«Press’a ppoco quel che pensi, mio caro» rispose Albertine con insolita durezza.

«Albertine - allora mi hai nascosto qualcosa?».

Lei annuì e guardò dinanzi a sé con uno strano sorriso, mentre in lui si destavano inconcepibili, assurdi dubbi.

«Non riesco a capire» disse Fridolin. «Avevi appena diciassette anni quando ci fidanzammo».

«Sedici passati, Fridolin. Eppure…» lo guardò francamente negli occhi «non dipese da me se divenni tua moglie ancora vergine».

«Albertine…».

Ed ella raccontò: «Fu sul Wòrthersee, poco prima del nostro fidanzamento, Fridolin; una splendida sera d’estate un bellissimo giovane si fermò davanti alla mia finestra che guardava sull’ampia distesa del prato, ci mettemmo a parlare e durante quella conversazione pensai, ebbene, senti un po’ che cosa pensai: che ragazzo simpatico e affascinante, se dicesse ora una sola parola, quella giusta naturalmente, andrei con lui sul prato, passeggerei con lui dovunque gli piaccia, - forse nel bosco - ancora più bello sarebbe se andassimo insieme in barca sul lago - stanotte potrebbe avere da me tutto quel che vuole. Sì, questo pensai. Ma l’incantevole giovane non pronunciò quella parola; mi baciò solo delicatamente la mano, - e il mattino successivo mi chiese se volevo diventare sua moglie. E io dissi di sì».

Fridolin lasciò andare seccato la mano della moglie, poi disse: «E se quella sera ci fosse stato per caso un altro davanti alla tua finestra e gli fosse venuta in mente la parola giusta, per esempio…» pensò quale nome dovesse dire, quando lei allungò le braccia come per dissuaderlo.

«Un altro, chiunque altro, avrebbe potuto dire ciò che voleva, - non gli sarebbe valso a nulla. E se non fossi stato tu il giovane davanti alla finestra», gli sorrise «allora anche la sera d’estate non sarebbe stata certo così bella».

Egli storse beffardamente la bocca. «Lo dici adesso e forse in questo momento ne sei anche convinta. Ma…».

Bussavano alla porta. Entrò la cameriera e disse che la portiera della Schreyvogelgasse era venuta a pregare il dottore di recarsi dal consigliere che stava di nuovo molto male. Fridolin andò nell’anticamera e la donna l’informò che il consigliere aveva avuto un attacco di cuore e si sentiva malissimo; promise che sarebbe andato immediatamente.

Mentre si preparava in fretta, Albertine gli chiese: «Esci?» in tono adirato, come se il marito, uscendo, volesse farle un dispetto.

Fridolin rispose quasi stupito: «Non posso certo farne a meno».

Albertine sospirò leggermente.

«Speriamo che non sia così grave», disse Fridolin «finora tre centigrammi di morfina lo hanno sempre aiutato a superare l’attacco».

La cameriera aveva portato la pelliccia, Fridolin baciò piuttosto distrattamente Albertine sulla fronte e sulla bocca, come se il colloquio delle ore precedenti si fosse già cancellato dalla sua memoria, e si allontanò in fretta.

SECONDO.

In strada dovette aprire la pelliccia. Era cominciato improvvisamente il disgelo, la neve sul marciapiede si era quasi sciolta e spirava un venticello che annunziava la primavera. Dall’abitazione di Fridolin nella Josefstadt, vicino all’ospedale, alla Schreyvogelgasse c’era meno di un quarto d’ora; e così ben presto Fridolin salì la scala tortuosa e male illuminata della vecchia casa, giunse al secondo piano e tirò il cordone del campanello; ma ancor prima che quel suono antiquato si facesse sentire, notò che la porta era solo accostata; attraverso l’anticamera oscura entrò nel soggiorno e vide subito che era giunto troppo tardi.