Esistono diverse liste prodotte dallo stesso Rilke come ipotesi di sommario di una raccolta di racconti, che poi sono state modificate e abbandonate, a seconda dei consigli degli editori e degli amici (primi tra tutti Ludwig Ganghofer e Lou Andreas Salomé). In quegli anni, infatti, Rilke pubblicò una serie di volumi di racconti: Am Leben hin ( Lungo la vita, 1898), Zwei Prager Geschichten ( Due storie praghesi, 1899), Geschichte vom lieben Gott ( Storie del buon Dio, 1900) e Die Letzten ( Gli ultimi, 1901). Ma questi volumi furono preceduti e accompagnati da una serie di lavori preparatori, di schizzi e di abbozzi, che Rilke pubblicò in varie riviste letterarie, ma che non ebbe mai occasione di raccogliere in volume, nonostante i suoi numerosi progetti. Il presente volume raccoglie questi schizzi, che sono di per sé interessanti come laboratorio stilistico e tematico giacché è fin troppo facile riconoscere in questi racconti situazioni e stilemi che saranno poi rielaborati e sviluppati nelle successive opere di prosa. Nel marzo del 1896, ancora prima, cioè, della pubblicazione del suo primo volume di racconti Lungo la vita, Rilke annunciò sulla sua rivista Wegwarten la preparazione di un volume di racconti dal titolo Totentänze. Zwielicht-Skizzen ( Danze macabre. Schizzi in penombra). E in effetti i racconti di questo periodo hanno tutti un tono crepuscolare che pervade anche temi apparentemente naturalistici, tutti rifusi nella malattia dell’esistenza e nell’imminenza della fine. La costellazione dei vari racconti rilkiani, scritti tra il 1894 e il 1902 e pubblicati nelle varie riviste letterarie, che poi non sono stati raccolti nei quattro volumi sopra citati, possono benissimo essere considerati come un reiterato tentativo di comporre questa raccolta annunciata. È

evidente che Rilke nel corso degli anni ha modificato più volte i piani e l’indice del progettato volume, togliendo e inserendo racconti, un po’ per convinzione personale, un po’ su indicazione dell’ipotetico editore. Nel 1896 Rilke pubblicò nel supplemento letterario della Deutsche Rundschau di Praga due racconti ( E tuttavia la morte e L’avvenimento) che avevano come titolo complessivo Danze macabre. Nei racconti sparsi di quegli anni si possono ritrovare una serie di abbozzi, che compaiono nei vari schemi di volume, e che possono essere sussunti sotto questo titolo comune.

Trattandosi di una scelta tra ipotesi e schizzi, che per ragioni di spazio e di frammentarietà, non possono essere pubblicati tutti, si va certo incontro al rischio di arbitrarietà. Ma la linea che abbiamo scelto per compilare questa raccolta è omogenea e fondata da un lato sugli schemi rilkiani, come risultano dai suoi diari e dalle sue lettere, dall’altro dal criterio di presentare le variazioni sul tema della morte come percezione della decadenza di un mondo e come espressione del disagio di uno spirito giovanile nei confronti delle convenzioni sociali e culturali della sua epoca. Questi schizzi vengono definiti da Rilke “moderni” nel senso che esprimono perfettamente il tentativo di superare le barriere del naturalismo. Il 28 giugno 1896 il supplemento estivo del periodico praghese Politik pubblicò il racconto rilkiano La vittima, con l’annotazione redazionale che si trattava dell’anticipazione di un libro di novelle di prossima pubblicazione che avrebbe avuto il titolo di Cos’agita le genti? In effetti, nell’archivio di Rilke si trova una cartellina con la scritta: «René Maria Rilke /

10

Cos’agita le genti? / e altri racconti», seguita da una dedica molto significativa: «al mio daimonion». Sia la variante del titolo, che è tratto da un salmo, sia la dedica, indicano chiaramente il carattere di ossessiva ricerca di identità che questi racconti rappresentavano per il giovane autore. Del resto in una lettera da Monaco alla madre dell’8 dicembre 1896 Rilke afferma di «ritenere di essere uscito dal suo malato e disgregante Sturm und Drang». Questi racconti assumono, quindi, per il giovane autore un valore terapeutico, quasi fossero un esercizio di trascrizione stilizzata di quel lento processo di chiarificazione che lo ha portato al superamento del suo rapporto “ancestrale” con la madre. Il racconto più lungo di questo periodo, che raccoglie in sé tutta la tematica del disagio generazionale e della sorda ribellione al mondo praghese, del distacco da quella “casa” che si era dissolta e che non conservava null’altro se non assurde prescrizioni, è costituito da Ewald Tragy. Scritto probabilmente tra il 1897 e il 1899, rimasto inedito fino al 1929, quando fu pubblicato in 95 esemplari per la società di bibliofili di Monaco, è noto da anni al pubblico italiano. In esso viene, per così dire, esaurita la problematica della contrapposizione al padre e affiora, con tutte le mediazioni letterarie del caso, la tematica edipica sotto forma di autodeterminazione del soggetto e di rottura traumatica del famoso cordone ombelicale che lega il giovane protagonista alla famiglia e alla tradizione sociale e culturale che essa esprime. Lo spirito di ribellione contro la vita stucchevole della borghesia praghese di lingua tedesca pervade tutta la prima parte del racconto e ricorda da vicino l’altro “prigioniero” di quella famiglia e di quella società. Ma mentre in Kafka la ribellione al padre assume le valenze metafisiche di una ribellione nei confronti della tradizione e della Torah nel nome di una scrittura “profana”, in Rilke è determinante la presenza (o l’assenza) della figura materna, con tutti i richiami psicoanalitici che questo comporta. Il carattere autobiografico del racconto sta tutto nella volontà di distacco che il giovane Ewald Tragy manifesta nei confronti della famiglia col suo proposito di trasferirsi a Monaco.

«Va’ pure a bruciarti le ali», gli dice il padre, «vedrai cosa vuol dire fare da solo.

Compi pure le tue esperienze»8. Il tono sarcastico del padre non dissuade evidentemente il giovane protagonista dal suo proposito di uscire dalla cappa di un ambiente soffocante. Temi e stilemi presenti in questi racconti e in Ewald Tragy verranno ripresi e ampliati nei Quaderni di Malte Laurids Brigge (1910), dove non solo il protagonista, ma anche l’autore si sono liberati di tutte le scorie che li tenevano prigionieri, con la violenza dell’autorità o con la melliflua dolcezza “dagli artigli aguzzi”, nella vuota “casa” dai valori disgregati. Questi racconti sono il tentativo di René di “bruciarsi le ali”, di liberarsi dagli artigli della “mammina”, di tentare una via del tutto personale che gli consentisse di uscire dai limiti angusti dei regionalismi e dei patriottismi per attingere agli stimoli della cultura “moderna”.