Dietro ai sorrisi e all’ammirazione, che nelle donne è sempre un poco menzognera, egli indovinava l’ignorante pregiudizio di chi si giudica di natura superiore. Ne risultava in lui un piccolo guizzo d’orgoglio, modi più rispettosi, quasi alteri, e, insieme ad una vanità dissimulata da parvenu trattato come pari da principi e principesse, la fierezza dell’uomo che deve alla propria intelligenza una situazione analoga a quella data agli altri dalla nascita.
Si diceva di lui, con leggera sorpresa: «È proprio bene educato!» Quello stupore, mentre lo lusingava, nello stesso tempo lo feriva, poiché indicava l’esistenza di confini sociali.
La gravità voluta e cerimoniosa del pittore imbarazzava alquanto la signora di Guilleroy, che non trovava nulla da dire a quell’uomo così freddo, ritenuto invece così spiritoso.
Dopo aver sistemato la bambina, ella andava a sedersi su una poltrona vicino al disegno cominciato, e si sforzava, secondo quanto raccomandava l’artista, di darsi un’espressione. Verso la metà della quarta seduta, ad un tratto, egli smise di dipingere, e domandò:
«Cosa vi diverte di più nella vita?»
Ella rimase imbarazzata. «Ma, non so! Perché questa domanda?»
«Mi occorre un lampo allegro in quegli occhi, e non l’ho ancora visto.»
«Ebbene, cercate di farmi parlare; amo molto discorrere.»
«Siete allegra?»
«Allegrissima.»
«Discorriamo, dunque, signora.»
Egli aveva pronunciato queste parole con grande gravità; poi, rimettendosi a dipingere, provò qualche argomento, cercando un punto in comune.
Cominciarono con lo scambiarsi osservazioni sulle persone che conoscevano; poi, parlarono di loro stessi, decisamente il più gradevole e il più interessante degli argomenti.
Ritrovandosi il giorno seguente, si sentirono meno in soggezione, e Bertin, vedendosi apprezzato, si mise a raccontare particolari della sua vita d’artista, con quel suo singolare spirito pieno di fantasia.
Abituata allo spirito compassato dei letterati da salotto, ella fu sorpresa da quella vivacità insolita che diceva le cose francamente, ironizzandole, pertanto replicò nel medesimo tono, con garbo sottile e audace.
In otto giorni lo conquistò affascinandolo con il suo buon umore, la sua franchezza e la semplicità. Bertin aveva completamente dimenticato i suoi pregiudizi sulle donne di mondo, e volentieri avrebbe affermato che esse sono solo affascinanti e vivaci. Mentre dipingeva, in piedi davanti alla tela, avanzando e indietreggiando con movimenti di un uomo che combatte, egli dava libero corso ai suoi pensieri più personali, come se avesse conosciuto da molto tempo quella graziosa donna bionda e nera, fatta di sole e di lutto la quale, seduta davanti a lui, rideva ascoltandolo, e gli rispondeva allegramente con una tale animazione da perdere la posa di continuo.
Alcune volte egli si allontanava, chiudeva un occhio, si chinava per meglio osservare la modella nel suo insieme; altre volte le si avvicinava moltissimo per esaminare le minime sfumature del viso, le più sfuggevoli espressioni, per cogliere e rendere ciò che in un volto femminile supera l’apparenza visibile, quella emanazione di bellezza ideale, quell’ombra di mistero, l’intima e temibile grazia caratteristica di ciascuna, che fa sì che sarà amata perdutamente da un uomo e non da un altro.
Un pomeriggio, la bambina andò a mettersi davanti alla tela, e con grande serietà infantile, domandò:
«Di’, è la mamma?»
Egli la prese fra le braccia per baciarla, lusingato da quell’ingenuo omaggio alla somiglianza della sua opera.
Un altro giorno, mentre sembrava tranquillissima, la sentirono ad un tratto dichiarare con una vocetta triste:
«Mamma, mi annoio.»
