E un giorno che fu laureato in legge uno degli studenti di sua conoscenza, che di sapienza non ne aveva più d’un vitello, ma al compenso sapeva molto bene ballare e giocare al pallone, gli compose il blasone e la divisa dei laureati di quella università così:
Buone palle in la braghetta,
Nella mano la racchetta,
La legge entro la cornetta;
Gran virtù di danzatore,
Ecco fatto un buon dottore.
CAPITOLO VI.
Come qualmente Pantagruele incontrò un Limosino che contraffaceva la lingua francese.
Un giorno, non so quando, Pantagruele passeggiando dopo cena coi suoi compagni presso la porta che conduce a Parigi, incontrò uno studente tutto agghindato che veniva per quella strada e scambiati i saluti gli domandò:
- Amico, donde vieni a quest’ora?
- Da l’alma, inclita e celebre accademia che vocasi Lutezia, rispose lo studente.
- Che significa? chiese Pantagruele a uno de’ suoi.
- Parigi, gli fu risposto.
- Ah, tu vieni dunque da Parigi, disse Pantagruele; e come occupate il tempo voialtri signori studenti della detta Parigi?
- Transitiamo la Sequana, rispose lo studente, dal diluculo al crepuscolo, deambuliamo pei trivii e quadrivii dell’urbe spruzzeggiando la verbocinazione laziale, e quali verosimili amorabondi, captiamo la benevolenza dell’onnigiudice, onniforme e onnigeno sesso femmino. Certi dieculi inspiciamo i lupanari di Champgaillard, Matacon, Cul de sac, Bourbon, Glattigny, Huslieu e, in venerica estasi inculchiamo le nostre verghe nei penitissimi recessi delle pudende di quelle meretricule amicabilissime; poi inglutiamo nelle meritorie taberne della Pomme de pin, del Castel, della Magdeleine e della Mulle, belle spatule ovine, perforaminate di petrosillo. E se per fortuita sfortuna, siavi rarità o penuria di pecunia nelle nostre marsupie e siano esse esauste di ferrugineo metallo, dimettiamo pignorati per lo scotto codici e vesti sollecitando messaggi dai patrii lari e penati.
- Che diavolo di lingua è questa?, disse Pantagruele. Per Dio, tu sei un eretico.
- Signor no, disse lo studente, imperocché non anco illucesce una minuscola baluginazione di luce che libentissimamente io demigro in alcuno dei tanti ben costrutti monasteri e là, irroratomi di bella acqua lustrale, rosicchio qualche boccone di missica precazione dei nostri sacrificuli. E subbiascicando le mie precule orarie, detergo e astergo l’anima dai notturni inquinamenti. Riverenzia ho per gli Olimpicoli, latriale venerazione al supremo Astripotente. Diligo e riamo i prossimi miei, absolvo i precetti decalogici e, secondo le facultatule mie, la latitudine d’un’unguicola non me ne diparto. Ben è veriforme che, non supergurgitando Mammona nei loculi miei, sono alcun poco raro e lento nel superogare elemosine agli egeni, l’obolo, di porta in porta queritanti.
- Merda! disse Pantagruele, che mai vuol dire questo matto? Egli ci fabbrica, a quanto pare, qualche diabolico linguaggio e vuole immagarci come un incantatore.
- Signore, disse uno de’ suoi, senza dubbio questo zerbinotto vuol imitare la lingua dei Parigini, ma in realtà non fa che scorticare il latino e sdegnando l’uso del parlar comune s’immagina di pindareggiare e d’esser chi sa qual prelibato oratore in francese.
- È vero? chiese Pantagruele.
- Signor, mio sire, riprese io studente, il genio mio non è punto nato e adatto, secondo dice codesto flagizioso nebulone, a escoriare la cuticula del nostro vernacolo gallico, ma viceversamente m’adopro, e per remi e per vele mi sforzo a locupletarlo della latinicomia ridondanza.
- Ah, perdio, esclamo Pantagruele, ti insegnerò io a parlare! Ma, anzitutto rispondimi: di dove sei?
- L’origine primeva, rispose lo studente, de’ miei avi et atavi fu indigena delle regioni Lemoviche, dove requiesce il corpore dell’agiotato Santo Marziale.
- Ah, capisco, disse Pantagruele, in lingua povera sei Limosino e vuoi scimiottare il parlar di Parigi; vien qua che ti pettino io per le feste.
E afferratolo per la gola gli disse:
- Ah, tu scortichi il latino! Per San Giovanni, ora ti faccio render l’anima scorticandoti vivo.
E il povero Limosino a gridare:
- Vée dicon, gentilastre! Ho, sainct Marsault, adjouba my! Hau hau, lassas à quan, au nom de Dious, et ne me touchas grou!
- Ora sì che parli con naturalezza! disse Pantagruele. E lo mollò perché il povero Limosino stava sconcacando le sue brache le quali erano tagliate a coda di merluzzo e non a fondo tondo. E allora Pantagruele:
- Sainct Alipeutin, quelle civette! Au diable soit le mascherabe, tant il put.
E lo lasciò andare. Ma il Limosino rimase sì impressionato e alterato per tutta la vita da affermare spesso che Pantagruele lo afferrava alla gola.
Dopo qualche anno mori della morte di Rolando. Compievasi così vendetta divina e dimostravasi ciò che dicono il filosofo, e Aulo Gellio, cioè che convien parlare secondo l’uso, e, come diceva Ottaviano Augusto, che bisogna evitare le parole insolite con la stessa diligenza colla quale i piloti evitano gli scogli.
