Tuttavia oltre ogni umano credere più grave gli è che le offese e i torti gli vengano da te e da tuoi. Infatti, a memoria d’uomo tu e i padri tuoi con lui e gli antenati suoi avevate tale amicizia contratta, che fino ad oggi come sacra fu inviolabilmente osservata, conservata e mantenuta, talché non solamente lui e i suoi, ma anche le nazioni barbare del Poitou, di Bretagna, del Mans, e quelle che abitano oltre le isole di Canaria e Isabella, hanno più facil cosa reputato demolire il firmamento e inalzare gli abissi fin sopra le nubi, che rompere l’alleanza vostra, e tanto l’hanno nelle loro imprese temuta, che mai osarono provocare, irritare, e danneggiare l’uno per timore dell’altro.

Ma c’è di più. La fama di questa sacra amicizia tanto ha di sé riempito il cielo che poche genti oggi vivono e abitano per tutto il continente e le isole dell’oceano, che non abbiano ambiziosamente aspirato esser in quella ricevute a patti da voi stessi fissati, perocché l’essere con voi confederati non meno stimarono delle loro stesse terre e dei loro propri domini; di guisa che, a memoria d’uomo, mai non fu né principe, né lega tanto efferata o superba che abbia osato assalire non dico le terre vostre, ma neanche quelle dei vostri confederati, e se pure con inconsulta precipitazione hanno contro essi attentato qualche novità, appena saputo il nome e titolo della vostra alleanza, subitamente dall’impresa desistettero.

Qual furia dunque, rotta ogni alleanza, conculcata ogni amicizia, infranto ogni diritto, ti move ora a invadere da nemico le sue terre, senza essere stato da lui né da’ suoi danneggiato, irritato, provocato?

Dov’è la fede? Dove la legge? Dove la ragione? Dove la umanità? Dove il timor di Dio? Credi tu che questi oltraggi restino celati agli spiriti eterni e a Dio sovrano che è giusto retributore delle nostre imprese? Se così credi t’inganni: ogni azione cadrà sotto il suo giudizio. È forse fatalità di destino e influsso d’astri che vuol metter fine alla tua comodità e tranquillità? Certo tutte le cose hanno loro corso e loro fine e quando sono al sommo pervenute, ruinano in basso poiché non possono a lungo in tale stato dimorare. Ed è la sorte di quelli che non possono con ragione e temperanza le loro fortune e prosperità moderare.

Ma se così era destinato, se dovesse ora la tua fortuna e quiete finire, era necessario che ciò avvenisse recando torto al mio re, quello per il quale tu regnavi? Se la tua casa deve rovinare, occorreva proprio che nella sua rovina cadesse sui focolari di colui che l’aveva adornata? Ciò è tanto fuor dei termini di ragione, tanto aborrente dal senso comune, che appena può esser concepito da umano intelletto, e rimarrà non credibile tra gli stranieri fino a quando le conseguenze accertate e provate dimostrino come nulla sia santo né sacro per coloro che si sono allontanati da Dio e dalla Ragione e per seguire le loro inclinazioni perverse.

Se qualche torto fosse stato fatto da noi ai tuoi sudditi, ai tuoi domini; se avessimo favorito i tuoi nemici; se nelle tue vicende non ti avessimo soccorso; se il tuo nome e l’onor tuo fossero stati da noi feriti, o, per meglio dire, se lo spirito calunniatore che tenta trarti a male, avesse con false apparenze e illusori fantasmi messo nella tua mente che avessimo contro te operato cose non degne della nostra antica amicizia, tu dovevi prima investigare la verità, poi ammonirci, e noi ti avremmo dato soddisfazioni tali che avresti avuto occasione d’essere contento. Ma, oh eterno Iddio! che impresa è codesta tua? Vorresti tu come perfido tiranno saccheggiare e rovinare il reame del mio Signore? L’hai tu trovato tanto ignavo e stolto che non volesse, o tanto privo di genti, di danaro, di senno e d’arte bellica, che non potesse resistere ai tuoi iniqui assalti?

