Giovanni s’alzò dal tavolino, e s’avviò lentamente verso il laghetto coi cigni. Ormai gran parte della folla, seduta al caffè, lo seguiva con gli occhi. Ninetta alzò il viso anche lei, e, illuminandosi come al solito, avvolse Giovanni nel suo sguardo cangiante.
“Non c’è più alcun dubbio!” gli dissero gli amici, quando egli fu seduto. “Ti guarda ch’è un piacere!”
Giovanni non capiva negli abiti; ma nascose il proprio turbamento e, per una certa fedeltà al suo vecchio modo di parlare delle donne, disse che, in fondo, per questo, non sarebbe caduto in convulsione; che la donna è buona per una sola cosa, e basta; che, fatta quella, Dio mio, non c’è più da far nulla con lei! E fu molto volgare. Gli amici lo furono più di lui. Ed egli soffrì pene d’inferno, la sera, ascoltando le confidenze di ciascuno su quello che avrebbe messo in pratica con la Ninetta se si fosse trovato con lei in una foresta solitaria, o in una città distrutta dal terremoto, o in una barca dopo il naufragio del piroscafo con tutti i passeggeri. Quegli eleganti giovanotti, per proporsi degli atti audaci, avevano bisogno d’immaginarsi in una scena totalmente deserta. Giovanni rideva verde, e aspettava che tutti se ne andassero, per rimanere solo col pensiero di lei: aveva fretta di fantasticare un bel quadro in cui, all’incirca, Ninetta si trovasse in un luogo alto, come il palco reale al teatro dell’Opera, o il triforio della cattedrale, o un balcone sospeso nel lume di luna, ed egli giù, con le ginocchia per terra e gli occhi al sorriso di lei.
La notte, ebbe la prima insonnia della sua vita: egli, che non aveva mai visto le ore del pomeriggio perché anche quelle le aveva dormite, vide l’aspetto sinistro che hanno gli abiti smessi, fra le due e le quattro del mattino. La propria giacca, infilata sulla sedia, gli rizzò davanti un personaggio che egli aveva sbadatamente guardato negli specchi e nelle fotografie: era lui stesso. Questa volta, però, non si piacque: ricordò di avere un pessimo profilo, e, nel dormiveglia in cui cadde verso le cinque del mattino, sognò di gettare in terra con un calcio il baronello Licalzi, e d’impadronirsi del profilo greco di costui, come fa il ladro di un portafogli. “Ah, ah, ah!” starnazzò, con forza, cinque o sei volte; e si svegliò con questo riso selvaggio.
“Ma che ha?” domandava Barbara, udendo un tale richiamo di pollaio impazzito riempire il corridoio.
“Niente!” disse, poco dopo, Giovanni, rispondendo alla faccia interrogativa e muta delle sorelle: “Non ho niente!”
Per fortuna, quello scontento non durò a lungo: un nuovo sguardo, che Ninetta fece scivolare verso di lui, fra il tronco di una palma e il piede della statua di Garibaldi, lo rimise in quell’alto sentimento di sé, in quella gioia, in quel ricordi di avere fatto grandi cose, che gli cambiavano, non solo l’espressione degli occhi, così facile a mutare secondo l’umore, ma quella stessa del naso e delle orecchie; il naso infatti si restringeva e assottigliava, le orecchie stavano ferme quand’egli rideva.
“Sai che mi diventi un bell’uomo?” gli disse Monosola. “Che diavolo di cura stai facendo?”
Egli trasalì. “Sono innamorato!” rispose mentalmente; e anche mentalmente immaginò non di gridarlo, ma di dirlo adagio, perché aveva paura che il suo cervello ronzasse, come una sveglia prima di suonare, e facesse sentire a Monosola quello che aveva pensato.
“Maledetto Giuda, dove avete gli occhi?” “Adagio con le zampe!” “Tenete il mio cappello sotto le natiche!” “Porco di non dico chi, non vedete che sono zoppo?” erano le frasi che egli sentiva di continuo attorno al suo delizioso smarrimento..
Una sera, nel negozio, lo zio Giuseppe, venendo meno alla consegna di risparmiare il più possibile, gridò ai commessi: “Accendete la luce! Accendete! Presto! Accendete!…”
Un piccolo cliente rimase travolto da un omaccione in camice turchino, che si precipitò nello stanzino degl’interruttori per eseguire l’ordine del padrone.
“Presto! Accendete!” continuava lo zio. Un lampadario sfolgorò. “Sangue d’un cane, che m’hai combinato, Giovanni? Parla! Che ti ho fatto di male?”
