damaschino(97),
espongon oggi al lascivo saccheggio
degli infuocati baci del Dio Sole(98):
un’atmosfera così surreale,
da far pensar che un dio,
per guidarlo, si sia insinuato
furtivo nelle sue facoltà umane,
e gli abbia dato una forma divina.
SICINIO - Io, per me, già lo vedo fatto console.
BRUTO - Allora sì che il nostro tribunato
potrà dormire i suoi sonni beati
per tutto il suo mandato!
SICINIO - Non è uomo
capace di tenersi in quella carica
fino al termine. Finirà col perderla.
BRUTO - Ciò mi conforta.
SICINIO - Puoi restarne certo.
Il popolo, che noi rappresentiamo,
non fosse che per antico rancore,
si scorderà, alla minima occasione,
di queste nuove sue benemerenze;
e l’occasione l’offrirà lui stesso,
cosa ch’io tengo altrettanto per certa
come la sua superbia nell’offrirglielo.
BRUTO - L’ho sentito giurare
che se dovesse candidarsi a console,
mai lo farebbe scendendo nel Foro,
e nemmeno umiliandosi a indossare
la lisa tunica dell’umiltà,
né mostrando le sue ferite al popolo
per mendicarne i puzzolenti voti(99).
SICINIO - Bene.
BRUTO - Son sue parole.
Oh, lui piuttosto vi rinuncerebbe
se lo dovesse chiedere altrimenti
che per espressa richiesta dei nobili
e per unanime loro volere.
SICINIO - Per me, io non desidero di meglio:
si tenga fermo in un tale proposito,
e agisca in conseguenza.
BRUTO – È assai probabile che lo farà.
SICINIO - E sarà allora, come ci auguriamo,
per lui andare a sicura rovina.
BRUTO - Così dev’essere; se no, per noi
sarà la fine del nostro potere.
Perciò sta a noi di ricordare al popolo
l’odio ch’egli nutrì sempre per loro;
spiegar a tutti che, fosse per lui,
avrebbe fatto di ciascun di loro
bestia da soma, ridotto al silenzio
i loro difensori; conculcate
le loro libertà: perché li stima,
quanto alla lor capacità di fare,
inferiori per facoltà d’intendere
ed attitudine di stare al mondo,
ai dromedari usati per la guerra,
a cui si somministrano foraggi
sol perché possano portare il carico,
salvo ad ucciderli a bastonate
quando sotto quel carico stramazzano.
SICINIO - Sì, appunto, questo, come tu lo dici
va ricordato al momento opportuno,
quando la tracotante sua burbanza
toccherà il colmo sì da urtare il popolo
(e l’occasione non potrà mancare
se saremo noi stessi a trascinarvelo,
cosa altrettanto facile
quanto aizzar dei cani contro un gregge);
e sarà questa l’esca che d’un colpo
accenderà le loro vecchie stoppie;
e la loro fiammata
l’oscurerà per sempre.
Entra un MESSAGGERO
BRUTO - (Al Messaggero)
Che c’è adesso?
MESSAGGERO - Vengo a dirvi di andare in Campidoglio.
Sembra che Marcio sarà fatto console.
Ho visto fare ressa, per vederlo,
pure i muti, ed i ciechi per udirlo;
le matrone gettargli i loro guanti
mentre passava, e donne e giovinette
le loro sciarpe, i loro fazzoletti;
i nobili inchinarsi avanti a lui
come davanti alla statua di Giove,
e il popol tutto fare pioggia e tuono
coi lor berretti in aria e i loro strilli...
Cose mai viste!
BRUTO - Andiamo in Campidoglio.
Occhi e orecchi attenti,
e cuore pronto a tutto.
SICINIO - Eccomi, andiamo.
(Escono)
SCENA II - Roma, il Campidoglio
Due USCIERI stanno disponendo i cuscini sui seggi dei senatori
PRIMO USCIERE - Su, su, sbrighiamoci. Son qui che arrivano.
