A tal uopo furono convitati tutti i cittadini di Cinais, di Seuilly, di Roche Clermault, di Vaugaudry, senza trascurare Coudray, Montpensier, il Guado della Vède e altri vicini, tutti buoni tracannatori, buoni compagnoni e bravi giocatori di cavicchio. Il buon Grangola se la godeva un mondo e ordinava che se ne distribuisse a palate.
Raccomandava tuttavia alla consorte, già vicina al parto, che non abusasse di quella trippaglia, vivanda non troppo delicata.
Merda appetisce, chi ne mangia il sacco, sentenziava egli. Malgrado la raccomandazione ella ne mangiò sedici moggia, due barili e sei scodelle. Oh la bella materia fecale che doveva ribollirgli dentro!
Dopo pranzo, tutti mescolati insieme se ne andarono al Saliceto e là sull’erba folta, al suono di giocondi pifferi e dolci cornamuse danzarono sì allegramente ch’era uno spasso celeste veder tanta baldoria.
CAPITOLO V.
Ciò che dicono i beoni.
Poi decisero di fare uno spuntino sul posto. Ed ecco le bottiglie vanno, i prosciutti trottano, i bicchieri volano, i boccali tintinnano:
- Tira qui!
- Dammi!
- Gira!
- Annaffia!
- A me senz’acqua, amico, così!
- Fulminami questo bicchiere, gagliardamente!
- Versa qua del chiaretto e che il bicchiere pianga.
- Via la sete!
- Ah, falsa febbre, vuoi andartene sì o no?
- In fede mia comare: non riesco a mettermi in carreggiata di bere.
- Siete raffreddata amica mia?
- Un pochino.
- Eh, parliamo di bere, per san Barile.
- Io non bevo che alle mie ore come la mula del papa.
- Ed io non bevo che nel mio beviario come un padre guardiano.
- Chi venne prima, la sete o il bere?
- La sete, la sete! E chi avrebbe bevuto senza sete al tempo dell’innocenza?
- Il bere, dico io, perché privatio praesupponit habitum, la privazione presuppone l’abitudine. Non son chierco per nulla. Faecundi calices quem non fecere disertum? Arca di scienza chi non vien tra i calici?
- Eppure noi siamo innocenti, ma non beviam che troppo senza sete.
- Ed io, peccatore, senza sete mai. Che se la sete non è presente, bevo per la sete futura, prevenendola, capite. Io bevo per la sete avvenire, bevo eternamente. E ciò mi dà eternità di bere e bere per l’eternità.
- Cantiam, beviam un mottetto intoniam!
- Dov’è il mio bicchier che m’intona!
- Ohè, il mio bicchiere è voto; non devo bere che per procura?
- Vi bagnate voi per asciugarvi, o v’asciugate per bagnarvi?
- Io non intendo la teoria, m’arrangio un po’ colla pratica.
- Svelti!
- Io bagno, io umetto, io bevo e tutto per paura di morire.
- Bevete sempre, non morrete mai.
- Se non bevo resto asciutto, ed eccomi morto. La mia anima se ne scapperà in qualche palude colle rane, poiché l’anima non rimane mai all’asciutto.
- O coppieri, o creatori di nuove forme, rendetemi bevente da non bevente!
- Innaffiamento perpetuo a queste nervose e asciutte budella!
- Chi beve distratto non beve affatto.
- Questo va tutto in sangue, nulla se ne perde in piscio.
- Io laverei volentieri le trippe di questo vitello a cui stamane ho messo panni.
- Ah, ho ben zavorrato il mio stomaco!
- Se le mie cedole bevessero quanto me, i creditori avrebbero vino alla scadenza!
- Badate, la mano vi guasta il naso.
- Quanti entreran bicchieri prima che n’esca questo?
- Abbeverarsi a guado basso rompe il pettorale.
- Ma quelle fiaschette là si burlano di noi. Che si credono quei fiaschi d’esser lì per zimbello?
- Qual è la differenza tra bottiglia e fiaschetta?
