È questa d’altronde una verità indiscutibile e fenomenale: fare la guerra in questo mondo, solo per avere la pace!»
Un domestico annunciò:
«La signora duchessa di Mortemain.»
Fra i due battenti della porta aperta comparve una donna grande e grossa, che entrò con autorità.
Guilleroy, precipitandosi, le baciò la mano e domandò:
«Come state, duchessa?»
Gli altri due uomini la salutarono con familiarità rispettosa perché la duchessa aveva maniere brusche e cordiali.
Vedova del generale di Mortemain, madre di un’unica figlia, sposata al principe di Salia, figlia del marchese di Farandal, di grande origine e regalmente ricca, riceveva nel suo palazzo di rue de Varenne tutte le personalità del mondo intero, che s’incontravano e si scambiavano complimenti a casa sua.
Nessuna altezza passava per Parigi senza pranzare alla sua tavola, e nessun uomo poteva far parlare di sé, senza ch’ella avesse subito il desiderio di conoscerlo. Doveva vederlo, farlo parlare, giudicarlo. E ciò la divertiva molto, movimentava la sua vita, alimentava quella fiamma di curiosità altera e benevola, che ardeva in lei.
Si era appena seduta, quando lo stesso domestico annunciò ad alta voce: «Il signor barone e la signora baronessa di Corbelle.»
Erano giovani, il barone calvo e grasso, la baronessa sottile, elegante, bruna.
Questa coppia aveva una posizione speciale nell’aristocrazia francese, dovuta unicamente alla scelta scrupolosa delle loro relazioni. Di piccola nobiltà, privi di qualità e di spirito, spinti in tutte le loro opinioni da un amore smodato per ciò che è selezionato, giusto e distinto, erano arrivati ad essere considerati agli occhi di molti come il fior fiore dell’alta società, a forza di frequentare unicamente le case principesche, a forza di mostrare sentimenti realisti, religiosi, corretti al massimo grado, a forza di rispettare tutto ciò che deve essere rispettato, di disprezzare tutto ciò che deve essere disprezzato, di non sbagliarsi mai su alcun punto dei dogmi mondani, di non esitare mai su un particolare d’etichetta. La loro opinione formava una specie di codice del perbenismo, e la loro presenza in una casa costituiva un vero titolo di onorabilità.
I Corbelle erano parenti del conte di Guilleroy.
«Ebbene,» disse la duchessa sorpresa, «e vostra moglie?»
«Un istante, un breve istante,» rispose il conte, «c’è una sorpresa, ma essa arriverà.»
Quando la signora di Guilleroy, sposata da un mese, aveva fatto il suo ingresso in società, era stata presentata alla duchessa di Mortemain, che subito l’amò, l’adottò, e la protesse.
In venti anni questa amicizia non era mai stata smentita, e quando la duchessa diceva «piccola mia» si udiva ancora nella sua voce il turbamento di quell’infatuazione improvvisa, ma tenace. In casa sua si era svolto l’incontro tra il pittore e la contessa.
Musadieu si era avvicinato e domandò:
«Duchessa, siete stata a vedere la mostra degli Intemperanti?»
«No, di che si tratta?»
«Un gruppo di artisti nuovi, impressionisti, in stato di ubriachezza. Ce ne sono due molto bravi.»
La grandama mormorò con disprezzo:
«Non mi piacciono gli scherzi di quei signori.»
Autoritaria, burbera, non ammetteva altra opinione che la propria, e fondava questa unicamente sulla consapevolezza della sua posizione sociale, considerava, senza rendersene troppo conto, artisti e scienziati come mercenari intelligenti, incaricati da Dio di divertire la gente di società, e rendere loro dei servigi, ella si basava per i suoi giudizi, solamente sul grado di stupore e di piacere spontaneo, che le procurava la vista di una cosa, la lettura di un libro, o il racconto di una scoperta.
Imponente, robusta, pesante, sanguigna, parlava a voce alta e passava per essere molto distinta, perché niente la turbava, perché osava dire tutto ciò che pensava, e proteggeva il mondo intero, i principi detronizzati con ricevimenti in loro onore, ed anche l’Onnipotente con elargizioni al clero e doni alle chiese.
Musadieu riprese:
«Sapete duchessa che pare abbiano arrestato l’assassino di Marie Lambourg?»
«No, ditemi.»
E prese a raccontarle i particolari. Alto, magrissimo, con un panciotto bianco, e dei piccoli diamanti come bottoni della camicia, parlava senza gesticolare, con un’aria corretta, che gli permetteva di dire le cose più spinte, che costituivano la sua specialità. Molto miope, sembrava, nonostante il pince-nez, non vedere mai nessuno, e quando si sedeva, si sarebbe detto che tutta l’ossatura del suo corpo si curvasse secondo la forma della poltrona. Il busto piegato diveniva cortissimo, si afflosciava come se la colonna vertebrale fosse stata di gomma; le gambe, incrociate una sull’altra, sembravano due nastri arrotolati, e le lunghe braccia trattenute dai braccioli della poltrona, lasciavano penzolare delle mani pallide dalle dita interminabili. I capelli e i baffi tinti ad arte, con ciocche bianche abilmente trascurate, erano un soggetto di scherzi frequenti.
