A Life of
Franz Kafka, New York 1984; M. Freschi, La Praga di Kafka, Napoli 1990. ( N.d.C. ) 5 «Praga non molla […] Questa mammina ha gli artigli» (F. Kafka, Lettere, a cura di F. Masini, Milano 1988, p. 12). ( N.d.C. )
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Rilke tenta qui di esprimere il disagio di un giovane sensibile di fronte alla repressione e all’educazione imposta di un mondo di valori nei quali non crede. Per vie traverse Rilke è qui già più vicino alla Nervenkunst, l’arte del nervosismo o l’arte della nevrosi, che trionfava a Vienna in quegli anni. Ma in più troviamo nella prosa di Rilke l’ambizione di inserire all’interno di queste nevrosi e di questi tristi destini quella fantasia, quel “magico”, quell’occulto che sono l’eredità dell’atmosfera praghese. Tra questi racconti, Una morta, che risale al 1896, è l’esempio più significativo della malattia mentale messa sullo stesso piano di quella fisica, in uno sfondo di completa decadenza. L’introspezione psicologica che Rilke compie sul personaggio della giovane ragazza psicopatica è un piccolo capolavoro di utilizzazione di “arte della nevrosi”, giacché fa risalire la causa della malattia mentale a un trauma infantile e indica, nel contempo, la reversibilità della malattia. Questo racconto è esemplare perché mostra accanto a tale motivo estremamente “moderno”
una descrizione della natura ancora sentimentale e romantica e dei toni cupamente tragici che potenziano l’espressività stessa della narrazione. In questo racconto Rilke ha completamente attuato quel «superamento del naturalismo» che Hermann Bahr auspicava nel titolo del suo libro già nel 1891. Ma l’evoluzione della prosa del giovane Rilke non è lineare, bensì fatta di continui ritorni e sovrapposizioni di stilemi e di motivi, che trae in parte dal magma della cultura praghese, in parte dagli stimoli provenienti dalle altre aree culturali (quella tedesca e quella francese in primo luogo).
Il suo rapporto con la madre fu invece ben più complesso. Fino all’età di cinque anni René fu vestito da bambina, coi lunghi riccioli biondi e le bambole come giocattoli: Sophie, infatti, aveva perso una bambina di pochi mesi e aveva accettato a fatica il figlio maschio. La madre ha iniziato René alla letteratura e all’amore per l’arte, in un gusto vagamente estetizzante, alla ricerca di una presunta nobiltà. E
sempre la madre ha insistito sull’aspetto arcano, misterioso e favolistico della letteratura e dell’esistenza. La critica letteraria è in genere propensa a vedere questa prima fase dello sviluppo rilkiano come completamente dominato dalla figura materna. Ma l’immagine del poeta gracile e malato, incompreso dai circoli culturali praghesi, e sostenuto e coccolato solo dalla comprensione materna è un’immagine mitizzata a posteriori dallo stesso Rilke, una stilizzazione della «mammina dagli artigli aguzzi». In realtà René fu apprezzato dall’ambiente culturale praghese, la sua salute non fu così cagionevole come risulta dal documento di congedo militare e il rapporto con la madre non fu solo passivo, ma caratterizzato da un’ambivalenza edipica. Sophie Rilke, che amava farsi chiamare Phia, concretizzò le sue ambizioni letterarie con la pubblicazione di un volumetto di aforismi (uscito nel 1899, ma datato 1900), dal titolo Efemeridi. Ma le massime ivi contenute sembrano più improntate al senso comune, fino a rasentare la banalità, che non a un qualche pensiero filosofico.
Aforismi del tipo: «Gli egoisti sono le persone normali di questo secolo», oppure «Il dolore più grave è – il desiderio», oppure: «L’infedeltà è stata messa al mondo dalla felicità … Una donna che non ha amato, non ha vissuto» indicano abbastanza chiaramente il livello delle riflessioni letterarie della signora Phia. Ma il distacco di Rilke dalla madre e dalla sua mentalità fu lungo e faticoso. René trascorse, dal 1897
al 1902, un mese (solitamente a primavera) ad Arco, sul lago di Garda, dove risiedeva sua madre. Il racconto Una mattina, che risale al 1899, è evidentemente il frutto di 6
uno di questi soggiorni. È stata ancora la madre a voler istillare nell’animo del giovane quel senso di superiorità e di distacco dal “popolo” in nome della presunta nobiltà dei Rilke, della loro superiorità culturale (legata alla lingua tedesca) e della nobiltà dello spirito, legata all’attività letteraria.
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