- Grande, poiché la bottiglia si tura col tappo e la fiasca a vite.
- E avanti!
- I nostri padri bevvero bene e vuotarono i vasi.
- Ben caca… cantato! Beviamo!
- C’è qui questo sorso che va a lavar le trippe, avete nulla da dire al fiume?
- Più d’una spugna non bevo.
- Io bevo come un templare.
- E io tamquam sponsus.
- E io sicut terra sine aqua.
- Un sinonimo di prosciutto?
- Propulsorio del bere, oppure carretto. Il carretto conduce il vino in cantina, il prosciutto nello stomaco.
- Orsù, da bere! Da bere qua! C’è posto ancora! Respice personam pone pro duos: bus non est in usu.
Se io salissi così agevolmente come mando giù, da un pezzo sarei ben alto in aria.
- Così Jacques Cueur divenne ricco.
- Così s’avvantaggiano i boschi incolti.
- Così Bacco conquistò l’India.
- Così la scienza conquistò Melindo.
- Piccola pioggia placa un gran vento. Lunghe bevute rompono il tuono.
- Se la mia cannella pisciasse urina come questa, vi piacerebbe succhiarla?
- Vedremo a suo tempo.
- Paggio, mesci.
- Bevi Guglielmo! Ce n’è ancora un boccale.
- Io ricorro in appello contro la condanna alla sete. Paggio, qua, prendi nota dell’appello secondo procedura.
- Qua quella fetta!
- Una volta avevo l’abitudine di bere tutto, ora invece non ci lascio niente.
- Non occorre tanta fretta, sorbiamoci bene ogni cosa.
- Ecco qui trippe sublimi, trippe da far venir l’acquolina, di quel manzo rossigno dalla riga nera. Strigliamolo, per Dio, a onor dell’economia.
- Bevete, o vi…
- No, no!
- Bevete, vi prego.
- I passerottini non mangiano se non gli dai sulla coda, io non bevo se non colle buone.
- Lagona edatera. Non c’è buco in tutto il mio corpo dove questo vino non dia caccia alla sete.
- Questo qui me la frusta a modino.
- Questo qui me la bandisce del tutto.
- Sia qui proclamato a suon di fiaschi e bottiglie che chiunque avrà perduto la sete non venga a cercarla qui dentro. Con lunghe siringate di vino noi l’abbiamo cacciata fuor di casa.
- Il gran Dio fece i pianeti, noi facciamo i piatti netti.
- Ho la parola di Dio sulla punta della lingua: Sitio.
- La pietra detta àbestos non è più inestinguibile che la sete di mia Paternità.
- L’appetito vien mangiando, diceva Angest di Mans, ma la sete se ne va bevendo.
- Il rimedio contro la sete?
- È tutto l’opposto del rimedio contro i cani che mordono; correte sempre dietro al cane e mai non vi morderà.
- Ah, vi colgo a dormire, svegliatevi! Coppiere eterno, guardaci dal sonno! Argo aveva cent’occhi per vedere; a un coppiere occorrono le cento mani di Briareo, per versare infaticabilmente.
- Bagnamoci, ohè, che fa tempo secco.
- Bianco, bianco! Versa tutto, versa, corpo del diavolo! Versa qui ben pieno: la lingua mi brucia!
- Lans, tringue!
- A te compagno! di cuore! di tutto cuore!
- Là, là, là! Così me lo lappi.
- Oh, lachrima Cristi!
- È della Devinière, è vino pinello.
- Oh che finezza di vin bianco!
- Per l’anima mia; morbido come il taffetà.
- Eh, ah! E a un orlo solo, ben tessuto e di buona lana.
- Coraggio, camerata!
- A questo gioco non ci danno cappotto ché una levata… di gomito l’ho fatta.
- Ex hoc in hoc. Qui non c’è trucchi, ciascuno ha visto, io son maistre passè… Abrun abrun prestre Macè: volevo dire.
- Oh, i beoni! Oh gli assetati!