Mentre spiegava alla duchessa, come i gioielli della prostituta assassinata fossero stati regalati dal presunto assassino ad un’altra donna di facili costumi, la porta del salotto venne nuovamente aperta e due donne in abito di pizzo bianco, bionde, in una spuma di merletti, somiglianti come due sorelle di età molto diversa, una un po’ troppo matura, l’altra un po’ troppo giovane, una un po’ troppo robusta, l’altra un po’ troppo sottile, avanzarono, tenendosi per la vita, sorridendo.
Vi furono esclamazioni e applausi. Nessuno, ad eccezione di Olivier Bertin, sapeva del ritorno di Annette di Guilleroy, e l’apparizione della fanciulla al fianco della madre, la quale da lontano sembrava fresca quasi come lei ed anche più bella, perché, pur essendo un fiore troppo aperto, non aveva perduto il suo fulgore, mentre la ragazza appena sbocciata, cominciava solamente ora ad essere graziosa, le fece trovare attraenti tutte e due.
La duchessa, estasiata batteva le mani, ed esclamava:
«Dio! Come sono adorabili e divertenti una vicino all’altra! Guardate, dunque signor di Musadieu, come si somigliano!»
Si fecero i confronti; due pareri si formarono subito. Secondo Musadieu, i Corbelle e il conte di Guilleroy, la contessa e sua figlia si assomigliavano solo per la carnagione, i capelli, ma soprattutto per gli occhi, che erano proprio gli stessi, ugualmente macchiettati di punti neri, simili a minuscole gocce di inchiostro cadute sull’iride azzurra. Ma, tra poco, appena la fanciulla fosse divenuta donna, non si sarebbero quasi più somigliate.
Secondo la duchessa, invece, ed anche per Olivier Bertin, esse erano simili in tutto, e solo la differenza di età le facevano apparire diverse.
Il pittore diceva:
«È cambiata da tre anni! Io non l’avrei riconosciuta, non oso darle del tu.»
La contessa si mise a ridere.
«Ah! questa poi, vorrei proprio vedere che deste del voi ad Annette!»
La fanciulla, la cui futura arroganza s’intravedeva già sotto l’aria timidamente birichina, riprese:
«Sono io che non oso più dare del tu al signor Bertin.»
La madre sorrise.
«Mantieni questa cattiva abitudine, te la permetto. Rifarete presto amicizia.»
Ma Annette scuoteva la testa:
«No, no. Mi darebbe imbarazzo.»
La duchessa, dopo averla baciata, la esaminava con aria intenditrice e con un certo interesse.
«Via, piccola, guardami bene in faccia. Sì, hai proprio lo stesso sguardo di tua madre: non sarai male fra qualche tempo, quando avrai maggior uso di mondo. Devi ingrassare, non molto, ma un poco; sei magrolina.»
«Oh! Non ditele questo.»
«E perché?»
«È così bello essere sottile! Io voglio cercare di dimagrire.»
Ma la signora di Mortemain si irritò, dimenticandosi nell’impeto della sua collera la presenza di una ragazza.
«Ah! Sempre la stessa cosa! Siete sempre rimasta alla moda delle ossa, perché si vestono meglio della carne. Io sono della generazione delle donne grasse! Oggi c’è la generazione delle donne magre! Mi viene da pensare alle vacche d’Egitto. Ah! per bacco, non comprendo gli uomini che hanno l’aria di ammirare le vostre carcasse! Ai tempi nostri, domandavano di meglio.»
Tacque fra i sorrisi generali, poi riprese:
«Guarda la tua mamma, piccola, sta molto bene, è proprio perfetta, imitala.»
Passarono nella sala da pranzo. Appena seduti Musadieu riprese la discussione.
«Io dico che gli uomini devono essere magri perché sono fatti per esercizi che esigono destrezza e agilità, incompatibili con l’obesità. Il caso delle donne è alquanto diverso. Non siete d’accordo, Corbelle?»
Corbelle rimase perplesso, poiché la duchessa era grassa, mentre sua moglie magrissima! Ma la baronessa venne in soccorso del marito, dichiarandosi risolutamente favorevole alla magrezza. L’anno precedente, aveva dovuto lottare contro un inizio di ingrassamento, subito bloccato.
La signora di Guilleroy domandò:
«Ditemi come avete fatto?»
La baronessa spiegò il metodo impiegato da tutte le donne eleganti del momento. Non bisognava bere mangiando. Solamente un’ora dopo il pasto, era consentita una tazza di tè, molto caldo, bollente. Tutte erano riuscite. Citò esempi clamorosi di donne grasse divenute in tre mesi più sottili della lama di un coltello.
La duchessa esasperata esclamò:
«Dio! Che stupidità torturarsi così! Voi non amate nulla, proprio nulla, neppure lo champagne. Sentiamo Bertin, voi che siete artista, cosa ne pensate?»
«Mio Dio, signora, io sono pittore, ricopro con drappeggi, per cui mi è indifferente. Se fossi scultore, mi lamenterei.»
«Ma siete uomo, che cosa preferite?»
«Io?… Un’eleganza un poco nutrita, quella che la mia cuoca chiama un buon pollastrello novello.
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