Un tremito la scosse, quasi dovesse cadere o fuggire. Ma poiché su quella stretta striscia di legno non si sarebbe potuta muovere che lentamente, decise di fermarsi, - e restò così, il viso dapprima impaurito, poi arrabbiato, infine impacciato. A un tratto però sorrise, sorrise meravigliosamente; nei suoi occhi c’era un saluto, un invito, - e allo stesso tempo una leggera derisione nel modo come sfiorò fuggevolmente con lo sguardo l’acqua ai suoi piedi che mi divideva da lei. Poi distese il corpo giovane e snello, quasi lieta della sua bellezza e, come si poteva facilmente notare, fiera e deliziosamente eccitata per il luccichio del mio sguardo che sentiva fisso su di sé.

Restammo così, l’uno di fronte all’altra, forse dieci secondi, le labbra semiaperte e gli occhi scintillanti. Tesi istintivamente le braccia verso di lei, nel suo sguardo si leggeva passione e gioia.

Ma all’improvviso ella scosse violentemente la testa, staccò un braccio dalla parete e mi fece imperiosamente cenno di allontanarmi; e poiché non mi decisi a ubbidire subito, i suoi occhi di bambina assunsero una tale espressione di preghiera, di implorazione, che non mi restò altro che andarmene. Proseguii il mio cammino più in fretta che potei; non mi girai a guardarla neppure una volta, non proprio per riguardo, ubbidienza o cavalleria, ma perché il suo ultimo sguardo aveva suscitato in me una tale commozione, superiore a ogni altra esperienza, che mi sentivo vicino a svenire».

Tacque.

«E quante volte» chiese Albertine guardando dinanzi a sé senza alcuna enfasi «hai rifatto in séguito lo stesso cammino?».

«Quel che ti ho raccontato» rispose Fridolin «accadde per caso l’ultimo giorno della nostra vacanza in Danimarca. Neanch’io so che cosa sarebbe avvenuto in circostanze diverse. Evita anche tu di fare altre domande, Albertine».

Fridolin stava sempre presso la finestra, immobile.

Albertine, gli occhi umidi e misteriosi, la fronte leggermente corrugata, gli si avvicinò.

«D’ora innanzi ci racconteremo sempre subito storie del genere» disse.

Egli annuì, muto.

«Promettimelo».

Fridolin l’attirò a sé. «Non ne sei convinta?» chiese; ma la sua voce continuava ad avere un tono duro.

Albertine gli prese le mani, le carezzò e lo guardò con occhi velati nel cui fondo egli poteva leggere i suoi pensieri. Ora lei riandava con la mente ad altre, più reali avventure di Fridolin, alle sue avventure giovanili, che conosceva in parte, perché lui, cedendo troppo docilmente alla sua gelosia, gliene aveva parlato nei primi anni di matrimonio, anzi, come spesso gli sembrava, le aveva abbandonate alla sua curiosità mentre avrebbe fatto meglio a tenerle per sé. Fridolin sapeva che in quel momento sorgevano imperiosi in lei i ricordi e si meravigliò appena quando le sentì pronunciare, come in sogno, il nome quasi dimenticato di una delle sue amanti di gioventù.

Eppure quel nome gli suonò all’orecchio come un rimprovero, anzi come una lieve minaccia.

Si portò alle labbra le mani della moglie.

«In ogni donna - credimi, anche se può sembrare una facile affermazione - in ogni donna che credevo di amare ho sempre cercato te; ne sono convinto più di quanto tu possa capire, Albertine».

Ella sorrise triste. «E se anch’io avessi avuto voglia di cercarti prima in altri uomini?» disse, e il suo sguardo si trasformò e divenne freddo e impenetrabile.

Fridolin abbandonò le sue mani, quasi l’avesse sorpresa mentre diceva una menzogna o lo tradiva; ma lei continuò: «Ah, se sapeste!» e tacque di nuovo.

«Se sapessimo?… Che vuoi dire?».