CAPITOLO VII.
Come qualmente Pantagruele venne a Parigi e dei bei libri della libreria dl San Vittore.
Dopoché Pantagruele ebbe finiti gli studi a Orléans deliberò di visitare la grande università dl Parigi; ma, prima di partire, fu avvertito che, a Saint-Aignan d’Orléans, una grossa, enorme campana stava abbandonata a terra da oltre duecentoquattordici anni. Era così grossa che nessun congegno poteva sollevarla, benché avessero tentato tutti i mezzi indicati da Vitruvio, De Architectura, da Albertus, De re dedificatoria, da Euclide, Teone, Archimede, e da Erone nel De ingeniis. Nulla era servito. Pantagruele volentieri consentendo all’umile richiesta dei cittadini abitanti la città, deliberò di metterla sul campanile a ciò destinato. Venne infatti là dov’era la campana e la sollevò di terra col dito mignolo così facilmente come voi sollevereste un sonaglietto da sparviere. Ma prima di portarla al campanile Pantagruele volle farne una mattinata per la città tenendola in mano e scampanando per tutte le strade, onde tutta la gente se la godeva un mondo; ma ne seguì, ahimè, una ben grave disgrazia; poiché portandola e facendola scampanare così per le strade, tutto il buon vino d’Orléans ne fu scosso e si guastò. La gente non se ne accorse che la notte seguente quando ciascuno si sentì dei dolori per aver bevuto di quel vino sconvolto e non facevano che sputar bianco come il cotone di Malta, dicendo: “c’è stato Pantagruele, abbiamo la gola salata”.
Ciò fatto egli venne a Parigi coi suoi compagni. All’entrare tutta la gente uscì dalle case per vederlo poiché, come ben sapete, il riottoso popolo di Parigi è sciocco per natura, per bequadro e per bemolle; e lo guardavano sbalorditi, non senza gran paura che avesse a trasportare altrove in qualche remoto paese il palazzo di giustizia come suo padre aveva portato via le campane di Notre Dame per appenderle al collo della sua giumenta. Dopo avervi abitato qualche tempo e studiato con diligenza le sette arti liberali, diceva esser Parigi una buona città per vivervi ma non per morirvi, poiché gli accattoni del cimitero di Sant’Innocenzo si scaldano il culo colle ossa dei morti. Trovò magnifica la libreria di San Vittore massimamente per alcuni libri dei quali segue il repertorio. E primo:
Bigua salutis.
Bragueta iuris.
Pantofla decretorum.
Malagranatum vitiorum.
Le peloton de théologie.
Le visiempenard des prescheurs composé par Turelupin.
La couille barrine des preux.
Les hanebanes des evesques.
Marmotretus, de babouynis et cingis cum commento Darbellis.
Decretum universitatis Parisiensis super gorgiositatem muliercularum ad placitum. L’apparition de Saincte Gertrude à une nonnain de Poissy estant en mal d’enfant.
Ars honeste petandi in societate par M. Ortuinum.
Le Moustardier de Penitence.
Les Houseaulx, alias les Bottes de patience.
Formicarium Artium.
De brodiorum usu et honestate chopinandi, per Slivestrem, Prieratem, Jacopinum
Le Beliné en Court.
Le cabat des Notaires.
Le Pacquet de Mariage.
Le Creziou de Contemplation.
Les fariboles de Droict.
L’aiguillon de vin.
L’esperon de fromaige.
Decrotatorium Scholarium.
Tartaretus, De modo cacandi.
Les Fanfares de Rome.
Bricot, De differentiis souppaurm.
Le Culot de discipline.
La Savate de Umilité.
Le tripier du bon Pensement.
Le Chaulderon de Magnanimité.
Le Hanicrochemens des Confesseurs.
La Croquignolle des Curés.
Reverendi Patris Fratris Lubini Provinclalis Bavardie De croquendis lardonibus libri tres.
Pasquilei doctoris marmorei, de Capreolis cum chardoneta comedendis, tempore papali ab Ecclesia interdicto.
L’Invention Saincte Croix, à six personnages, jouée par les clercs de Finesse.
Les lunettes des Romipetes.
Maioris, De modo faciendi boudinos.
La cornemuse des Prelatz.
Beda, De optimate triparum.
La Complainte des Advocats sur la Reformation des Dragèes.
Le Chat fourré des Procureurs.
De Pois au lart, cum Commento.
La Profiterolle des Indulgences.
Preclarissimi, Iuris Utriusque Doctoris Maistre Pilloti Racquedenari, De bobelinandis Glosse Accursiane baguenaudis Repetitio enucidiluculidissima.
Stratagemata Francarchieri de Baignolet.
Franctopinus, De re militari, cum figuris Tevoti.
De usu et utilitate escorchandi equos et equas, autore M. nostro de Quebecu.
La Rustrie des Prestolans.
M. N. Rostocostojambedanesse, De moustarda post prandium servienda lib. quatordecim apostilati per M. Vaurillonis.
Le couillage des Promoteurs.
Questio subtilissima, utrum Chimera in vacuo bombinans possit comedere secundas intentiones, et fuit debatuta per decem hebdomadas in concilio Costantiensi.
Le machefain des Advocatz.
Barbouilamenta Scoti.
La Ratepenade des Cardinaulx.
De calvaribus removendis decades undecim, per M. Albericum de Rosata.
Eiusdem, De castramentandis crinisus, lib.
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