Quanti sono a concorrere per console?
SECONDO USC. - Dicono tre, ma tutti son convinti
che ad ottenerlo sarà Coriolano.
PRIMO USCIERE - Un tipo valoroso, ma superbo
come nessuno; e poi non ama il popolo.
SECONDO USC. - Oh, quanto a questo se ne son ben visti
uomini illustri che te l’han lisciato,
e mai gli sono entrati in simpatia;
così come altri ch’esso ha benvoluto
senza saper perché.
II popolo è così: vuol bene o male
a questo o a quello senza una ragione.
Perciò, dunque, riguardo a Coriolano,
il fatto ch’egli non tenga alcun conto
s’essi l’abbiano in odio o in simpatia
prova solo che li conosce bene,
e glielo lascia intendere ben chiaro
con la sua signorile indifferenza.
PRIMO USCIERE - Mah! Se davvero non gliene importasse
ch’essi l’abbiano o no in lor favore,
dovrebbe mantenersi in equilibrio,
senza far loro né bene né male;
invece va cercando il loro odio
più che non faccian essi a ricambiarglielo,
e non trascura nessuna occasione
perch’essi possano scoprire in lui
apertamente il loro gran nemico.
SECONDO USC. - Ha bene meritato della patria,
e va detto altresì che la sua ascesa
non è stata per facili gradini
come quella di chi, facendo mostra
di sorrisi e premure per il popolo,
è riverito a inchini e scappellate
dallo stesso, senza aver fatto nulla
per meritarsene stima e rispetto.
Ma lui è riuscito così bene
a imprimere nei lor occhi i suoi meriti
e in tutti i loro cuori le sue gesta,
che s’essi non volessero parlarne
e rifiutassero di riconoscerli,
si renderebbero certo colpevoli
di una forma di nera ingratitudine.
Così come il parlar male di lui
sarebbe veramente una malizia
destinata a smentirsi da se stessa,
perché chiunque si trovasse a udirla,
la smentirebbe subito, con sdegno.
PRIMO USCIERE - Insomma, è un uomo di tutto rispetto.
Basta, facciamo luogo. Ecco che arrivano.
Preceduti da squilli di tromba e da littori entrano i SENATORI, i TRIBUNI DELLA PLEBE, poi CORIOLANO, MENENIO, COMINIO. Siedono tutti sui loro scanni, i senatori da una parte, i tribuni dall’altra. Coriolano resta in piedi
MENENIO - Dunque, poiché dei Volsci s’è deciso,
ed altresì di richiamare in patria
Tito Larzio, non resta che decidere
in questa nostra coda di seduta
come ed in che misura compensare
i servigi di chi sì nobilmente
ha combattuto per la propria patria.
Perciò vi piaccia chiedere,
reverendissimi e saggi maggiori(100),
a colui che ha la carica di console
ed è stato alla testa dell’esercito
in questa nostra fortunata impresa,
di farci una succinta esposizione
dell’encomiabile comportamento
di Caio Marcio Coriolano; al quale
siamo qui riuniti per dar merito
e decretare, in riconoscimento,
onori che a tal merito sian pari.
(Coriolano si siede)
PRIMO SENATORE - Bene, a te la parola, buon Cominio.
Non omettere alcun particolare
per il timore d’apparir prolisso;
dicci anzi cose da farci pensare
che sia piuttosto la nostra repubblica
a mancare dei mezzi convenienti
a sdebitarsi, che l’animo nostro
a voler ch’essi sian quanto più alti.
(Ai tribuni)
A voi, capi del popolo,
chiediamo di prestar cortese orecchio,
e di voler, dopo aver ascoltato,
usar la vostra influenza col popolo,
per ottenere ch’esso sia concorde
con quanto sarà qui deliberato.
SICINIO - Siamo qui convocati
per discutere sopra una materia
che trova tutto il nostro gradimento(101);
e siam di tutto cuore favorevoli
ad onorare e innalzare l’uomo
ch’è l’argomento di questa assemblea.
