A un tratto, superata ormai la sua meta, si trovò in una stradina in cui si aggiravano solo alcune squallide prostitute a caccia notturna di uomini. Che atmosfera spettrale, pensò. Anche gli studenti dai berretti blu divennero improvvisamente spettrali nel ricordo, così pure Marianne, il fidanzato, lo zio e la zia, che ora immaginò tenersi per mano attorno al letto di morte del vecchio consigliere; anche Albertine, che gli apparve immersa in un sonno profondo, le mani incrociate dietro la nuca - persino la bambina, che a quell’ora dormiva raggomitolata nel lettino bianco, e la governante dalle guance rubiconde con la voglia sulla tempia sinistra tutti si erano trasformati ai suoi occhi in figure assolutamente spettrali. E sebbene quella sensazione lo facesse un po’

inorridire, gli trasmetteva però, allo stesso tempo, una certa calma che sembrava liberarlo da ogni responsabilità, e addirittura svincolarlo da ogni rapporto umano.

Una delle passeggiatrici lo invitò ad andare con lei. Era una creatura graziosa, ancora molto giovane, pallidissima, le labbra tinte di rossetto. Anche un’avventura simile potrebbe concludersi con la morte, pensò, solo che la fine non sarebbe tanto rapida! Di nuovo la viltà? In fondo sì. Sentì alle sue spalle i passi della donna e poi la sua voce. «Allora andiamo, dottore?».

Si voltò involontariamente. «Come fai a conoscermi?» chiese.

«Non la conosco», disse «ma in questo quartiere sono tutti dottori».

Non aveva avuto a che fare con una donna del genere dagli anni del liceo.

L’eccitazione che quella creatura gli procurava aveva forse il senso di un improvviso ritorno all’adolescenza? Si ricordò di un conoscente occasionale, un giovane elegante che si diceva avesse un’enorme fortuna con le donne, col quale, da studente, aveva trascorso qualche ora in un locale notturno al termine di una festa da ballo; questi, prima di allontanarsi con una delle entraineuses, al suo sguardo alquanto meravigliato aveva replicato con le parole: «In fondo è sempre la cosa più comoda; -

e non sono neanche peggiori di tante altre».

«Come ti chiami?» chiese Fridolin.

«Beh, come vuoi che ci chiamiamo noi? Mizzi, naturalmente». Aveva già girato la chiave nel portone di casa, era entrata e aspettava che Fridolin la seguisse.

«Svelto!» disse, poiché egli esitava. A un tratto Fridolin si trovò vicino a lei, il portone si serrò alle sue spalle, la ragazza chiuse a chiave, accese una piccola candela e gli fece luce. «Sono pazzo?» si chiese. «Naturalmente non la toccherò».

Nella stanza ardeva una lampada ad olio. La donna alzò il lucignolo, era un ambiente molto accogliente, ben tenuto, e comunque si sentiva un odore più gradevole che in casa di Marianne, per esempio. Certo - lì dentro non era stato a letto un vecchio ammalato. La ragazza sorrise, si avvicinò con discrezione a Fridolin, che l’allontanò dolcemente. Poi gli indicò una sedia a dondolo in cui egli si abbandonò con piacere.

«Devi essere molto stanco» disse. Egli annuì. E mentre si spogliava senza fretta, la ragazza aggiunse: «Si capisce, un uomo come te, chissà quanto avrà da fare tutto il giorno. Per una di noi la vita è certo più facile».