Se alcuno diceva: giochiamo! tutti giocavano. Se alcuno diceva: andiamo pei campi a divertirci! tutti vi andavano. Se dovevano cacciare al volo o coi cani, le dame montate sulle loro chinee o sul loro baldo palafreno bardato recavano ciascuna sul pugno graziosamente inguantato o uno sparviero, o un lanieretto, o uno smeriglio; gli uomini portavano gli altri uccelli.

Erano tanto nobilmente istruiti che non si trovava fra loro né alcuno, né alcuna che non sapesse leggere, scrivere, cantare, suonare stromenti armoniosi, parlare cinque o sei lingue e comporre in ciascuna sia versi che prosa. Mai non furono visti cavalieri sì prodi e galanti e destri, a piedi e a cavallo, sì vigorosi, sì rapidi, sì esperti di tutte le armi. Mai non furono viste dame tanto pulite, tanto graziose, meno noiose e più valenti a ogni lavoro di mano, d’ago, ad ogni arte muliebre onesta e libera. Per questa ragione quando era venuto il tempo che alcuno volesse uscire dall’abbazia, o per richiesta dei parenti, o per altre cause, conduceva con sé una delle dame, quella che l’aveva accetto come suo devoto e si sposavano. E se erano vissuti a Teleme in affettuoso rispetto e amicizia, anche meglio la conservavano nel matrimonio e tanto si amavano alla fine de’ lor giorni quanto il primo delle nozze.

Ma non voglio dimenticare di trascrivervi un enigma che fu trovato nei fondamenti dell’abbazia inciso sopra una grande lastra di bronzo. Si esprimeva così come segue:

 

CAPITOLO LVIII.

 

Enigma trovato nei fondamenti dell’abbazia dei Telemiti.

 

Poveri umani, che felicità aspettate,

In alto i cuori, le mie parole ascoltate.

Se è permesso di credere fermamente

Che dagli astri del ciel l’umana mente

Possa congetturar cose venture,

O se è possibil per divinazione

Aver conoscenza della sorte futura,

Tanto da poter annunciare con discorso certo

Il destino e il corso degli anni lontani,

Io fo sapere a chi lo vuole intendere

Che il prossimo inverno senza oltre attendere

E anche prima, qui, dove siamo,

Uscirà una maniera d’uomini

Stanchi di riposo, insofferenti di quiete

Che andranno francamente, di pieno giorno

A subornare gente d’ogni qualità

Incitandola alle fazioni e al parteggiare.

E chi presterà loro fede e ascolto,

(Checché ne segua o costi)

Indurranno a liti manifeste:

Persino gli amici tra loro e i prossimi parenti:

Il figlio, ardito, non temerà lo scandalo

Di schierarsi contro il suo stesso padre;

Anche i grandi di nobile lignaggio

Si vedranno assaliti dai loro sudditi

E il dovere d’onore e riverenza

Non terrà più conto di distinzioni e differenze di grado,

Poiché diranno che ciascuno a sua volta

Deve salire in alto e poi discendere.

E per questa vicenda vi saranno tante mischie,

Tante discordie e andate e venute,

Che nessuna istoria, dove sono le grandi meraviglie,

Ha raccontato simili commovimenti.

Allora si vedranno molti uomini valorosi

Per stimolo e calor di giovinezza,

Per troppo abbandonarsi alle fervide brame,

Morire in fiore e vivere ben poco.

E nessuno potrà lasciar l’impresa,

Una volta che l’abbia presa a cuore,

Senza aver riempito, per dispute e contese,

Di grida il cielo, di passi la terra.

Allora uomini senza fede non avranno

Minore autorità di quelli che professano verità,

Poiché tutti seguiranno l’avviso e le passioni

Dell’ignorante e sciocca moltitudine,

E il più balordo sarà assunto giudice.

Oh dannoso e penoso diluvio!

Diluvio, dico, a buon diritto,

Poiché questo travaglio non cesserà

E non ne sarà liberata la terra.

