Fridolin era più commosso che sorpreso; poiché aveva sempre saputo che era innamorata di lui, o credeva di esserlo.

«Si alzi, Marianne» disse piano, si chinò su di lei, l’aiutò ad alzarsi con delicatezza e pensò: naturalmente si tratta anche di un po’ di isteria. Gettò una rapida occhiata al padre morto. Chissà che non senta tutto, pensò. Che sia una morte apparente? Forse càpita a tutti di essere morti solo apparentemente nelle prime ore dopo il decesso.

Teneva Marianne fra le braccia, ma allo stesso tempo leggermente discosta da sé, la baciò quasi senza volerlo sulla fronte, e quel gesto gli sembrò un po’ ridicolo. Si ricordò fuggevolmente di un romanzo che aveva letto molti anni prima e in cui un giovanotto, quasi un ragazzo, veniva sedotto, o meglio violentato, presso il letto di morte della madre da un’amica di lei.

Nello stesso istante, senza sapere perché, fu costretto a pensare a sua moglie. Sentì affiorare un senso di amarezza nei confronti di Albertine ed un sordo rancore contro il signore con la borsa da viaggio gialla sulla scala dell’albergo in Danimarca. Attirò più fortemente a sé Marianne, ma non provò la minima eccitazione; anzi, la vista dei capelli opachi e aridi e l’odore dolciastro e stantio del suo abito gli diedero una leggera ripugnanza. In quel momento suonò il campanello, si sentì come liberato, baciò in fretta la mano di Marianne, quasi per riconoscenza, e andò ad aprire. Sulla soglia apparve il dottor Roediger, cappotto grigio scuro, soprascarpe ed ombrello in mano, l’espressione del viso grave ed adatta alla circostanza. I due uomini si scambiarono un cenno di saluto, più confidenziale di quanto lo richiedessero i loro reali rapporti.

Entrarono poi nella stanza, Roediger fece le condoglianze a Marianne dopo aver gettato uno sguardo imbarazzato al morto; Fridolin andò nella camera accanto per redigere il certificato di morte, alzò la fiamma della lampada a gas sulla scrivania e il suo sguardo cadde sull’immagine dell’ufficiale in uniforme bianca che, brandendo la sciabola, galoppava giù per la collina contro un nemico invisibile. Il quadro era racchiuso in una sottile cornice di oro brunito e non faceva un effetto molto migliore di una modesta oleografia.

Fridolin ritornò col certificato di morte nella stanza dove i fidanzati, la mano nella mano, sedevano presso il letto del padre.

Suonò di nuovo il campanello, il dottor Roediger si alzò e andò ad aprire; nel frattempo, lo sguardo fisso a terra, con un filo di voce, Marianne disse: «Ti amo».

Fridolin replicò pronunciando, non senza tenerezza, il nome di Marianne.

Roediger ritornò con una coppia di coniugi anziani. Erano lo zio e la zia di Marianne; si scambiarono alcune parole di circostanza con l’impaccio che la presenza di un uomo morto da poco suole diffondere intorno. La piccola camera sembrò improvvisamente come affollata di gente, Fridolin ebbe l’impressione di essere di troppo, si congedò e venne accompagnato da Roediger, che ritenne di dover dire alcune parole di ringraziamento ed espresse la sua speranza di incontrarlo presto di nuovo.

TERZO.

Davanti al portone Fridolin alzò gli occhi verso la finestra che aveva aperto poco prima; le imposte oscillavano lievemente al vento quasi primaverile.

Coloro che erano rimasti di sopra, i vivi come il morto, gli sembravano ora spettralmente irreali. Aveva l’impressione di essere sfuggito non tanto a un’avventura, quanto piuttosto a un malinconico incantesimo che non era riuscito a soggiogarlo. L’unica conseguenza era una strana avversione a ritornare a casa. La neve per le strade si era sciolta, a destra e a sinistra si vedevano piccoli mucchietti di un bianco sporco, le fiammelle a gas dei lampioni oscillavano; da una chiesa vicina rintoccarono le undici. Fridolin decise di trattenersi ancora un po’ nel tranquillo angolo di un caffè vicino a casa sua, prima di andare a dormire, e s’incamminò attraverso il parco del municipio. Sulle panchine in ombra sedevano qua e là coppie abbracciate, come se fosse già veramente primavera e l’ingannevole aria calda non fosse pregna di pericoli.

Su una panchina stava disteso un uomo piuttosto cencioso, il cappello tirato sugli occhi.