E il pittore fu talmente commosso da quel primo lamento, che fece portare l’indomani tutto un negozio di giocattoli nello studio.
La piccola Annette, sorpresa, contenta e sempre riflessiva, li mise in ordine con molta cura, per prenderli uno dopo l’altro, secondo il desiderio del momento. Dopo quel regalo si affezionò al pittore, come si affezionano i bambini con quella amicizia spontanea e accarezzante, che li rende così graziosi. La signora di Guilleroy prendeva gusto alle sedute. Essendo in lutto non aveva alcun impegno quell’inverno; dunque mancandole la società e le feste, ella ripose in quello studio tutti i suoi interessi.
Figlia di un ricchissimo e ospitale commerciante parigino, morto da parecchi anni, e di una donna sempre malata, costretta al letto per curare la sua salute sei mesi su dodici, era divenuta, sin da ragazza, una perfetta padrona di casa: sapeva ricevere, sorridere, conversare, giudicare le persone, e capire ciò che andava detto ad ognuno; previdente e adattabile era sempre a suo agio in ogni occasione. Quando le venne presentato come fidanzato il conte di Guilleroy, comprese subito i vantaggi derivanti da quel matrimonio, e li accettò senza alcuna difficoltà, da ragazza riflessiva, perfettamente a conoscenza che non si può avere tutto, e che in ogni situazione si deve valutare il buono e il cattivo. Lanciata in società, ricercata specialmente perché bella e brillante, vide molti uomini farle la corte, senza perdere una sola volta la calma del suo cuore, razionale come la sua mente. Era civetta, ma di una civetteria aggressiva e prudente, che non si spingeva mai troppo oltre. Le piacevano i complimenti, la lusingavano i desideri che ispirava, purché potesse far vedere di ignorarli; e quando si era sentita per tutta una sera in un salotto incensata dai complimenti, dormiva bene, come donna che ha compiuto la propria missione sulla terra. Però questo modo di vivere, che durava ormai da sette anni, senza stancarla, senza apparirle monotono, poiché adorava la continua confusione della vita mondana, le lasciava talvolta il desiderio di avere qualcosa di diverso. Gli uomini del suo ambiente, avvocati, politici, finanzieri, o gentiluomini sfaccendati, la divertivano quasi fossero attori, ma non li prendeva troppo sul serio, benché considerasse la loro posizione, i loro incarichi, i loro titoli.
Il pittore le piacque anzitutto perché rappresentava una novità per lei. Si divertiva molto nel suo studio, rideva di cuore, si sentiva spiritosa, e gli era riconoscente per il diletto che le procuravano quelle sedute. Le piaceva anche perché era bello, forte e celebre; non esiste una donna, anche se non lo ammette, che possa rimanere indifferente alla bellezza fisica e alla fama. Lusingata di essere stata notata da un tale intenditore, disposta a considerarlo a sua volta molto bene, ella aveva scoperto in lui una mente aperta e colta, una delicatezza, una fantasia, un’affascinante intelligenza e un linguaggio colorito, che sembrava illuminare ciò che lei esprimeva.
Una rapida intimità nacque fra loro, e la stretta di mano che si davano, quando lei entrava, sembrava ogni giorno di più unire parte dei loro cuori.
Allora, senza calcolo, senza premeditazione, ella sentì crescere in sé il desiderio naturale di sedurlo, e cedette a quel desiderio. Non aveva previsto né combinato nulla; fu solamente civetta con maggior garbo, istintivamente come sanno esserlo le donne verso un uomo che piace loro più degli altri; mise quindi nel modo di trattare lui, negli sguardi e nei sorrisi, quella seduzione invischiante che diffonde intorno a sé la donna in cui si sveglia il bisogno di essere amata.
