QUARTO.
L’aria si era fatta ancora più calda. Il vento tiepido portava nella stradina un profumo di prati umidi e di monti lontani in primavera. Dove vado ora? pensò Fridolin, come se non fosse naturale tornare finalmente a casa e andare a letto.
Ma non potè decidersi a farlo. Dopo quello spiacevole incontro con gli studenti gli sembrava di essere un reietto, uno sbandato… O forse dopo la confessione di Marianne? No, da prima ancora dopo la conversazione serale con Albertine si stava allontanando sempre più dalla normale sfera della sua esistenza, addentrandosi in un altro mondo, lontano ed estraneo.
Vagò per le strade nella notte, si fece carezzare la fronte da un leggero Fóhn e infine con passo deciso, come se fosse giunto a una meta a lungo cercata, entrò in un caffè qualunque, accogliente, di vecchio stile, non molto grande, scarsamente illuminato e, a quell’ora tarda, quasi vuoto.
In un angolo tre signori giocavano a carte; un cameriere che fino allora aveva seguito il gioco aiutò Fridolin a togliersi la pelliccia, prese l’ordinazione e gli mise sul tavolo riviste illustrate e giornali della sera. Fridolin si sentì come al sicuro e cominciò a sfogliare rapidamente i giornali. Il suo sguardo si fermava qua e là sulle notizie di cronaca. In una città della Boemia erano stati divelti dei cartelli stradali in lingua tedesca.
A Costantinopoli era in corso una conferenza per la costruzione di una ferrovia in Asia Minore alla quale partecipava anche Lord Cranford. La ditta Benies Se Weingruber aveva dichiarato fallimento. La prostituta Anna Tiger aveva tentato, per gelosia, di sfregiare col vetriolo l’amica Hermine Drobizky. Quella sera aveva luogo nelle Sophiensälen una cena a base di pesce.
Una giovane, Marie B., abitante nella Schönbrunner Hauptstrasse 28, si era avvelenata col sublimato. Tutti quei fatti, insignificanti o tristi, esercitavano, con la loro asciutta banalità, un effetto in qualche modo disincantante e tranquillizzante su Fridolin. Provò una certa compassione per la giovane Marie B.; sublimato, che stupidaggine. In quel medesimo istante, mentre lui sta seduto comodamente al caffè, Albertine dorme tranquilla con le mani incrociate dietro la nuca e il consigliere ha ormai superato ogni sofferenza terrena, Marie B., Schönbrunner Hauptstrasse 28, si torce in dolori insensati.
Sollevò lo sguardo dal giornale. Da un tavolo di fronte due occhi erano fissi su di lui.
Possibile? Nachtigall…? Questi l’aveva già riconosciuto, alzò le braccia lietamente sorpreso, e gli si avvicinò; era un uomo ancora giovane, alto e abbastanza robusto, quasi tozzo, coi capelli lunghi, leggermente ondulati e già un po’ brizzolati, e baffi bianchi rivolti all’ingiù alla maniera polacca.
Portava un cappotto grigio aperto e, sotto, un frac alquanto unto, una camicia sgualcita con tre bottoni di brillanti falsi, un colletto spiegazzato e una cravatta svolazzante di seta bianca. Aveva le palpebre arrossate come per molte notti insonni, ma gli occhi brillavano chiari e azzurri.
«Nachtigall, sei a Vienna!» esclamò Fridolin.
«Non lo sai?» disse Nachtigall con morbido accento polacco e una leggera cadenza ebrea.
«Com’è possibile che tu non lo sappia? Eppure sono così famoso». Rise forte e bonariamente, e si sedette di fronte a Fridolin.
«Come?» chiese Fridolin. «Magari sei diventato in segreto professore di chirurgia?».
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