Giovanni, al buio, cedendo a quella stessa mania che gli aveva fatto riempire tutti i fogli del suo scrittoio, le copertine dei libri, i calendari e la carta assorbente, del nome di Ninetta scritto a penna e a matita; con due grosse forbici aveva ritagliato, centinaia di volte, da una balla di seta, quel nome adorato. Uno di questi brandelli era andato a finire sulle spalle del cliente, che ora, con un gemito, si sollevava da terra; e molti altri, attaccandosi alle calcagna, strisciavano sul pavimento.
“E’ pazzo!” disse lo zio, l’indomani mattina, trovando infilato nella fascia della paglietta un pezzo di seta col nome della ragazza. “E sono andato in giro con questa bella bandiera in testa!… E’ pazzo! Glielo dirò in faccia!”
Ma Giovanni non se ne dava per inteso: l’unica disgrazia che gli potesse capitare, nel corso di un giorno, era di non incontrare Ninetta e non riceverne sul viso lo sguardo. Solo ricevendo quello sguardo, almeno ogni ventiquattr’ore, egli teneva in vita il Giovanni forte, bello, vittorioso, famoso, buono, giovane di cui aveva sempre ignorato l’esistenza. Quando gli passavano due giorni senza incontrarla, egli si scarduffava i capelli con una mano, e, rientrando nel vecchio avvilimento, balbettava: “Ho sognato?”
Gli amici, sebbene non conoscessero a qual punto egli era arrivato, lo consideravano un codardo, e lo pungevano in tutti i modi per indurlo a far qualcosa che fosse più di un sospiro o eh una levata d’occhi. “Avvicinala!” gli gridavano a bassa voce. “Bestia, non vedi che le piaci? Avanti, su!…”
Una sera, furono in cinque a spingerlo per le spalle verso di lei che stava a guardare la mostra di un’edicola. Giovanni, buttato interamente all’indietro con la forza di un bue, pareva piantato entro terra, sicché uno gli dovette dare dei pugni sul polpacci, e un altro cacciarlo innanzi a ginocchiate sulla schiena. Così, riuscirono a fargli muovere tre passi, e, a un metro da lei, lo abbandonarono tutti insieme, nascondendosi in fretta dietro alcuni platani.
Giovanni rimase fermo come un sasso: il sangue gli era salito negli occhi, ed egli vedeva, gigantesco e vivo, il papa Pio Undicesimo che era disegnato a colori sulla copertina d’una rivista. Bruscamente, Ninetta si voltò; dagli alberi giunse un “Avanti, bestia!” che lo fece impazzire dalla vergogna; l’edicola si mise a traballare.
Ma cosa accade?
La ragazza si avvicina, lo guarda con due occhi che gli mettono il miele dentro le ossa, e fa lei cenno di parlare.
“Che ore sono, scusate?” dice.
Giovanni cava dal taschino un pezzo di carta e, scambiandolo per l’orologio, non riesce a leggervi nulla e dice: “Non so!” poi con un fil di voce, intascando il pezzo di carta e sempre guardando negli occhi la ragazza, aggiunge: “E’ fermo!”
“Asino, pulcinella col fiocco, lumacone!” furono le parole con cui gli amici lo accolsero sotto l’ombra degli alberi. “Ma non vedi che è lei a ‘scomporti’? Ma che sei diventato, un mammalucco, un intontito?”
Egli non li sentiva nemmeno. Come un vecchio palazzo che nasconda, fra le mura nere, e sotto le persiane fitte e fradicie, saloni illuminati e una festa da ballo, egli si sentiva, dentro, sfolgorante di luce, sebbene lo specchio, nel quale, accendendogli un cerino sotto il mento, Muscarà lo aveva invitato a mirarsi, con un “Paneperso, guardati!” gli mostrasse un viso invecchiato dallo sgomento e un colletto ridotto a un cencio.
Da quella sera la vita gli piacque come mai gli era piaciuta, e gli antichi amici non gli piacquero più. Erano troppo volgari, e non parlavano mai in lingua come, da un certo tempo, egli parlava continuamente dentro di sé. La sua felicità si cinse di malumore, sicché tutti dicevano: “Ma sei morsicato dalle vespe?” mentre egli era gongolante di gioia.
Si poteva dire di lui che, in alto, gioiva, e, in basso, disprezzava.
Quella che più gli dispiaceva era la vecchia casa, nella quale rimanevano profonde le tracce di quel Giovanni che Ninetta, coi suoi sguardi, faceva di più in più dileguare. Non considerandosi mai solo, egli si sorvegliava minutamente, e, anche a letto, si sdraiava in un modo assai garbato, evitando qualunque rumore della gola o del naso. Una notte, si svegliò con uno strappo al cuore.
1 comment