Dipàrtiti ora di qua, ed entro il giorno di domani ritorna nelle tue terre senza commettere nella ritirata, né tumulti né violenze, e paga mille bisanti d’oro pei danni recati al nostro territorio. La metà consegnarai domani, l’altra metà pagherai agli idi del maggio prossimo venturo, lasciandoci intanto per ostaggio i duchi di Giramola, di Culobasso e di Minutaglia insieme col principe Grattina e il visconte delle Piattole”.

 

CAPITOLO XXXII.

 

Come qualmente Grangola, per ottener pace, fa restituire le focaccie.

 

Quando il buon Galletto si tacque, Picrocolo, a tutti i suoi argomenti altro non rispose se non: “Veniteli a prendere, veniteli a prendere. Hanno bei coglioni e molli: v’ammaniranno focaccia”.

Tornato Galletto a Grangola, lo trovò in ginocchio, chino, a capo scoperto, in fondo alla sua camera pregando Dio che volesse calmare la collera di Picrocolo e ricondurlo alla ragione evitando si ricorresse alla forza. Quando vide il buon uomo di ritorno, gli domandò:

- Ah, amico mio, amico mio, che notizie recate?

- Va tutto alla rovescia, disse Galletto, quell’uomo è forsennato e abbandonato da Dio.

- Ma insomma, amico mio, disse Grangola, con qual ragione giustifica i suoi eccessi?

- Nessuna ragione m’ha esposto; solo disse con collera qualche parola sulle focaccie. Non so se sia stato fatto oltraggio ai suoi focacceri.

- Voglio ben chiarire la cosa, disse Grangola, prima di deliberare il da farsi.

Allora chiese informazioni sulla faccenda e trovò per vero che erano state tolte delle focaccie alle genti di Picrocolo e che Marchetto aveva ricevuto una randellata sul capo, tuttavia che il tutto era stato ben pagato e che Marchetto per primo aveva ferito Forgier con una frustata alle gambe. Il consiglio unanime fu di parere si corresse alla difesa con tutte le forze. Ciononostante Grangola disse:

- Troppo m’incresce mover guerra; e poiché non si tratta che di qualche focaccia procurerò dargli soddisfazione.

S’informò adunque quante focaccie erano state prese e sentendo quattro o cinque dozzine, comandò se ne fabbricassero cinque carrettate in quella notte istessa, e una carrettata fosse tutta di focaccie confezionate con bel burro, bel tuorlo d’ovo, bel zafferano e belle spezie, questa per Marchetto, al quale, come risarcimento, dava inoltre settecentomila e tre filippi per pagare i barbieri che l’avevano curato, e come soprappiù, la masseria della Pomardière franca da gravami per lui e i suoi a perpetuità. Per condurre il tutto fu inviato Galletto il quale per via fece cogliere presso la Saulsaye molte belle canne e ne fece adornare carrette e carrettieri, egli stesso ne prese una in mano volendo mostrare così, che solo pace cercavano e andavano a chiederla.

Giunti alla porta chiesero di parlare a Picrocolo da parte di Grangola. Picrocolo non volle né lasciarli entrare, né andare a parlare con loro; mandò a dire che era occupato, ma che esponessero ciò che volevano al capitano Toccaleone che stava affustando alcuni pezzi sulle mura.

Il bravo Galletto così gli disse:

“Signore, per metter fine a tutto questo conftitto e togliere ogni pretesto di non tornare alla primitiva alleanza, siamo venuti a restituirvi le focaccie onde sorse la controversia. Cinque dozzine ne presero le nostre genti e furono ben pagate. Ma noi tanto amiamo la pace, che ve ne restituiamo cinque carrette, delle quali questa sarà per Marchetto che più si duole. E di più, per soddisfarlo interamente, ecco settecentomila e tre filippi che gli consegno, e, per gl’interessi che potesse pretendere, gli cedo la masseria della Pomardière in possesso a perpetuità per lui e suoi, franca da gravami; ecco qui il contratto della transazione. E, in nome di Dio, viviamo d’ora innanzi in pace e voi ritiratevi nelle vostre terre lietamente, lasciando libera questa città alla quale non avete alcun diritto, come riconoscerete. E amici come prima”.