Gli diceva parole lusinghiere, che significavano: «Vi trovo simpatico, signore» e lo faceva parlare a lungo, per dimostrargli, ascoltandolo con attenzione, quanto interesse le ispirava. Egli smetteva di dipingere, si sedeva vicino a lei, e in quella sovreccitazione di spirito provocata dall’ebbrezza di piacere, aveva delle vere crisi di poesia, di umorismo o di filosofia, a seconda dei giorni.
Ella si divertiva quando lui era allegro; quando faceva discorsi profondi si sforzava di seguirlo nei suoi ragionamenti, non sempre riuscendovi; e mentre pensava ad altro, pareva ascoltarlo con l’aria di averlo così ben compreso e di godere talmente per quella iniziazione, che egli si esaltava vedendola ascoltare, emozionato per avere scoperto un’anima delicata, aperta e docile, nella quale il pensiero cadeva come un seme.
Il ritratto procedeva e si annunciava bellissimo, essendo il pittore giunto a quello stato emozionale indispensabile per scoprire tutte le caratteristiche del modello, ed esprimerle con l’ardore convinto che costituisce l’ispirazione degli artisti autentici.
Piegato verso di lei, per spiarne ogni movimento del volto, ogni colorazione della carne, ogni ombra della pelle, ogni espressione e ogni trasparenza degli occhi, ogni segreto della sua fisionomia, egli si era impregnato di lei, come una spugna si imbeve di acqua; e, trasferendo sulla tela quella emanazione di fascino conturbante che l’occhio coglieva, e che scendeva, come un’onda, dal suo pensiero al pennello, ne rimaneva stordito, inebriato, come se avesse bevuto la grazia femminile.
Ella sentiva che lui stava innamorandosi, e si divertiva a quel gioco, a quella vittoria sempre più sicura, animandosi anch’essa.
Qualcosa di nuovo dava alla sua esistenza un sapore diverso, svegliava in lei una gioia misteriosa. Quando udiva parlare di lui, il cuore le batteva più veloce, e le veniva il desiderio di dire - uno di quei desideri che non arrivano mai alle labbra -: «È innamorato di me.» Era contenta quando il suo talento veniva lodato, e forse ancor più quando lo consideravano un bell’uomo. Quando da sola pensava a lui, senza persone indiscrete che la disturbassero, immaginava veramente di avere trovato in lui un buon amico, che si sarebbe accontentato sempre di una cordiale stretta di mano.
Spesso, durante le sedute, deposta improvvisamente la tavolozza sullo sgabello, andava a prendere in braccio la piccola Annette e le baciava con tenerezza gli occhi e i capelli, mentre guardava la madre, come per dire: «È voi, non la bambina, che bacio così.»
Ogni tanto, la signora di Guilleroy non portava la bambina, e andava sola. In quei giorni si lavorava meno e si parlava di più.
Un pomeriggio arrivò in ritardo. Faceva freddo. Era la fine di febbraio. Olivier era rientrato di buonora, come faceva adesso tutte le volte che lei doveva venire, poiché sperava sempre che arrivasse in anticipo. Attendendola, camminava in lungo e in largo, fumava, e si domandava, sorpreso di porsi questa domanda per la centesima volta negli ultimi otto giorni: «Sono forse innamorato?» Non lo sapeva, poiché non lo era ancora mai stato veramente. Aveva avuto delle storie intense e anche abbastanza durature, senza mai calcolarle amore. Oggi, era sorpreso per ciò che provava.
Ma l’amava? Senz’altro non ardiva desiderarla poiché non aveva riflettuto sulla possibilità di averla. Fino ad ora, ogni volta che una donna gli era piaciuta, il desiderio lo aveva subito posseduto, facendogli tendere le mani verso di lei, come per cogliere un frutto, senza che il suo pensiero intimo fosse mai stato profondamente turbato dall’assenza o dalla presenza della donna.
Il desiderio di questa l’aveva appena sfiorato e sembrava nascosto dietro un altro sentimento, più possente, ancora oscuro e appena destato.
1 comment