E perché mai dunque si scacciano i monaci dalle buone compagnie, chiamandoli guastafeste, come le api scacciano i fuchi dai loro alveari? Ignavum fucos pecus, dice Marone, a praesepibus arcent.
- Nulla è più vero, rispose Gargantua, che tonaca e cappuccio attraggono gli obbrobri, le ingiurie e le maledizioni della gente così come il vento detto Cecias attrae le nubi. La ragione perentoria è questa; che essi mangiano la merda del mondo, cioè i peccati, e come mangiamerda son cacciati nelle loro latrine, vale a dire conventi ed abbazie, separati dal commercio delle città come appunto le latrine d’una casa. Ma se comprendete perché una scimmia in una famiglia è sempre canzonata e stuzzicata, comprenderete anche perché i monaci son da tutti sfuggiti e dai vecchi e dai giovani. La scimmia non fa guardia alla casa come il cane, non tira l’aratro come il bue, non produce né latte, né lana come la pecora, non porta carichi come il cavallo. La scimmia non fa che scagazzare e guastare dappertutto ed è questa la ragione perché tutti la motteggiano e bastonano. Similmente un monaco (intendo quelli oziosi) non lavora come il contadino, non fa guardia alla patria come il guerriero, non guarisce le malattie come il medico, non predica né illumina la gente come il dottore evangelico e l’educatore, non arreca le cose comode e necessarie alla repubblica come il mercante ed è questa la ragione perché tutti gli dan la baia e li aborrono.
- Ma, veramente, disse Grangola, pregano Dio per noi.
- Nulla è men vero, rispose Gargantua; non fanno, invece che molestare tutto il vicinato sbattacchiando le loro campane.
- Veramente, disse il monaco, una messa, un mattutino, un vespro ben scampanati sono mezzo detti.
- Borbottano a tutto spiano leggende e salmi che manco intendono, snocciolano giù paternostri lardellati di lunghe serie di Ave Maria, e senza pensarvi né comprenderli e ciò io chiamo gabbadio, non orazione. Ma li aiuti Dio se veramente pregano per noi e non piuttosto per paura di perdere la pagnotta e la loro zuppa grassa. Tutti i veri cristiani d’ogni condizione in tutti i paesi e in ogni tempo pregano Dio, e lo Spirito prega e intercede per essi e Dio li accoglie in grazia. Così fa ora il nostro buon Frate Gianni: e perciò ciascuno lo desidera in sua compagnia. Non è punto bigotto, non è sbrandellato, è onesto, allegro, risoluto, buon compagnone, coltiva la terra, difende gli oppressi, conforta gli afflitti, soccorre i malati, fa buona guardia al vigneto dell’abbazia.
- Faccio ben di più, disse il monaco: poiché sbrigando i nostri mattutini e anniversari, in coro, fabbrico corde di balestra, pulisco freccie e quadrelli, intesso reti e sacchi da prender conigli. Mai non sto ozioso. Ma orsù da bere, da bere orsù! Portate la frutta: castagne del bosco d’Estrocz. Con buon vino novello eccovi promossi compositori di scorreggie. Ma voi non siete ancora in cimberli! Per Dio io bevo a tutti i guadi come un cavallo di promotore!
- Frate Gianni, via quella gocciola che vi pende dal naso.
- Ah, Ah! disse il monaco, l’acqua al naso! Non sarò mica in pericolo d’annegare!
- No, No.
- Quare?
- Quia
Essa non v’entra, ma ben n’esce fuore
Ché il naso è antidotato di liquore.
Oh, se i tuoi stivali d’inverno, amico mio, fossero di tal cuoio ben potresti arditamente pescar l’ostriche, ché mai l’acqua non vi filtrerebbe.
- Perché mai, disse Gargantua, Frate Gianni ha un sì bel naso?
- Perché, rispose Grangola, così ha voluto Iddio, il quale ci fa secondo il suo divino volere nella forma ed al fine che crede come fa il vasaio de’ suoi vasi.
- Perché, disse Ponocrate, andò tra i primi alla fiera dei nasi e se ne prese uno de’ più belli e grandi.
-Trotta, trotta! disse il monaco. Secondo la vera filosofia monastica, la ragione è questa: la mia balia aveva le tette tenerine, e, poppando, il mio naso v’affondava come fosse in burro e là s’elevava e cresceva come pasta lievitata. Le balie invece che han le tette dure fanno i nasi camusi. Ma orsù; allegria! Ad formam nasi cognoscitur ad te levavi… No, non mangio mai marmellata. Paggio, in Bevaria!… Item caldarroste!…
CAPITOLO XLI
Come qualmente il monaco fece dormire Gargantua e delle sue ore in breviario.
Finita la cena si consultarono su ciò che premeva e deliberarono di uscire circa la mezzanotte in pattuglia per sapere se i nemici vigilassero e facessero buona guardia; intanto, avrebbero riposato un po’ per essere poi più freschi. Ma Gargantua non poteva dormire qualunque posizione prendesse, onde il monaco gli disse:
- Io non dormo mai così saporitamente come quando ascolto la predica e prego Dio. Cominciamo subito io e voi i sette salmi e vedrete se non saremo tosto addormentati.
Piacque assai la trovata a Gargantua ed ecco che incominciarono il primo salmo. Arrivati a Beati quorum erano entrambi addormentati. Ma il monaco non mancò di svegliarsi avanti mezzanotte, tanto era avvezzo ai mattutini claustrali. E svegliato lui, svegliò tutti gli altri cantando a gran voce la canzone:
Ho, Regnault, reveille, toi, veille;
O Regnault, reveille-toi.
Quando tutti furono svegli, disse:
- Signori miei, dicono che mattutino si comincia col tossire e cena col bere. Facciamo una leggera inversione; cominciamo ora col bere, tossiremo poi a tutta forza stassera al principiar della cena.
- Bere così, disse Gargantua, subito dopo il sonno, non è buon uso in dieta di medicina. Occorre prima purgar lo stomaco da superfluità ed escrementi.
- Ben medicamente sentenziato! disse il monaco. Ma cento diavoli mi saltino addosso se non hanno più lunga vita gli ubriaconi che i medici! Io ho fatto colla mia sete un patto: che sempre si corichi con me; e a ciò provvedo durante il giorno; così poi con me si leva. Purgatevi pure finché vi piace, io prenderò il mio aperitivo.
- Che aperitivo intendete? disse Gargantua.
- Il breviario, disse il monaco, poiché come i falconieri prima di dar mangiare ai falchi danno loro a tirare qualche piede di pollo per purgargli il cervello dagli umori flemmatici e stuzzicarne l’appetito, così con questo mio allegro breviarietto mattutino mi purgo tutto il polmone ed eccomi pronto a bere.
- Secondo quale usanza, disse Gargantua, recitate queste belle ore?
- All’usanza di Fècamp, disse il monaco, con tre salmi e tre letture, o niente del tutto se non ne ho voglia. Mai non mi sono assoggettato alle ore; le ore sono fatte per comodità dell’uomo non l’uomo per le ore. Pertanto io faccio delle mie come delle staffe: le accorcio o le allungo quando meglio mi pare: brevis oratio penetrat coelos, longa potatio evacuat cyphos. Dove si trova ciò?
- In fede mia, disse Ponocrate, non lo so, mio coglioncello, ma tu vali troppo!…
- In ciò, disse il monaco, v’assomiglio.
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