Ma ora basta. (Rivolgendosi al seguito) Parto immediatamente per Madrid. Il mio dovere regale mi richiama là. La peste dell’eresia contagia i miei popoli, la rivolta serpeggia nei Paesi Bassi. Non c’è un minuto da perdere. Solo un esempio spaventoso potrà richiamare i traviati sulla retta via: domani scioglierò il grande voto giurato da tutti i re della cristianità. Sarà un autodafé che non si è visto mai! Tutta la corte è solennemente pregata di assistervi. (Riaccompagna la regina, seguito dalla corte)

 

Scena settima

 

 

Don Carlos, con delle lettere in mano, e il marchese di Posa giungono da direzioni opposte.

 

CARLOS

Ho deciso. Bisogna salvare le Fiandre. Questo è il suo desiderio, e questo mi basta.

 

MARCHESE

Non c’è un minuto da perdere. Si dice che il duca d’Alba sia stato nominato governatore.

 

CARLOS

Domani chiederò subito udienza a mio padre ed esigerò che l’incarico mi venga affidato. È la prima supplica che gli rivolgo, e non potrà rifiutarmela. Da tempo mi tollera di malavoglia a Madrid: c’è un’occasione migliore per allontanarmi? Inoltre - vuoi che te lo confessi, Rodrigo? - spero in qualcos’altro: forse, stando in contatto diretto con lui, riuscirò a tornare nelle sue grazie. Egli non ha mai ascoltato la voce della natura, Rodrigo: lascia che la forza di quel legame si accenda e prorompa dalle mie labbra.

 

MARCHESE

Finalmente ritrovo il mio Carlos! Ora ritornate ad essere voi stesso!

 

Scena ottava

 

 

Gli astanti e il conte di Lerma.

 

LERMA

Sua Maestà ha appena lasciato Aranjuez. Ho l’ordine di…

 

CARLOS

Va bene, conte di Lerma. Raggiungerò Sua Maestà.

 

MARCHESE (in atto di congedarsi, in tono cerimonioso)

Vostra Altezza non ha altro da affidarmi?

 

CARLOS

Nulla, cavaliere. Vi auguro buona fortuna al vostro arrivo a Madrid. Mi direte altri particolari sulle Fiandre. (A Lerma che è rimasto in attesa) Vi seguo.

 

(Il conte di Lerma esce)

 

Scena nona

 

 

Don Carlos, il marchese.

 

CARLOS

Ti ho compreso e ti ringrazio. Ma solo la presenza di un terzo giustifica questo tono da cerimonia. Non siamo forse fratelli? Dalla nostra amicizia questa deplorevole commedia del rango deve essere abolita: pensa che ci siamo incontrati a un ballo in maschera con te travestito da schiavo e me, per capriccio, da principe del sangue. Finché dura il carnevale rispettiamo le regole del gioco e rimaniamo fedeli al nostro ruolo obbligandoci a una ridicola serietà per non turbare l’esaltazione del popolo. Ma, attraverso la maschera, il tuo Carlos ti scambia un cenno e tu, passandomi davanti, mi stringi la mano e mi dimostri di aver capito.

 

MARCHESE

È un sogno divino, ma non svanirà prima o poi? Il mio Carlos è proprio certo di saper resistere alle fascinose insidie del potere assoluto? Deve sorgere ancora il giorno, il gran giorno in cui tanto eroismo, debbo mettervi in guardia, può cader vittima di una prova assai ardua. Don Filippo muore, Don Carlos eredita il più grande regno della cristianità e un’immensa voragine lo divide dagli altri mortali, e colui che soltanto ieri era un uomo da oggi è diventato Dio. Nessuna debolezza umana gli compete più. I doveri eterni non hanno più nessuna eco in lui. L’umanità - una parola che ancor oggi risuona immensa al suo orecchio - si vende e striscia attorno al suo idolo. Egli non è più soggetto alla sofferenza e perciò la pietà non regna più nel suo cuore, la sua virtù si scolorisce languida e molle nei piaceri, il Perú per le sue follie gli invia l’oro, la corte per venire incontro ai suoi vizi educa dei demoni. Egli dorme in preda all’ebbrezza in questo paradiso che i suoi docili schiavi hanno creato appositamente per lui e, finché dura il suo placido sonno, continua a ritenersi un Dio: guai al folle che volesse pietosamente destarlo! Cosa accadrebbe a Rodrigo? L’amicizia è sincera e non tollera altro che la verità. La maestà declinante non riesce a reggere l’impietoso chiarore dei suoi raggi.