BRUTO - E tanto più favorevoli a farlo
saremo, s’egli si ricorderà
di nutrir per il popolo una stima
un poco più benevola
di quella che ha finora dimostrato.
MENENIO - Questo non c’entra! Non ci azzecca niente!
Avresti fatto meglio a stare zitto!
Volete compiacervi, sì o no,
di ascoltare Cominio?
BRUTO - Volentieri.
Ma il mio avvertimento di poc’anzi
era più pertinente all’argomento
di quanto non sia ora il tuo rabbuffo!
MENENIO - Coriolano vuol bene al vostro popolo;
Ma non puoi obbligarlo fino al punto
di diventar suo compagno di letto.
Parla, degno Cominio, ti ascoltiamo(102).
(Coriolano, a questo punto, s’alza e fa per lasciar la sala)
Ehi, che fai?... Fermo là. Resta al tuo posto!
PRIMO SENATORE - Sì, siedi, Coriolano.
Non dev’esser motivo di vergogna
per te ascoltare tutto ciò ch’hai fatto
di nobile.
CORIOLANO - Le vostre signorie
mi scuseranno, ma preferirei
vedermi riaperte e doloranti
le ferite, che stare ad ascoltare
come le ho ricevute...
BRUTO - Non siano state le parole mie,
voglio sperare, a farti alzar dal seggio.
CORIOLANO - No, se pur siano state le parole
spesso a farmi scappare anche da luoghi
da cui nemmeno dure sciabolate
sarebbero riuscite a trattenermi.
Tu non m’hai adulato, tuttavia,
e le parole tue non m’han ferito.
Quanto però al tuo popolo,
gli voglio bene per quel ch’esso vale...
MENENIO - Ti prego, avanti, siedi.
CORIOLANO - Preferirei restare sotto il sole,
in ozio, a farmi grattare la testa
quando suonasse l’allarme di guerra(103),
che starmene seduto qui, per niente,
ad udir magnificare i miei nonnulla.
(Esce)
MENENIO - (Ai tribuni)
Ecco, capi del popolo,
ditemi adesso voi come un tal uomo
potrebbe mai ridursi ad adulare
il prolifico vostro canagliume
- ché di buoni ce n’è uno su mille -
quando voi stessi l’avete ora visto
pronto a tutto rischiare per l’onore,
piuttosto che prestare un solo orecchio
a sentire esaltare le sue gesta...
Parla, avanti, Cominio.
COMINIO - Mi mancherà la voce. Troppo flebile
è la mia per ridir di Coriolano
le gesta(104). Se il valore militare
è nell’uomo la massima virtù,
che nobilita assai chi la possiede,
l’uomo del quale mi accingo a parlare
non ha chi possa stargli a pari al mondo.
Aveva sedici anni
quando Tarquinio mosse contro Roma,
e combatteva già meglio di tutti;
e il nostro dittatore di quel tempo(105)
che voglio ricordar con ogni lode,
l’osservava, col suo mento d’Amazzone(106),
battersi in armi e ricacciare in fuga
avversari con baffi sulle labbra;
e lo vide piantarsi a gambe larghe
su un Romano caduto, e in quella posa
affrontare ed uccider tre nemici.
Poi si scontrò con lo stesso Tarquinio
e, d’un sol colpo, lo forzò in ginocchio.
Tra i fasti di quel dì, quel giovinetto
che avrebbe ben potuto recitare
una parte di donna sulle scene(107),
si dimostrò il miglior soldato in campo
meritandosi, in degna ricompensa,
una corona di foglie di quercia(108).
Entrato poi dall’età minorile
nella virilità, simile al mare
quando ingrossa, è venuto su crescendo
e in diciassette battaglie, da allora,
ha rubato la palma a ogni altra spada.