Fintanto che non sgorghino rapide

Acque improvvise, onde anche i più tardi

Nel combattere, saranno colti e inzuppati;

E giustamente, giacché il loro cuore,

Assorto in questo combattimento, non avrà risparmiato

Neanche i greggi delle bestie innocue;

E i nervi loro e le loro vili budelle

Saranno usate non già pel sacrificio degli Dei,

Ma pei comuni servigi dei mortali.

Ora io vi lascio pensare intanto

Come procederà tutto questo parapiglia

E qual riposo, in lotta sì profonda,

Avrà il corpo della macchina rotonda.

I più fortunati, quelli che più la terranno,

Meno degli altri si asterranno dal guastarla e rovinarla

E in mille modi procureranno

Di asservirsela e tenerla prigioniera

In luogo tale, che la poveretta, disfatta,

Non troverà riparo se non da colui che l’ha fatta.

E, ciò ch’è peggio, nella sua disgrazia

Il chiaro sole, anche prima di giungere all’occaso

Lascierà cadere l’oscurità su lei

Più che di ecclissi o di notte naturale,

Onde perderà a un tratto e libertà

E il favore e la luce dell’alto cielo,

O per lo meno resterà abbandonata.

Ma prima di questa rovina

Essa avrà subito a lungo, ostensibilmente,

Un violento e sì grande sussulto

Che non più agitato fu l’Etna quando

Fu lanciato sopra un figlio di Titano

Né più improvviso dev’essere stimato

Il movimento che fece Inarime

Quando Tifeo sì forte s’irritò

Che i monti in mar precipitò.

Così sarà in breve ridotta

In triste stato e sì spesso cambiata,

Che anche quelli che la tenevano,

La lasceranno occupare ai sopraggiunti

S’avvicinerà allora il momento buono e propizio

Di por fine a sì lungo esercizio,

Che le grandi acque di che udiste parlare,

Fanno sì che ciascuno pensi alla ritirata.

Ma tuttavia prima di partirsi

Si potrà veder nell’aria apertamente

L’aspro calor di una gran fiamma accesa

Per metter fine all’acque ed all’impresa

Al termine di tutte queste peripezie

Resterà che gli eletti, lietamente ristorati

Di tutti i beni e di celeste manna,

Saranno per giunta arricchiti d’onesta ricompensa,

E gli altri alla fine saranno immiseriti.

Così è giusto sia, affinché cessato il travaglio

Tocchi a ciascuno la sua sorte predestinata

Tale era l’accordo. Oh quanto è da onorare

Colui che fino all’ultimo poté perseverare!

 

Finita la lettura del documento, Gargantua sospirò profondamente e disse ai presenti:

- Non è da ora che i seguaci della credenza evangelica sono perseguitati; ma ben felice colui che non sarà scandalizzato e tenderà sempre al fine che Dio, mediante il suo caro Figliuolo, ci ha prefisso, senza essere distratto, né deviato da passioni carnali.

- Che cosa pensate voi nel vostro intelletto, disse il monaco, che indichi e significhi questo enigma?

- Che significa? disse Gargantua: il corso e il trionfo della verità divina.

- Per San Goderano! disse iI monaco, la mia interpretazione non corrisponde alla vostra: questo è lo stile di Merlino il Profeta. Trovateci le allegorie e le gravi significazioni che vi piaccia e scervellatevi voi e tutto il mondo fin che vorrete. Per mio conto non ci vedo altro senso che una descrizione, sotto oscure parole, del gioco del pallone.

I subornati non sono che i giocatori delle partite che sono generalmente amici; dopo fatte le due caccie esce dal gioco colui che c’era e vi entra un altro; colui che primo dice se la palla è sopra o sotto la corda è creduto. Le acque sono il sudore, le corde delle rachette sono fatte di budelle di pecora o di capra; la macchina rotonda è la palla o pallone. Dopo il gioco si ristorano davanti a un bel fuoco, si cambiano la camicia e si banchetta volentieri; ma più allegramente quelli che hanno vinto.

E allegria!