Toccaleone riferì tutto a Picrocolo ed eccitò vieppiù l’animo suo dicendogli:

- Hanno una bella paura quei tangheri! Quel povero beone di Grangola se la fa addosso, per Dio! A vuotar fiaschi, a quello sì ch’è bravo, ma guerreggiare non è affar suo. Io sono di avviso che ci teniamo focaccie e filippi, e quanto al resto affrettiamoci a compiere qui le fortificazioni e a proseguire la nostra impresa. Ma pensano forse d’aver a fare con un minchione volendovi rimpinzar di focaccie? Ecco l’effetto del buon trattamento e della grande famigliarità colla quale li trattavate prima: vi spregiano: ungi villano ed ei ti punge; pungi villano ed egli ti unge!

- Su, su, su, disse Picrocolo, per San Giacomo! sapranno chi sono! Fate ciò che avete detto.

- D’una cosa, disse Toccaleone, voglio avvertirvi: stiamo maluccio a vettovaglie, e magramente provvisti di munizioni da bocca. Se Grangola ci assediasse andrei senz’altro a farmi arrancar tutti i denti, meno tre, a me e alle vostre genti; con tre n’avremmo d’avanzo pei viveri che abbiamo.

- Di viveri ce n’è anche troppo, disse Picrocolo; siamo noi qui per mangiare o per battagliare?

- Per battagliare, per battagliare, rispose Toccaleone; ma dalla panza vien la danza, ed ove fame sta, la forza se ne va.

- Eh, quante ciancie! disse Picrocolo. Impadronitevi di ciò che hanno portato.

Presero dunque danaro, focaccie, buoi e carrette e rinviarono gli uomini senz’altro dire se non che d’allora in poi stessero a rispettosa distanza, per una buona ragione, che avrebbero detto loro l’indomani… E quelli, a mani vuote, tornarono a Grangola e gli raccontarono tutto aggiungendo non rimanere speranza alcuna d’indurre a pace il nemico se non con fiera e forte guerra.

 

CAPITOLO XXXIII.

 

Come qualmente certi ministri di Picrocolo con avventato consiglio lo trassero agli estremi rischi.

 

Prese le focaccie, comparvero davanti a Picrocolo il duca di Minutaglia, il conte Spadaccino, e il capitano Merdaglia, i quali gli dissero:

- Sire, oggi noi vi rendiamo il più avventurato e cavalleresco principe che vivesse mai, dalla morte di Alessandro il Macedone.

- Tenete, tenete il cappello in capo, disse Picrocolo.

- Grazie, risposero essi. Sire, noi siamo qui a compiere il nostro dovere. E il piano è questo:

“Voi lascierete qui di guarnigione qualche capitano con una piccola banda per guardar la piazza che ci sembra abbastanza forte sia per natura, sia per le fortificazioni compiute secondo il vostro disegno. Voi dividerete l’esercito in due parti come vi parrà meglio. L’una piomberà addosso a Grangola e alle sue genti che al primo scontro resteranno facilmente sconfitti. Allora avrete danaro a iosa, ché il villanzone ce n’ha della moneta; villanzone, diciamo, perocché un veramente nobile principe non ha mai un soldo, tesoreggiare è da villano. L’altra parte dell’esercito intanto volgerà verso Aunis, Saintonge, l’Angoumois, la Guascogna, il Perigord, Medoc e le Lande. Senza incontrare resistenza prenderanno città, castelli e fortezze.