Chissà forse una rosa selvatica poteva avere queste tinte e lui ricordò la canzone sulle rose selvatiche nel praticello verde. Una rosa verde, però, non esisteva. Ma forse in qualche luogo del mondo si sarebbe potuto trovarla.

La campanella squillò e poi gli allievi delle varie classi incominciarono a sfilare fuori dalle aule e nei corridoi verso il refettorio. Lui sedette fissando le due formine di burro nel piatto ma non riuscì a mangiare il pane umidiccio. La tovaglia era umidiccia e floscia. Bevve tuttavia il tè chiaro e bollente versatogli nella tazza dal goffo sguattero in grembiule bianco. Si domandò se anche il grembiule dello sguattero fosse umido o se tutte le cose bianche fossero fredde e umide. Nasty Roche e Saurin bevevano il cacao mandato loro in barattoli dalle famiglie. Dicevano di non poter bere il tè: dicevano che era lavatura di piatti. I loro padri erano magistrati, a quanto affermavano gli altri.

Tutti i ragazzi gli sembravano stranissimi. Avevano tutti padri e madri e vestiti diversi e voci diverse. Desiderava con tutto il cuore essere a casa, posare il capo sul grembo della mamma. Ma non era possibile: e così non vedeva l’ora che la ricreazione e lo studio e le preghiere finissero per poter andare a letto.

Bevve un’altra tazza di tè bollente e Fleming disse:

“Che cosa c’è? Ti duole qualcosa o che altro hai?”.

“Non lo so” disse Stefano.

“Dev’essere mal di pancia” disse Fleming “perché sei pallido. Passerà».

“Oh”, disse Stefano. Ma non aveva il mal di stomaco. Pensò che doveva essere male al cuore, se si poteva sentir male in quel punto. Fleming era stato molto buono a domandarglielo. Aveva voglia di piangere. Appoggiò i gomiti sul tavolo e si chiuse i padiglioni delle orecchie e li riaprì. Ogni volta che li riapriva udiva lo strepito del refettorio. Sembrava il rombo di un treno nella notte. E quando li chiudeva il rombo cessava come un treno che entra in galleria. Quella notte a Dalkey il treno aveva sferragliato così e poi quando era entrato in galleria il rombo era cessato. Chiuse gli occhi e il treno continuò a correre, sferragliando e poi tacendo; sferragliando ancora, tacendo. Era divertente sentirlo rombare e tacere, poi rombare di nuovo fuori della galleria e tacere ancora.

Poi i compagni della prima fila cominciarono a venire avanti sulla stuoia al centro del refettorio, Paddy Rath e Jimmy Magee e lo Spagnolo, che aveva il permesso di fumare sigari, e il piccolo portoghese con il berretto di lana. Infine quelli della fila dei tavoli di mezzo e quelli della terza fila di tavoli. E ognuno di loro aveva un diverso modo di camminare.

Lui si mise a sedere in un angolo della sala di ricreazione fingendo di osservare una partita a domino e una o due volte riuscì a udire per un attimo la canzone sommessa del gas. Il prefetto si trovava sulla soglia con alcuni ragazzi e Simon Moonan gli stava annodando le false maniche. Diceva loro qualcosa a proposito di Tullabeg.

Poi si allontanò dalla porta e Wells venne verso Stefano e disse:

“Senti un po’, Dedalus, baci tua madre, tu, prima di andare a coricarti?».

Stefano rispose:

“Sì”.

Wells si girò verso i compagni e disse:

“Ehi, sentite, uno qui dice che bacia sua madre ogni sera prima di andare a coricarsi».

Gli altri interruppero il gioco e si voltarono, ridendo. Stefano arrossì sotto i loro sguardi e disse:

“Non è vero”.

Wells disse:

“Ehi, sentite, uno qui dice che non bacia sua madre prima di andare a coricarsi”.

Risero tutti di nuovo. Stefano si sforzò di ridere insieme a loro. Sentì in un lampo tutto il proprio corpo ardente e confuso. Qual era la giusta risposta alla domanda? Ne aveva dato due e Wells continuava a ridere.