Ma venite, apotemus.

Si prepararono carbonate brasate in quantità e belle zuppe e il monaco bevve a suo piacere. Alcuni gli tennero compagnia, altri si astennero. Poi ciascuno cominciò ad armarsi e a prepararsi e armarono il monaco, suo malgrado ché egli altr’arme non voleva che la sua tonaca davanti allo stomaco e l’asta della croce in pugno. Tuttavia fu armato come vollero da capo a piedi e montato sopra un buon corsiere napolitano, e una grossa durlindana al fianco. E così Gargantua, Ponocrate, Ginnasta, Eudemone e venticinque de’ più coraggiosi della casa di Grangola s’armarono di tutto punto, colla lancia in pugno, a cavallo come San Giorgio e ciascuno con un archibugere in groppa.

 

CAPITOLO XLII.

 

Come qualmente il monaco infonde coraggio ai compagni e come rimane appeso a un albero.

 

Se ne vanno i nobili campioni a lor ventura ben deliberati di sapere come convenga preparar lo scontro e da quali pericoli salvaguardarsi il giorno della grande e orribile battaglia. E il monaco gl’incoraggiava dicendo:

- Niente paura, niente esitazione, ragazzi, io vi condurrò con sicurezza. Dio e San Benedetto siano con noi! Se avessi forza come ho fegato, per la morte di un cane, ve li spennerei come anitroccoli. Io nulla temo fuorché l’artiglieria. Conosco tuttavia un’orazioncina insegnatami dal sottosagrestano della nostra abbazia, la quale garantisce le persone da ogni specie di cannonate; ma non mi servirà a nulla perché non ci ho fede. Il bastone della croce invece farà diavolerie. Guai perdio, se alcuno di voi farà l’imboscato! Do l’anima al diavolo se non lo fratifico in vece mia e non l’incapestro colla mia tonaca; la mia tonaca è una medicina contro la codardia. Avete inteso parlare del levriero del signore di Meurles che non valeva un soldo per la caccia? Gli misi la mia tonaca al collo e corpo di Dio, non mancava più né lepre né volpe che incontrasse sulla sua strada; ma, quel ch’è meglio, ti montava tutte le cagne del territorio, laddove prima era sfinito e nel numero de frigidis et maleficiatis.

Mentre il monaco si scalmanava a dire queste parole passando sotto un noce sulla strada del Saliceto, andò a infilzare la visiera dell’elmo al brocco d’un grosso ramo di quell’albero. E avendo tuttavia dato di sprone, il cavallo, che temeva il solletico, diè un balzo in avanti e gli sgusciò via di sotto, mentre il monaco, che per staccar la visiera dal brocco, aveva lasciato le redini e portate le mani al ramo, rimase penzoloni dal noce gridando: Aiuto! All’assassino! e protestando che c’era tradimento.

Eudemone fu il primo a vederlo e chiamò Gargantua:

- Sire, venite, venite a vedere Assalonne spenzolante!

Gargantua sopravvenuto considerò il contegno del monaco e il modo ond’era appeso ed osservò ad Eudemone:

- La comparazione con Assalonne non calza, avvegna ché Assalonne rimase appeso per la chioma laddove il nostro frate ha la testa rasa ed è appiccicato per le orecchie.

- Aiutatemi in nome del diavolo! gridava il monaco. Non è questo il momento di cianciare. Voi mi somigliate a quei predicatori decretalisti i quali insegnano che chiunque veda il suo prossimo in pericolo di morte, debba sotto pena di scomunica trisulca, invece che aiutarlo, fargli un bel sermoncino sul dovere di confessarsi e di mettersi in istato di grazia. Quando adunque io li vedrò caduti nel fiume e lì lì per annegare, invece d’accorrere a dare una mano terrò loro un bello e lungo sermoncino de contemptu mundi et fuga saeculi e quando saran morti stecchiti, allora andrò a pescarli.

- Non muoverti, anima mia, disse Ginnasta, ora vengo a te, poiché tu sei un gentile monachetto:

 

Monachus in claustro

Non valet ova duo;

Sed quando est extra,

Bene valet triginta.

 

D’impiccati n’ho visto più di cinquecento, ma non ne vidi mai alcuno che spenzolasse così garbatamente e se ci avessi tanto garbo anch’io, vorrei spenzolare così tutta la vita.

- Avete finito ancora di predicare, figli di cani? gridò il frate. Aiutatemi in nome di Dio, se in nome di quell’Altro non volete. Giuro per l’abito che porto, che ve ne pentirete tempore et loco praelibatis.