Quanto poi a quest’ultima sua gesta,
fuori e dentro le mura di Corioli,
devo dire che non ho parole adatte
a riferirne come si conviene.
Ha fermato i suoi legionari in fuga,
e col suo raro esempio ha volto in gioco
quella ch’era paura nei codardi.
Davanti alla sua prua,
come alghe sotto l’urto d’un vascello
lanciato a tutto vento, obbedienti,
si piegavano gli uomini e cadevano;
la sua spada, come mortal sigillo
lasciava il segno ovunque s’abbattesse,
Era, da capo a piedi, tutto sangue
ogni suo gesto essendo punteggiato
dal grido dei morenti.
Varcò da solo la fatale porta
della città, segnandola così
col crisma d’un destino inesorabile;
poi senza alcun aiuto ne sortì,
e, ricevuto un rapido rinforzo,
piombò sopra Corioli con la forza
d’un fatal pianeta(109). Da quel punto,
tutto era in mano sua, quando, di nuovo,
il lontano clamor della battaglia
ferisce i suoi sempre vigili sensi:
allora il suo coraggio, raddoppiato,
ravviva subito nella sua carne
quel che v’era di stanco e affaticato,
e lì torna sul campo di battaglia,
dove imperversa, fumante di sangue,
sopra i nemici come in una strage
che non dovesse avere mai più fine;
e fino a che non potemmo dir nostro
tutto il terreno e nostra la città,
non si concesse un attimo di tregua,
anche solo per dare alcun sollievo
al respiro affannato.
MENENIO - Degno uomo!
PRIMO SENATORE - Sicuramente degno degli onori
che abbiamo in animo di conferirgli(110).
COMINIO - Ha respinto con sdegno
la parte di bottino a lui spettante
guardando a quegli oggetti di valore
come a vil spazzatura.
Per se stesso desidera di meno
di quello che la stessa povertà
potrebbe dargli, unico compenso
alle sue gesta essendo a lui il compierle;
ed è contento di spendere il tempo
della vita così, a lasciarlo scorrere(111).
MENENIO - Animo nobile! Lo si richiami.
PRIMO SENATORE - (Ad un ufficiale)
Chiamate Coriolano.
UFFICIALE - Sta venendo.
Rientra CORIOLANO
MENENIO - Il Senato altamente si compiace,
Coriolano, di nominarti console.
CORIOLANO - Son suoi la mia vita e i miei servigi.
MENENIO - Rimane solo che tu parli al popolo(112).
CORIOLANO - Vi supplico, vogliate dispensarmi
da quell’usanza. Io, quella tunica,
non me la sento di portarla addosso,
d’espormi in piazza, nudo della mia,
e pregarli di darmi il lor suffragio
solo a cagione delle mie ferite...
Esoneratemi da tutto questo.
SICINIO - Il popolo dovrà pur dir la sua,
né vorrà consentir che si tralasci
un solo punto del cerimoniale.
MENENIO - (A Coriolano)
Non starli a contrastare, ora, ti prego.
Confòrmati all’usanza
nelle forme da questa stabilite,
così come hanno fatto puntualmente
tutti quelli che t’hanno preceduto.
CORIOLANO – È una parte che mi farà arrossire
a recitarla: un “diritto del popolo”
che si farebbe bene ad abolire.
BRUTO - (A parte, a Sicinio)
Hai sentito?
CORIOLANO - ... Sbracarmi avanti a loro
a vantarmi che ho fatto questo e quello,
mettere in mostra le mie cicatrici
ormai indolori, che dovrei nascondere,
come chi se le fosse procurate
solo per guadagnarsi i loro voti...
MENENIO - E via, non farne un caso proprio adesso!
(Ai due tribuni)
Ed ora a voi, tribuni della plebe,
raccomandiamo la nostra delibera
perché la sosteniate presso il popolo;
e al nostro nobile novello console
auguriamo felicità ed onore.
TUTTI - Felicità ed onore a Coriolano!
(Squilli di tromba.
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