 

FINE DEL VOLUME PRIMO

 

PANTAGRUELE

RE DEI DIPSODI

RESTITUITO AL NATURALE

COI SUOI FATTI E PRODEZZE SPAVENTEVOLI

COMPOSTI DAL FU SIGNOR ALCOFRIBAS

ASTRATTORE Dl QUINTA ESSENZA

 

DECINA

 

DI MASTRO UGO SALEL ALL’AUTORE DI QUESTO LIBRO

 

Se uno scrittore in alto pregio sale,

Per mescolare l’utile al diletto,

Pregiato sarà tu senza l’eguale

Stanne sicuro, per lo tuo intelletto,

Nel libro tuo, sotto piacente aspetto,

L’utilità sì ben descritta appare,

Che di veder Democrito mi pare.

Ridente ai casi della vita umana.

Prosegui or dunque, e avrai lodi preclare,

Se non quaggiù, nella vita soprana.

 

VIVANO TUTTI I BUONI PANTAGRUELISTI

 

PROLOGO DELL’AUTORE

 

O lustrissimi e molto valorosi campioni, gentiluomini o no, che volentieri vi date a ogni sorta d’oneste gentilezze, voi avete or non è molto, visto, letto e conosciuto Le Grandi e inestimabili Croniche dell’enorme gigante Gargantua e, da veri fedeli le avete bravamente credute come testo di Bibbia o di santo Vangelo; e più volte vi ci siete spassati con le onorevoli dame e damigelle facendone loro belli e lunghi racconti quando vi mancavano altri argomenti. Benissimo! Per ciò siete degni di gran lode e memoria sempiterna. E io vorrei che ciascuno lasciasse il suo lavoro, trascurasse il mestiere e dimenticasse gli affari per dedicarvisi totalmente e senza che il suo spirito fosse altrove attratto o distratto, fino a tanto che le avesse imparate a memoria affinché, se per avventura l’arte della stampa cessasse e tutti i libri perissero, ciascuno in avvenire potrebbe insegnarle chiaramente ai figlioli, e affidarle ai successori e superstiti quasi facendole passare da mano a mano come la Cabala religiosa. Ed è in ciò maggior frutto che per avventura non pensi un branco di grossi fanfaroni tutti croste, che in questi lievi piacevolezze intendono assai meno di Racleto nelle Pandette.

Ho conosciuto alti e potenti signori in buon numero, che andando a caccia grossa, o per anitre, se avveniva che la bestia non si scovasse o che il falcone si desse a librarsi, vedendo la preda guadagnare spazio a ogni colpo d’ala, restavano ben tristi come potete capire: ma per non abbattersi cercavano rifugio e conforto ricordando le inestimabili geste del detto Gargantua.

Vi son altri pel mondo (non conto frottole) i quali, grandemente afflitti dal mal di denti, dopo aver sperperato tutte le loro sostanze in medici senza alcun profitto, rimedio speditissimo hanno trovato mettendo le dette Croniche tra due bei pannilini ben caldi e applicandole sulla parte malata non senza senapizzarle un pochino con polvere d’oribus.

Ma che dirò dei poveri impestati e gottosi? Oh quante volte li abbiam visti unti e bisunti d’unguenti, col viso lustro come la serratura della dispensa, che i denti gli ballavano come tasti d’organo o di spinetta quando la mano vi scorre su, e il gozzo gli schiumava come al porco selvatico quando i veltri lo acculano alle tele! E che facevano essi allora? Altra consolazione non aveano che udir leggere qualche pagina del detto libro. E n’abbiam visto taluni votar l’anima a centomila vecchi diavoli se non avessero provato sollievo manifesto al martirio della cura, colla lettura del detto libro né piú né meno delle partorienti, che gongolano a legger loro la vita di Santa Margherita.

Ma ci dite niente, ohe? Trovatemi un altro libro di qual si sia lingua, o facoltà, o scienza, che vanti tali virtú, proprietà e prerogative e m’impegno di pagarvi un bel piatto di trippe. No, signori, no; è un libro senza pari, impareggiabile, imparagonabile: lo sostengo fino alla pena del fuoco, esclusa. E non altro che truffattore, imbroglione, impostore e corruttore sia reputato chi osi sostenere il contrario.