Allora Ginnasta smontò di sella e arrampicatosi sul noce, con una mano sollevò il monaco per le ascelle, coll’altra staccò la visiera dal brocco e lo lasciò cadere a terra, e lui dietro del pari.

Sceso che fu il monaco, sbarazzatosi di tutta l’armatura la scaraventò pezzo per pezzo in mezzo ai campi e ripresa l’asta della croce rimontò sul suo cavallo, che Eudemone gli aveva fermato nella fuga.

E via proseguono allegramente per la strada del Saliceto.

 

CAPITOLO XLIII.

 

Come qualmente Gargantua incontrò la pattuglia di Picrocolo e come il monaco uccise il capitano Tiravanti e poi rimase prigioniero tra i nemici.

 

Picrocolo al racconto degli scampati alla rotta, quando Trippetto fu strippato, montò in collera sentendo che i diavoli s’erano avventati sulle sue genti e tenne consiglio tutta notte. Corvitello e Toccaleone conclusero la sua possanza esser così grande da poter sbaragliare tutti i diavoli d’inferno se fossero venuti. Picrocolo non ne fu sicuro del tutto, ma un pochino sì, n’era persuaso.

Pertanto mandò a perlustrare il paese, sotto il comando del conte Tiravanti, milleseicento cavalieri in pattuglia tutti montati su cavalli leggeri, tutti quanti bene aspersi d’acqua benedetta e ciascuno con una stola al collo come insegna perché, se per caso, non si sa mai, avessero incontrato i diavoli, la virtù di quell’acqua gregoriana e delle stole li avesse fatti sparire e svanire. Corsero dunque fino presso Vauguyon e Maladerye, ma non trovarono alcuno a cui rivolgere la parola, onde ripassarono per di sopra e nel rifugio del tugurio da pastori, presso Couidray trovarono i cinque pellegrini e legatili li portarono con sé schernendoli come spie, nonostanti le loro esclamazioni, preghiere e proteste. Gargantua li sentì avvicinarsi mentre discendevano di là verso Seuillè e disse alle sue genti:

- All’erta, compagni, c’è il nemico e sono dieci volte più di noi. Dobbiamo affrontarli?

- E che diavolo dobbiamo fare adunque? disse il frate. Stimate voi gli uomini dal numero o non piuttosto dalle virtù e dall’ardimento?

Poi gridò:

- Addosso, diavoli, addosso!

Sentendo ciò i nemici e pensando fossero diavoli per davvero, si diedero a fuggire a briglia sciolta, eccetto Tiravanti, il quale messa la lancia in resta andò a colpire a tutta forza il monaco in mezzo al petto; ma incontrando la tonaca la punta di ferro si piegò come se voi, con una candeletta andaste a colpire un’incudine. Allora il monaco colla sua croce gli diede una sì rude botta tra capo e collo, su l’osso acromione, che lo stordì e, perduti sensi e movimento, cadde ai piedi del cavallo. Vedendo il frate la stola che quegli portava a mo’ di sciarpa, disse a Gargantua:

- Costoro non son che preti: un prete non è che l’unghia di un monaco. Io son monaco perfetto per San Giovanni, e ve li ammazzerò come mosche.

Poi di gran galoppo si diede ad inseguirli e raggiunti gli ultimi li abbatteva come segala picchiando a dritto ed a rovescio.

Ginnasta chiese subito a Gargantua se dovevano inseguirli. Ma Gargantua rispose

- Nient’affatto; secondo la buona arte militare, non bisogna mai spingere il nemico alla disperazione perché ridotti agli estremi gli si moltiplicano le forze e gli s’accresce il coraggio che già veniva meno e mancava.

Nulla val meglio, con gente sbalordita e sfinita, che lasciarli privi d’alcuna speranza di salvezza.

Quante vittorie sono state strappate dai vinti ai vincitori quando questi senza moderazione tentarono di metter tutto a sacco e distruggere totalmente i nemici senza voler lasciarne un solo per diffondere le notizie.

A nemico che fugge spalancate tutte le porte e strade e fate loro un ponte d’oro perché scappino.

- Ma, veramente, disse Ginnasta, hanno il monaco.

- Hanno il monaco? disse Gargantua. Sull’onor mio sarà a loro danno. Ma per essere pronti ad ogni accidente non ritiriamoci ancora; attendiamo qui in silenzio, poiché penso di conoscere già abbastanza la natura dei nemici.