Così per il giovane Rilke Praga è stata il crogiuolo di diverse culture e di diverse correnti artistiche, ma è stata anche il conflitto concreto tra diverse nazionalità e diverse lingue che non sempre vedevano nella “soglia” un punto d’incontro, bensì un punto di frizione e di contrapposizione.
A questo va aggiunto un conflitto generazionale, che per il giovane René era nel contempo una questione personale (il rifiuto del modello paterno e della carriera militare), ma anche una questione culturale: il superamento del naturalismo verso stilemi estetici più ricchi di fantasia, di immagini e di arcano. Dalla madre Rilke ha ereditato l’impulso a ribellarsi all’esistente, la voglia e la forza di tentare una via nuova e diversa, che in fin dei conti si è poi rivelato un impulso a liberarsi dagli
“artigli aguzzi” della signora Sophie. Sebbene la madre di Rilke abbia viaggiato molto e, dopo la separazione, sia stata molto raramente a Praga, essa ritorna nell’immaginario rilkiano e in questi racconti come una figura indissolubilmente legata alla città boema. La figura materna assume su di sé tutte le valenze e tutti i significati della maticka Praha, che era un topos letterario comune a tutte le culture praghesi: quella tedesca, quella ebraica e quella ceca. Se poi questo distacco sia stato, in termini psicoanalitici, una reale liberazione oppure il semplice transfert del rapporto edipico nella figura di Lou Andreas Salomé ha poca importanza dal nostro punto di vista, giacché questi racconti esprimono il disagio e il tentativo di liberazione del giovane autore e sono scritti con tutti gli strumenti e gli esperimenti linguistici che ne fanno un esempio letterario di estremo interesse.
Il modo in cui Rilke si liberò della figura dolce e opprimente della “mammina”
(che non va solo intesa in senso biografico, ma anche e soprattutto nel senso metaforico dell’atmosfera culturale magmatica e provinciale ad un tempo) è indicativo per comprendere le valenze di questa maticka Praha. Nel 1897 René incontrò a Monaco Lou Andreas Salomé, che allora aveva 36 anni. I due trascorsero sei settimane d’amore nel piccolo villaggio di Wolfratshausen, fecero insieme due viaggi in Russia nel 1899 e nel 1900. Lou Andreas Salomé, moglie dell’iranista Friedrich Carl Andreas, amica (e alcuni dicono amante) di Nietzsche, in seguito allieva di Freud, rappresentava un tipo di donna e un tipo di cultura distanti dalla svenevolezza e dalla frivolezza della “mammina”. Lou Andreas Salomé fu uno stimolo per il poeta a seguire le linee della cultura “moderna” e cosmopolita, fu un modo per ampliare il suo orizzonte culturale ed uscire dagli spazi ristretti della minoranza tedesca di Praga. Fu lei a cambiare il suo nome da René a Rainer, che assume quasi il simbolo di sigillo del radicale cambiamento del poeta e della sua liberazione definitiva dall’atmosfera dolce, vischiosa ed opprimente, legata a maticka
Praha. Ma il percorso di questa liberazione avviene almeno su un duplice livello: da un lato contrassegna il passaggio dall’adolescenza alla maturità e rappresenta il taglio del cordone ombelicale con l’atmosfera limitata dei circoli culturali praghesi di lingua tedesca, ma dall’altro assume le forme di una liberazione dagli opposti nazionalismi: la cultura “moderna” a cui Rilke si accosta e di cui si fa promotore è priva di confini, è cosmopolita per antonomasia, si basa sulla circolazione di temi e stilemi, non è 7
legata a un luogo preciso che non sia un luogo poetico. Rilke rimase per tutta la vita in corrispondenza con Lou Andreas Salomé, che fu una delle amiche più feconde di consigli sulla produzione letteraria.
Questi racconti si collocano all’interno di tale lento periodo di liberazione di Rilke dai complessi rapporti biografici, psicologici e culturali che lo legavano a Praga. Essi rappresentano una palestra in cui il giovane autore cerca di sperimentare temi e linguaggi in grado di differenziarsi dallo stile praghese del suo tempo e sono dunque in parte debitori di quel clima di maticka Praha, ma contemporaneamente ne rappresentano la critica più radicale. L’atmosfera naturalistica viene infatti qui lacerata da elementi fantastici, magici, tetri, che si riallacciano, per vie sghembe e traverse, a quell’arte della nevrosi, a cui la Salomé era a sua volta legata. Durante la stesura di questi racconti questo lento processo di emancipazione e autodeterminazione era in atto, per cui possiamo rilevare nelle prime prove tutte le angosce e le incertezze giovanili che mano a mano lasciano il passo a una nuova autoconsapevolezza. Il distacco dalle figure dei genitori e dall’atmosfera ristretta della provincia si manifesta nell’ironia sottile che il giovane Rilke adopera a piene mani nella definizione dei suoi personaggi. La stanca e macilenta figura materna che ritorna continuamente nei suoi racconti viene inquadrata in stilemi che partono dalla prosa naturalistica, fatta di povere figure malate e moribonde, ma poi finisce per sfociare in un clima macabro, cimiteriale, a volte persino gotico, in cui l’autore tenta di forzare le capacità espressive del linguaggio per raggiungere toni “moderni” molto lontani dalla descrizione realistica.
Anche gli elementi più evidentemente autobiografici assumono un valore terapeutico di liberazione dal passato mediante l’ironia. Nel racconto Un uomo di
carattere (1896) – e in particolare nell’episodio del finanziamento per la costruzione del teatro – non è difficile scorgere la figura dello zio Joroslav. Ma tutto il racconto è giocato sulla chiave ironica che riesce a stemperare persino la drammaticità del funerale, capovolgendo il tutto in una scena grottesca, in cui affiora l’aspetto critico.
Del resto il paradosso è anche la chiave di lettura del racconto L’apostolo (1896), dove è evidente l’influenza di Nietzsche6. Qui le teorie del filosofo vengono esemplificate sino ad arrivare quasi ad una parafrasi di alcuni brani delle sue opere.
Però, all’interno di questa chiave paradossale, Rilke sottolinea proprio quegli aspetti inquietanti della filosofia nietzscheana (il superuomo, la volontà di potenza, il razzismo) che saranno ripresi strumentalmente qualche decennio più tardi dalle più bieche, forze reazionarie. Questo suo approccio a Nietzsche, se non è del tutto privo di intenti ironici, è però completamente diverso da quello “liberatorio” e antiborghese che vigeva nei circoli culturali viennesi, e fornisce un quadro della filosofia nietszcheana tutto volto a sottolineare gli aspetti distruttivi e inquietanti. Rilke, probabilmente con intenti ironici, parla di «impero millenario», cogliendo una chiave di lettura autoritaria e razzista nelle opere di Nietzsche allo scopo di criticare i nazionalismi praghesi. L’ironia assume invece in Diavoleria (1899) la valenza psicoanalitica di soluzione del rapporto con la madre. Rilke ironizza infatti sulla 6 Cfr.
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