- Paggio, amico mio, riempi qua, e con tanto di corona, ti prego.
- Alla cardinalesca!
- Natura abhorret vacuum.
- Vi pare che una mosca ci possa bere?
- A la moda di Bretagna!
- Limpido come un rubino! Ah, che nettare!
- Giù, giù, è sugo d’erbe medicinali…
CAPITOLO VI.
Come qualmente Gargantua nacque in maniera ben strana.
Mentr’essi così cianciavano di beveraggio, Gargamella cominciò a sentire i dolori. Grangola levatosi a sedere sull’erba, la consolava bravamente pensando fossero le doglie del parto; e le diceva che là stesa sull’erba sotto i salici, metterebbe in breve piè nuovi, onde nuovo coraggio le conveniva trovare per l’avvento del nuovo figliolo; e che se quel dolore era increscioso, aveva tuttavia il grande vantaggio d’esser breve, e la gioia che ne seguirebbe cancellerebbe ogni fastidio sgombrando fino il ricordo. Ciò è dimostrabile, dimostratissimo, diceva egli. Afferma infatti Nostro Signore nell’Evangelio: (Joannis XVI) “la donna nell’ora del parto ha tristezza; ma dopo il parto perde il ricordo dell’angoscia”.
- Ah, rispose ella, ben dite; e preferisco sentire le parole dell’Evangelio e mi fan più prò che sentire la storia di santa Margherita o non so che altra bigotteria.
- Coratella di pecora! diceva egli, sbrigatevi con questo, che ben presto ne faremo un altro.
- Ah, la è comoda per voialtri uomini. Sì, poiché ci tenete, farò del mio meglio, ma piacesse a Dio che ve lo foste tagliato.
- Che cosa? disse Grangola.
- Non fate l’indiano, mi capite benissimo.
- Il membro? Dite il membro? Sangue di capra! Qua un coltello che v’accontento.
- Ah, no, per carità! L’ho detto, Dio perdoni, per burla, non date retta. Ma oggi avrò un bel da fare se Dio non mi aiuta, e tutto per quel bischeraccio vostro, che Dio l’abbia in gloria.
- Coraggio, coraggio! Lasciate fare ai quattro buoi davanti e non badate al resto e state tranquilla. Io me ne vado a bere ancora una sorsata. Se capitasse il male non sono lontano, date una voce e correrò.
Poco dopo ella cominciò a sospirare, a lamentarsi, a gridare. Subito accorsero levatrici da ogni parte, a branchi. E tastandola sotto sentirono pelle di poco buon odore e pensarono fosse il neonato: ma altro non era se non il fondamento che scappava per la mollificazione dell’intestino retto, o budello culare, come voi lo chiamate, dovuto alla grande spanciata di trippe che sopra abbiam detto.
Allora una sozza vecchiaccia della compagnia, che aveva reputazione di gran medichessa ed era là venuta settant’anni prima, da Brisepaille presso Saint Genou le somministrò un astringente sì orribile che tutte le membrane ne furono serrate e contratte per modo che a gran pena le avreste slargate tirando coi denti, cosa orribile a dirsi; come accadde al diavolo quella volta alla messa di San Martino, quando allungò a forza di denti la sua pergamena per notarvi tutte le chiacchiere di due megere.
L’inconveniente fece rilassare più sopra i cotiledoni della matrice e il neonato ne profittò per saltarvi su; entrò nella vena cava e arrampicandosi per il diaframma fin sopra le spalle, dove la detta vena si biforca in due, prese la strada a mancina e uscì fuori per l’orecchia sinistra. Appena nato non strillò come gli altri: Mi, mi mi: ma gridava a gran voce: Bere, bere, bere! come invitando tutti quanti a bere, talché fu udito in ogni paese dai confini di Bevessi fino a Berrò.
Mi viene un dubbio: che non crediate come cosa certa questa strana natività. Se non lo credete non me ne importa un fico, ma un uomo probo, un uomo di buon senso, crede sempre a ciò che sente, o trova scritto.
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