È ben vero che certe proprietà occulte si trovano in alcuni libri d’alto fusto come Sculacciabarili, Orlando Furioso, Roberto il Diavolo, Fierebras, Guglielmo senza paura, Ugone di Bordeaux, Montevieille e Matabruna. Ma non c’è confronto con quello di cui parliamo. E la gente ha ben provato per esperienza infallibile il grande emolumento e utilità provenienti dalla detta Cronica Gargantuina, ché gli stampatori n’hanno più vendute in due mesi che non venderanno Bibbie in nove anni.

Volendo dunque io, vostro umile schiavo, accrescere davvantaggio i passatempi vostri, vi offro ora un nuovo libro dello stesso calibro salvo che questo è un po’ piú verosimile e degno di fede che l’altro non fosse. E non crediate (se non volete errare ad occhi aperti) che io ne parli come fanno gli Ebrei della Legge. Non son nato sotto quel pianeta, e mai non m’accadde di mentire o affermare cosa che non fosse vera. Io ne parlo come Santo Giovanni dell’Apocalisse, quod vidimus testamur. E tratta il libro degli orribili fatti e prodezze di Pantagruele al cui servizio io fui appena uscito di paggio fino ad ora che con sua licenza me ne son venuto a visitare un tantino il mio paese vacchereccio e a vedere se viva ancora qualcuno de’ miei parenti. Ma, per terminare questo prologo, così come io mi dono corpo e anima, trippe e budella a centomila panierate di bei diavoli se dirò una sola bugia in tutta questa storia, parimenti voglio che vi bruci il fuoco di Sant’Antonio, vi atterri il mal caduco, un fulmine vi fulmini, l’ulcera v’impiaghi, vi colga il cacasangue, e il fuoco fino di riccaracca, sottile come pel di vacca, tutto rinforzato d’argento vivo, possa entrarvi nel culo, e che possiate come Sodoma e Gomorra precipitare in zolfo, fuoco e abisso, se non crederete fermamente a tutto ciò che racconterò in questa presente Cronica.

 

CAPITOLO I.

 

Dell’origine e antichità del grande Pantagruele.

 

Non sarà inutile né ozioso, poiché abbiam tempo, mentovare la prima fonte e origine onde ci è nato il buon Pantagruele. Vedo infatti che così han trattato le loro croniche, tutti i buoni storiografi, non solamente, Arabi, Barbari, Latini e Greci, ma anche gli autori della Santa Scrittura come Monsignor San Luca e parimenti San Matteo.

Vi convien prender nota dunque che, al principio del mondo (parlo di tempi molto lontani, or sono piú di quaranta quarantine di notti per contare al modo degli antichi Druidi) poco dopo che Abele fu ucciso dal fratello Caino, la terra, imbevuta del sangue del giusto, un certo anno fu

 

Sì feconda in ogni frutto

Ch’è dal grembo suo produtto,

 

e specialmente di mele, che quell’anno fu chiamato, a memoria d’uomo, l’anno delle grosse mele: ne bastavano tre per riempire uno staio. In quell’anno le calende furono trovate nei breviari greci. Il mese di marzo non cadde in quaresima e il ferragosto fu di maggio. Nel mese di ottobre, parmi, oppure di settembre (non vorrei sbagliare, di che attentamente mi guardo) fu la settimana, tanto famosa negli annali, dei tre giovedì: tre a causa delle irregolarità bisestili, poiché il sole inciampò alcun poco zoppicando a sinistra, e la luna deviò dal suo corso piú di cinque tese e fu visto chiaramente il movimento di trepidazione nel firmamento detto Aplane; talché la Pleiade media, lasciando le sue compagne, declinò verso l’equinoziale e la stella nominata Spiga, lasciò la Vergine ritirandosi verso la Bilancia; nozioni queste e materie tanto spaventevoli, dure e difficili che non le masticano gli astrologhi.