Mi autorizza fu segnalato fraintendimento di nessuno dei lettori competenti e a questa fiducia, non una vana presunzione, ma solo l’evidenza che imparziali; i quali, senza che io abbia bisogno di nominarli con le conferisce a ciascuna parte l’esperimento della identità del risultato lodi che meritano, vedranno da sé ai loro luoghi il conto da me fatto movendo dai più piccoli elementi all’insieme della ragion pura, e dei loro avvertimenti. Ma queste correzioni importano per il lettore ridiscendendo dal tutto a ciascuna parte (giacché questo tutto è an-una piccolissima perdita, che non si poteva evitare senza rendere il che dato per se stesso dallo scopo finale della ragione nella pratica), libro troppo voluminoso; cioè che diverse cose, che non erano per laddove il tentativo di mutare solo il più piccolo particolare riconduce a contraddizioni, che toccano non solamente il sistema, ma vero essenziali alla compiutezza del tutto, ma di cui tuttavia qualche anche tutta la ragione umana in generale. Soltanto, resta ancor mol-lettore non avrebbe volentieri fatto a meno, potendo per altri ri-to da fare nell’esposizione; e in questa seconda edizione ho ten-spetti essere utili, si son dovute sopprimere o abbreviare per dar tato correzioni che debbono rimediare, sia al fraintendimento del-luogo a una esposizione ora, spero, più piana; la quale, in fondo, l’estetica, soprattutto nel concetto del tempo, sia all’oscurità della deduzione dei concetti dell’intelletto, sia al presunto difetto di suf-rapporto a qualcosa che, legato con la mia esistenza, sia fuor di me. Questa co-ficiente evidenza nelle prove dei princìpi dell’intelletto puro, sia scienza della mia esistenza nel tempo è dunque identicamente legata con la coscienza infine alla falsa interpretazione dei paralogismi imputati alla psico-di un rapporto a qualche cosa fuori di me; ed è perciò l’esperienza e non la finzione, il senso e non l’immaginazione, che lega inseparabilmente l’esterno al mio senso in -
logia razionale. Soltanto fino a questo punto (vale a dire, sino alla terno; poiché il senso esterno è già in sé relazione dell’intuizione a qualcosa di reale fine del primo capitolo della dialettica trascendentale), e non più ol-fuor di me, e la realtà di questo qualcosa — a differenza della immaginazione — non tre, si estendono i mutamenti che ho arrecati nel modo dell’espo-riposa se non su ciò che è inseparabilmente legato alla stessa esperienza interna, come la condizione della sua possibilità; e così è nel nostro caso. Se io alla coscienza sizione1, poiché il tempo era troppo breve, e rispetto al resto non mi intellettuale del mio esistere, nella rappresentazione Io sono, che accompagna tutti i miei giudizi e le operazioni del mio intelletto, potessi unire anche una determinazione della mia esistenza mediante una intuizione intellettuale, a questa non apparterrebbe necessariamente la coscienza di un rapporto a qualcosa fuori di 1 La sola vera e propria aggiunta che potrei menzionare, ma non si tratta d’altro me. Se non che quella coscienza intellettuale precede veramente; ma l’intuizione che del modo della dimostrazione, è quella nella quale (a p. 275 *) faccio una nuova interna, nella quale soltanto può essere determinato il mio esistere, è sensibile, e confutazione dell’idealismo psicologico, e do una prova rigorosa (e anche, io cre-legata alla condizione del tempo; e questa determinazione, e con essa l’esperienza do, la sola possibile) della realtà obbiettiva della intuizione esterna. Sebbene l’idea-interna, dipende da qualcosa di imm utabile, che non è in me, e per conseguenza è lismo possa parere innocuo rispetto ai fini essenziali della metafisica (ciò che, nel solo in qualche cosa fuori di me; per modo che la realtà del senso esterno è neces-fatto, non è), rimane sempre uno scandalo per la filosofia e per il senso comune in sariamente collegata, perché possa esservi una esperienza in generale, con quella del generale, che l’esistenza delle cose esteriori (dalle quali pure noi ricaviamo tutta la senso interno: cioè io sono consapevole con tanta certezza che fuori di me esistono materia delle conoscenze anche per il nostro senso interno), si debba ammettere cose, che vengono in rapporto coi miei sensi, con quanta certezza sono consapevole semplicemente per fede, e che se ad alcuno venisse in mente di dubitarne noi non che esisto io stesso determinato nel tempo. Ma, a quali intuizioni date corrispondano potremmo opporgli una prova sufficiente. Poiché c’è una certa oscurità nell’esposi-realmente fuor di me degli oggetti, che appartengono perciò al senso esterno, cui zione di questa prova, dal terzo al sesto rigo, prego che si modifichi questo periodo debbono attribuirsi piuttosto che all’immaginazione, è cosa da stabilire in ciascun come segue:
caso particolare secondo le regole con cui l’esperienza in genere (anche interna) vien
«Ora questo che di permanente non può essere punto una intui-distinta dall’immaginazione; laddove il princip io, che c’è realmente una esperienza esterna, rimane immutabile come fondamento. A questo si può ancora aggiungere zione in me. Giacché tutti i fondamenti della determinazione della l’osservazione, che la rappresentazione di qualche cosa di permanente nell’esi-mia esistenza che possono trovarsi in me, sono rappresentazioni, ed stenza non è tutt’uno con la rappresentazione permanente; giacché questa *
han bisogno essi stessi, appunto perché tali, di qualcosa di permanente, distinto da esse, rispetto al quale il loro cambiamento — e può essere mutevolissima e instabilissima, come le nostre rappresentazioni tutte, perciò la mia esistenza nel tempo nel quale esse si mutano — possa comprese quella di materia, e aver tuttavia rapporto con qualcosa di permanente, che perciò deve essere alcunché di esterno e di diverso da tutte le nostre rappresenta-essere determinato».
zioni; la cui esistenza, compresa necessariamente nella determinazione della mia Mi si potrà obiettare a questa prova, che io ho soltanto coscienza immediata, di propria esistenza, costituisce con essa un’unica esperienza, che non vi sarebbe in ciò che è in me, della mia rappresentazione delle cose esterne, e che, per con-nessun modo come interna, se a un tempo non fosse (in parte) anche esterna. Come?
seguenza, resta sempre a dimostrare se ci sia o no qualcosa di corrispondente fuor di Noi qui non lo possiamo spiegare, come non ci è possibile pensare in generale ciò che me. Ma io ho coscienza della mia esistenza nel tempo (e perciò della sua deter-nel tempo permane, e dalla cui simultaneità con ciò che cambia sorge il concetto del minabilità in questo), per mezzo della mia esperienza interna; ciò che è più che aver cangiamento (N. d. K.).
coscienza semplicemente della mia rappresentazione, ed equivale alla coscienza empirica della mia esistenza, la qua le non può essere determinata se non per
* Cioè, la rappresentazione. Non occorre correggere, con il Will e, in «quella».
* Della seconda edizione originale.
L’Erdmann interpreta: «la rappresentazione di qualcosa di permanente» (N. d. R.).
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Prefazione alla seconda edizione
Prefazione alla seconda edizione
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rispetto alle proposizioni e alle stesse prove di queste, non è asso-coloro che si affidano all’altrui sentenza; ma, per chi si è reso pa-lutamente mutata, ma pure nel metodo di trattazione qua e là si drone dell’idea centrale, sono facili a dissipare. Comunque, quando allontana tanto dalla precedente, che non si poteva fare per inter-una teoria ha in sé la sua solidità, tutte le azioni e reazioni che da calazioni. Piccola perdita, alla quale ognuno può metter riparo, principio paiono minacciarla di grave pericolo, col tempo non ser-quando gli piaccia, col confronto della prima edizione, e che sarà vono ad altro che a fare scomparire le disuguaglianze e a darle anche ampiamente compensata, io spero, da una maggior chiarezza. In vari la desiderabile eleganza, ove se ne occupino uomini d’imparzialità, scritti a stampa (sia occasionalmente in recensione di qualche libro, d’ingegno e di vera popolarità.
sia in articoli speciali) ho notato, con gioia riconoscente, che lo spirito di sistema non è morto in Germania, ma solo è stato soffo-Konigsberg, nel mese di aprile 1787
cato per un po’ di tempo dalla moda d’una libertà di pensiero, che aveva pretese di genialità; e che gli spinosi sentieri della critica, conducenti a una scienza scolastica della ragion pura, ma, appunto perché tale, durevole e necessaria, non hanno impedito a spiriti ar-diti e perspicaci di impadronirsene. A questi valentuomini, che ac-coppiano così felicemente alla profondità dell’ingegno il talento di una lucida esposizione (della quale io non mi sento capace), lascio di compiere ciò che, rispetto all’ultima, vi ha qua e là di difettoso; giacché, in questo caso, il pericolo non è di esser contraddetto, ma di non essere inteso.
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